Il discepolo
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Il discepolo

Le cronache di Sebastian Bergman

  1. 672 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il discepolo

Le cronache di Sebastian Bergman

Informazioni su questo libro

Edward Hinde è stato uno dei piú temibili serial killer degli anni Novanta. Ora, grazie a Sebastian Bergman, è rinchiuso nel penitenziario di Lövhaga. Hinde uccideva seguendo precise modalità, le stesse usate per le tre donne rinvenute sgozzate negli ultimi mesi. Un copycat, dunque, un assassino che ne emula un altro e sceglie le proprie vittime secondo un criterio che viene alla luce soltanto dopo un quarto delitto: tutte sono state amanti di Sebastian Bergman.
Nonostante l'angoscia e i sensi di colpa che lo attanagliano Sebastian non ha dubbi: il copycat è guidato da Hinde. È Hinde che, manipolando il «discepolo», scrive la trama della propria vendetta contro l'uomo che l'ha mandato in carcere. Ma come fa? Per rispondere a queste domande Sebastian dovrà mettere in gioco la propria vita e, ancor peggio, la vita della figlia. *** «Sebastian trasse un sospiro. Non riusciva a decidere cosa fosse peggio: essere trattato come un lattante appena svegliato da un sonnellino piú che meritato, oppure la sensazione di affettuosità neoromantica che Ellinor emanava. Di certo la seconda. Già durante la breve passeggiata fino al suo appartamento aveva intuito che sarebbe potuta finire cosí. Gli aveva preso la mano. Gliel'aveva stretta. Per tutto il tragitto. Come lo stereotipo di una coppia di innamorati a zonzo per le vie di Stoccolma in una notte d'estate. Cinque ore dopo essersi visti per la prima volta. Era spaventoso. Sebastian aveva riflettuto se chiuderla lí e ringraziarla per la compagnia, ma alla fine si era detto che aveva speso troppo tempo e troppe energie per ritirarsi prima di ottenere ciò di cui era in cerca. Di cui aveva bisogno».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806208394
eBook ISBN
9788858410646

Michael Hjorth & Hans Rosenfeldt

Il discepolo
Le cronache di Sebastian Bergman

Traduzione di Roberta Nerito

Einaudi

Quando il taxi imboccò Tolléns väg poco prima delle sette e mezza di sera, Richard Granlund non credeva che la giornata potesse peggiorare di molto. Quattro giorni a Monaco e dintorni. Viaggio d’affari. A luglio i tedeschi lavoravano quasi a pieno regime. Tavole rotonde con i clienti da mattina a sera, aziende, sale riunioni e un numero infinito di caffè. Era stanco ma soddisfatto. I nastri trasportatori e di processo non erano la cosa piú eccitante del mondo, forse, il suo lavoro stimolava di rado la curiosità e non rappresentava mai un argomento di conversazione durante cene o incontri, eppure vendevano bene, i nastri. Vendevano proprio bene.
Il volo da Monaco era previsto per le 9.05. Avrebbe dovuto essere a Stoccolma alle 11.20. Dopo un rapido salto in ufficio per fare il punto della situazione, sarebbe tornato a casa verso l’una per pranzare con Katharina e trascorrere il resto del pomeriggio in giardino con lei. Quello era il piano.
Finché non aveva scoperto che il volo delle 9.05 per Arlanda era stato cancellato. Si era messo in coda al servizio clienti Lufthansa ed era stato dirottato su un volo delle 13.05. Quattro ore nell’aeroporto di Monaco Franz Josef Strauß. Stupendo, pensò amareggiato. Con un sospiro di lieve rassegnazione aveva preso il cellulare e scritto un sms a Katharina. Avrebbe dovuto pranzare senza di lui, ma se tutto andava bene avrebbero comunque passato qualche ora all’aria aperta. Com’era il tempo? Magari un drink in veranda nel tardo pomeriggio? Poteva fare un salto a comprare qualcosa appena si fosse liberato.
Katharina aveva risposto immediatamente. Peccato per il ritardo. Le mancava. Il tempo a Stoccolma era fantastico, quindi un drink era l’ideale. Le facesse pure una sorpresa. Baci.
Richard era entrato in uno dei punti vendita che continuavano ad attirare clienti grazie ai prezzi esentasse, malgrado fosse convinto che dato l’enorme numero di viaggiatori non fosse piú cosí. Aveva individuato lo scaffale con i cocktail già pronti e preso una bottiglia che aveva riconosciuto da una pubblicità alla tv. Mojito Classic.
Mentre andava al Press Stop aveva controllato gli schermi dei voli in partenza. Gate 26. Contava di impiegarci dieci minuti per raggiungerlo.
Si era seduto con un caffè e un panino e aveva sfogliato il numero appena comprato di «Gardens Illustrated». Il tempo scorreva lentamente. Aveva scrutato le vetrine delle boutique, comprato un’altra rivista, questa volta di oggettistica, preso un altro caffè e bevuto una bottiglietta di acqua minerale. Dopo una puntata alla toilette era finalmente giunto il momento di recarsi al gate. Lí la seconda sorpresa. Il volo delle 13.05 era in ritardo. Nuovo imbarco alle 13.40. Decollo previsto per le 14.00. Richard aveva ripreso il cellulare e messo al corrente Katharina del nuovo ritardo, esternando la propria indignazione verso i voli in generale e la Lufthansa in particolare, aveva cercato un posto libero ed era andato a sedersi. Non gli era arrivato nessun sms.
Aveva chiamato.
Ma Katharina non aveva risposto.
Forse aveva trovato qualcuno con cui pranzare in città. Richard aveva messo via il cellulare e chiuso gli occhi. Non c’era motivo di prendersela, dopotutto non avrebbe potuto farci niente comunque.
Alle due meno un quarto la giovane donna dietro il banco aveva dato loro il benvenuto a bordo e si era scusata per il ritardo. Una volta in cabina, il personale aveva mostrato le procedure di sicurezza rituali senza che nessuno vi prestasse attenzione e il capitano aveva preso la parola. C’era una spia che segnalava un problema. Doveva trattarsi solo ed esclusivamente di un problema della spia, ma non potevano correre rischi. Un tecnico stava già arrivando per effettuare le verifiche del caso. Il capitano si era scusato confidando nella loro comprensione. Nel giro di poco tempo l’aereo si era surriscaldato. Richard aveva avvertito la propria comprensione e il relativo buon umore dissolversi via via che la camicia si inumidiva sempre piú sulla schiena e sotto le ascelle. Alla fine il capitano aveva ripreso la parola. Buone notizie. Il problema era stato risolto. Notizie un po’ meno buone. Lo slot per il decollo era scaduto e prima dovevano lasciar partire nove aerei, ma non appena fosse giunto il loro turno avrebbero fatto rotta su Stoccolma.
Aveva rinnovato le scuse.
Erano atterrati ad Arlanda alle 17.20.
Due ore e dieci minuti di ritardo.
Oppure sei ore, a seconda di come la si vedeva.
Mentre si recava a ritirare il bagaglio, Richard aveva di nuovo telefonato a casa. Nessuna risposta. Aveva tentato sul cellulare di Katharina. La segreteria era scattata dopo cinque squilli. Magari era fuori in giardino e non sentiva. Richard aveva raggiunto il Baggage claim. A detta del monitor che sovrastava il nastro numero 3 sarebbero passati otto minuti prima che i bagagli del volo LH2416 fossero consegnati.
Ne passarono dodici.
E altri quindici prima che Richard si rendesse conto che la sua valigia non c’era.
Nuova attesa in una nuova coda per denunciare lo smarrimento allo sportello Lufthansa. Dopo aver consegnato la ricevuta del bagaglio, l’indirizzo e una descrizione piú precisa possibile della valigia, Richard era uscito dagli «Arrivi» e si era avviato verso i taxi. Appena varcati i battenti della porta a vetro era stato travolto dall’afa. Era proprio estate. Sarebbe stata una bella serata. Al pensiero di un cocktail in veranda al crepuscolo aveva sentito tornargli il buon umore. Si era messo in fila per un Taxi Stockholm, un Kurir o uno 020. Quando avevano svoltato all’altezza di Arlandastad l’autista lo aveva informato che era stata una giornata terribile per il traffico stoccolmese. Terribile. Nel frattempo aveva rallentato scendendo sotto i cinquanta chilometri orari ed era stato inghiottito da una coda apparentemente infinita sulla E4 in direzione sud.
Cosí, quando finalmente il taxi imboccò Tolléns väg, Richard Granlund non credeva che la sua giornata potesse peggiorare di molto.
Pagò con la carta di credito, attraversò il giardino curato e ricco di fiori e depositò la ventiquattrore e il sacchetto di plastica davanti all’ingresso.
– Ciao!
Nessuna risposta. Richard si tolse le scarpe e andò in cucina. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra per vedere se Katharina fosse lí, ma non c’era nessuno. Idem in cucina. E nessun biglietto sulla bacheca per le comunicazioni impreviste. Sollevò il cellulare. Nessuna chiamata persa o sms ricevuto. L’aria era viziata. Il sole inondava la stanza. Katharina non aveva abbassato le tende. Richard girò la chiave nella portafinestra e la socchiuse. Poi salí di sopra. Si sarebbe fatto una doccia e cambiato. Si sentiva sporco e sudato sin nelle mutande. Si sfilò la cravatta e iniziò a slacciarsi i bottoni della camicia, ma non appena raggiunse la camera si fermò a metà. Katharina era sul letto. Fu la prima cosa che notò. Poi seguirono altre tre rapide scoperte.
Giaceva bocconi.
Era legata.
Era morta.

La metropolitana vacillò per la frenata. La mamma con la carrozzina di fronte a Sebastian Bergman strinse piú forte l’asta d’acciaio e si guardò attorno nervosa. Era irrequieta sin da quando era salita a Sankt Eriksplan e, nonostante il pargolo in lacrime fosse crollato solo dopo un paio di fermate, lei sembrava non trovare pace. Era chiaro che non amava doversi stringere fra cosí tanti estranei. Sebastian lo capí grazie a svariati segnali. Il tentativo evidente di mantenere intatta la propria sfera privata spostandosi di continuo da un piede all’altro per evitare di scontrarsi con gli altri. La pelle sopra il labbro superiore lievemente imperlata di sudore. Lo sguardo vigile in costante movimento. Sebastian aveva cercato di sorriderle con fare rassicurante, ma lei aveva subito spostato gli occhi cercando di scannerizzare lo spazio attorno a sé, attenta e ansiosa. Sebastian perlustrò con lo sguardo il treno stracolmo, che si era di nuovo fermato con un sibilo metallico subito dopo Hötorget. Dopo alcuni minuti di sosta al buio era ripartito lentamente strisciando verso T-Centralen. Di solito Sebastian non prendeva la metropolitana, soprattutto nelle ore di punta o nella bella stagione. Era troppo scomoda e movimentata e lui non riusciva ad abituarsi a quell’umanità rumorosa e odorosa. Di solito andava a piedi o in taxi. Manteneva le distanze. Restava isolato. Cosí faceva, di solito. Ma ormai niente era piú come una volta.
Niente.
Sebastian si sporse verso la porta in coda alla carrozza e sbirciò in quella successiva. Riusciva a vederla, dalla finestrella. I capelli biondi, il viso rivolto verso il basso, assorto nella lettura di un quotidiano. Ogni volta che la scorgeva si sorprendeva a sorridere fra sé e sé.
Come sempre lei cambiò a T-Centralen e a passo svelto scese la scala di pietra verso la linea rossa. Era semplice seguirla. Se teneva le distanze veniva perfettamente nascosto dalla fiumana di pendolari e turisti con le cartine in mano.
Manteneva le distanze.
Non voleva perderla di vista.
Ma non doveva essere scoperto.
Era un equilibrio arduo, ma cominciava a destreggiarsi bene.
Quando dodici minuti piú tardi il treno della linea rossa rallentò nella stazione di Gärdet, Sebastian aspettò un momento prima di scendere dalla carrozza azzurra. Doveva fare attenzione. Sulla banchina c’erano poche persone, la maggior parte era scesa alla fermata precedente. Aveva scelto la carrozza davanti alla sua cosí che quando fosse scesa gli avrebbe dato le spalle. Appena la individuò di nuovo, camminava spedita ed era già a metà strada verso le scale mobili. Anche la donna con la carrozzina era scesa a Gärdet, e Sebastian decise di starle dietro nel caso la persona che stava seguendo si fosse voltata. La madre spingeva la carrozzina di buon passo nella folla diretta alle scale mobili, probabilmente nella speranza di evitare al piú presto la calca, e mentre la seguiva Sebastian si rese conto di quanto si somigliassero.
Due individui che dovevano sempre mantenere le distanze.

Una donna.
Morta.
A casa propria.
Di norma non rappresentava un motivo per convocare la divisione Omicidi della polizia di Stato e la squadra di Torkel Höglund.
Spesso era il tragico epilogo di una lite in famiglia, di una controversia sull’affidamento dei figli, di un dramma della gelosia, di una serata a base di alcol insieme a quella che si sarebbe rivelata la compagnia sbagliata.
Chi lavorava nella polizia sapeva che, quando una donna veniva assassinata a casa propria, spesso l’omicida rientrava fra i suoi cari. Perciò non era strano che Stina Kaupin avesse immaginato che quello al telefono con lei potesse essere l’assassino, quando prese la chiamata al 112 subito dopo le sette e mezza.
– 112, buona sera.
– Mia moglie è morta.
Fu difficile afferrare il resto. La voce dell’uomo era impastata per il dolore e lo shock. Per lunghi istanti restò in un tale silenzio che Stina credette avesse riattaccato. Poi lo udí cercare di riprendere il controllo del proprio respiro. Dovette faticare non poco per ottenere un indirizzo. L’uomo all’altro capo ripeteva soltanto che sua moglie era morta e che c’era molto sangue. Sangue dappertutto. Potevano andare lí, per favore? Stina s’immaginò un signore di mezz’età con le mani imbrattate di sangue che lentamente si stava rendendo conto di ciò che aveva fatto. Alla fine riuscí a farsi dare l’indirizzo a Tumba. Pregò l’uomo – il presunto assassino – di restare dove si trovava e di non toccare nulla. Gli avrebbe mandato polizia e ambulanza. Chiuse la conversazione e inoltrò la richiesta alla polizia di Södertörn a Huddinge, che a sua volta ordinò a una volante di recarsi sul posto.
Quando Erik Lindman e Fabian Holst ricevettero la disposizione di dirigersi al numero 9 di Tolléns väg, avevano appena finito di consumare una cena da fast food in macchina.
Dieci minuti dopo erano arrivati. Scesero dall’auto e osservarono l’abitazione. Nessuno dei due poliziotti s’intendeva di giardinaggio, però era chiaro che qualcuno in quella famiglia aveva impiegato parecchio tempo e denaro per realizzare la pompa magna pressoché perfetta che circondava la villa di legno giallo.
Quando furono a metà vialetto, la porta d’ingresso si aprí. Istintivam...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il discepolo
  3. Ringraziamenti
  4. Il libro
  5. Gli autori
  6. Dello stesso autore
  7. Copyright