Il medico Durante entrò rapido nell’osteria. Si curvò sulla tavolata tra le grosse teste dei bevitori e infilò l’indice in un bicchiere pieno raso. – Questo è per me, non è vero? – disse con la sua voce agra.
Il capotavolata sospirò e waved all’ostessa per un bicchiere nuovo. – Come stiamo a malati nella zona, medico? – inquirí uno dei bevitori.
– Due in tutto. Uno a Niella e l’altro alle case di Luca. Anche troppi per la mia voglia.
– E che hanno di male preciso?
– Tutt’e due malati nella testa, – rispose il medico e avanzandosi per una nuova bevuta smarrí l’astuccio del termometro.
Il mercante di buoi glielo raccattò: – Attento, medico, al tuo badile.
– Grazie, Paco, ma è meno importante di quel che pensi. A fare il medico da queste parti l’indispensabile è una scaletta.
Tutt’intorno gaped. – Per che farci con la scaletta?
– Per arrivare alla testa del paziente, Paco. Dalle nostre parti sono tutti e unicamente malati nella testa. Nessuno tira fuori da fumare?
Paco sospirò ed estrasse il pacchetto delle sigarette. Il medico fumbled con le dita apposta per estrarne una ed un’altra farne cadere. Paco bisbigliò: – E pensare, medico, che quindici anni fa sei stato ad un pelo dallo sposare mia sorella, diventare mio cognato.
Il medico rise gutturalmente e nient’altro, poi aspirò la prima boccata. – Maledetto Placido, – disse subito dopo, – non ti dà una sigaretta fumabile. E si capisce. Tiene il tabacco in bottega sotto lo scanno del sale, il sale trasuda e va a infettare il tabacco. Questa è chimica pura, signori.
Disse il messo comunale: – Dottore, perdonategli il tabacco infettato per compensa di quel che gli fate alla moglie.
Il medico scattò in piedi: – Che dici, che vai anfanando, scimmione? Dichiaro e giuro che non ho mai visto Gemma. Lo dichiaro e giuro. A parte le visite mediche.
Ci fu un moderato chuckling, la maggior componente di esso provenendo dalla bocca grassa e parca di Paco.
Disse il messo comunale: – È mica difficile per un dottore far confusione fra le visite mediche e quelle altre.
– Turati la bocca, analfabeta, – disse semplicemente il medico.
L’altro scattò come punto da una vipera. – Dottore, lei mi dica quello che vuole, eccetto analfabeta. Io so leggere e scrivere quasi quanto lei. Domandi al Podestà. Del resto sono messo comunale, e non s’è mai visto un messo comunale analfabeta.
– Ora piantatela, – disse Paco e gridò verso il retro per un’altra bottiglia.
– Ho sentito ordinare un’altra bottiglia, – disse rapido il medico. – Chi la paga?
– Chi l’ha comandata, no? – fece Paco: – Io, quello che ha corso il rischio di diventar tuo cognato.
Venne la proprietaria in persona, a sturare e mescere. – Ginna, – le disse il falegname: – sapevi che ti amavo, ma mi hai preferito Fresco.
– E ben contenta che sono, – disse l’ostessa, malgrado l’età, scartando agilmente la mano del falegname che le insidiava il deretano. – Tocca tua moglie, Gino. La tocchi troppo poco, Gino, e c’è rischio che si faccia toccare da altri.
They all chuckled e Gino disse: – Me ne frego, è ormai arrivata all’età che possiamo fare tutt’e due i comunisti.
– Tieni la bocca chiusa, Gino, – disse Paco con molta attenzione.
– Del resto, dici e non pensi, – aggiunse il medico.
– Dico e penso, invece, – fece Gino arrovellandosi col bicchiere.
– Ah sí, – fece il medico, alzandosi a metà: – e allora permetti che vada immantinente a farle una visita. Medica, s’intende?
– Stia giú, dottore, – disse Gino, sobered. – Sapesse fare piuttosto qualcosa per rimettermela in sesto di corpo. Dio mio, dove le sono arrivati i seni. All’altezza dell’ombelico, non esagero, e quand’è vestita le dànno l’aspetto d’avere un salvagente a mezza vita.
They all chuckled e il medico disse: – Se mi mescete un altro bicchiere, vi faccio una lezione su come una donna è fatta dentro.
– E piantala, – disse Paco, – non ci diresti niente che la punta del nostro cazzo già non sappia per suo conto.
Cadde un silenzio nel quale s’inserí un rumore ventoso, fra lo stridere dei bicchieri smossi sul tavolo.
– Già la corriera, – disse il falegname, dopo aver ascoltato.
– Non può essere, – disse Paco, sbirciando al suo orologio d’argento. – Mancano quindici alle due, – e furono tutti d’accordo che era un vento nuovo che arrivava a dare nelle cime dei castagni.
– Non poteva essere, – disse Gino, – a meno che Eugenio non sia impazzito e prenda la discesa senza le curve.
Ci fu un altro silenzio, col vento subsiding outside.
– Però Eugenio, – disse Gino, – soltanto due anni fa non era meglio che il peggiore di noi, ingolfato nel letame fino alle ascelle. Poi, un bel giorno, e senza nemmeno aver sofferto d’insonnia la notte, si sveglia con l’idea di prender la patente, la prende, si raccomanda un po’ in giro e infine diventa autista della linea. Guida la corriera, Eugenio. Suo figlio potrà sempre dire che suo padre guidava la corriera. Mica capita a tanti qui di poter dire che suo padre non aveva a che fare con la sporca terra.
– Io mi rifiuto di riconoscere che Eugenio è un po’ piú furbo e nobile del piú a terra di noi, – disse il messo, piuttosto torvamente rimirando il bicchiere alla luce.
– Il meglio riuscito che io conosca è Paco qui, – disse Gino il falegname. Paco si limitò a sbruffare dalle labbra carnose. Il dottore cominciò il suo riso gutturale.
– Non posso dire, – disse Paco, – che tu hai fatto una riuscita, medico.
– Chi s’è mai fregato della riuscita, – disse leggermente il medico: – Chi t’ha messo in testa che un uomo nasce e vive per riuscire, Paco? A me nessuno, e nemmeno mi insorge in testa nei miei ragionamenti. L’importante è vivere.
– Vivere!? Dimmi una volta che tu abbia vinto, vivendo?
– Sei duro, Paco. E chi ti dice che importi vincere o perdere, vivendo? Che effetto ha avuto sulla mia vita perdere con tua sorella?
– Vergognati, – disse Paco, pacatamente: – Medico, laureato. Perché è laureato, uomini. Se gli entrate in casa, e pochi ci sono entrati perché non lascia in genere, c’è al muro la laurea inquadrata.
– Certo che c’è, – disse calmo il medico, – e se tu fossi un po’ piú istruito, vedresti che mi sono laureato con 105 su 110. Mica poco, se non fossi troppo ignorante da discernere.
– Vergognati, – insisté Paco, senza cambiar tono: – Medico, con laurea vera. Dovrebbero ritirartela, secondo me.
– E come si fa? Chi? – lo provocò il dottore.
– Chi te l’ha data. Il governo, te l’ha data, no? Allora il governo dovrebbe ritirartela.
– E su che motivo, Paco? Mica faccio le porcate che fa la levatrice di Murazzano, che fa seimila mensili extra con gli aborti.
– Dovrebbero togliertela lo stesso.
– Per che motivo, Paco?
– Perché non ti comporti all’altezza della tua laurea, perché vivi nell’indegnità di essa.
Il medico alzò le spalle, ma non troppo convinto, ed uno dei bevitori tossicchiò per disagio. Ma il messo era tutto per Paco. – Paco può parlare cosí, – disse, – Paco per me è l’unico che può giudicare. È il primo uomo di Feisoglio, autorità a parte, e la sua voce suona per mezze le colline. Paco è l’uomo che ha fatto la meglio riuscita. Sento parlare di lui su tutti i mercati, e come ne parlano. Paco ha fatto la meglio riuscita…
– No, – disse Paco, piú duro col messo che mai con nessuno prima. – Non sono affatto riuscito, semmai sto per strada per riuscire. Sono riuscito a non toccar piú la terra, ma non per questo mi sento riuscito completamente. Sarò riuscito quando sarò arrivato a non trattar piú, per vivere, nemmeno i prodotti della terra. Capite, quando non tratterò piú vacche né formaggi né legname…
– Ma che vorrai fare, che altro saprai fare, Paco? – chiese il messo, angosciato egli stesso per l’oscurità del destino di Paco. Il quale batté un pugno sul tavolo e disse: – Vedi tu stesso quanto sono ancora lontano dall’arrivare. Nemmeno io so piú di te che cosa potrò fare. L’idea meno lontana è un’esattoria in qualche paese su qualche collina piú bassa.
– Un’esattoria!? – gaped and stared il messo.
– Ma vedi anche tu che è un’idea lontanissima, – fece Paco con violenza. – E fuori di quella lontanissima, di idee altre non ne ho. Vedi come sono riuscito? E sentirmi dire che sono riuscito!
Gino aspirò schifiltosamente un paio di volte sopra il bicchiere. – Jeanne! – gridò verso il retro, – proprio stamattina dovevi dare al pavimento questo sporco olio?
L’ostessa balenò coi suoi capelli tutti bianchi all’usciolo. – Aspetti adesso a lamentarti, non lo senti dall’ora che sei qui?
– Me ne lamento quando mi pare, e lo sento quando mi pare, mam’selle, – fece Gino.
– Debbo bene oliare il pavimento per lo sporco che ci portate e strusciate voi porci della campagna! – disse la donna. – Terra e letame mica me lo lasciate all’ingresso.
– Ahò, ahò, – fece Gino, – adesso non montare in superbia. Sai che cosa ti ha rovinato a te? L’esser stata quaranta anni fa da serva a Nizza mare.
– Ta gueule, toi vieux cochon, toi! – fece la donna al riparo dell’uscio.
Questa era indubitabilmente la corriera. – Infila adesso il rettilineo prima del ponte, – indovinò il falegname.
– Senti come tromba, e la strada deserta come un camposanto, – aggiunse il messo, spregiosamente.
Le trombate aggredivano la collina del paese come artigli salienti. Essi, e Paco too, mossero fuori per vederla arrivare. Fuori sullo spiazzo tra le due chiese sostava il furgone di Paco, con le due vitelle acquistate la mattina al mercato di Murazzano. Dal finestrino occhieggiava la faccia bestiale, animalmente fedele, del garzone di Paco, seduto in modo da nemmeno sfiorare il sacro volante di Paco. Il messo si avvicinò alle griglie, esaminò i musi delle bestie, poi disse che erano belle.
– Se le belle bestie fossero come quelle, – disse stancamente Paco. – Come vuoi giudicare una bestia dalla testa?
– Non sono belle? – disse il messo, mortificato e incredulo.
– Sono acerbe, sono, – disse Paco. – Ma erano le meglio sullo schifoso mercato.
– Mi dispiace per te.
– Che ti dispiace? E mi pensi tanto stupido da caricarmi di legna verde senza aver chi scaricarla. Intorno non c’è che gente che vuol cambiar mestiere e destino, e si vede parecchio nel mercato delle bestie. Ho già i miei polli per queste due disgraziate.
Il messo chuckled, il garzone chuckled, e nell’istante la corriera sbucò, polverosissima, dall’ultima curva, sollevando un polverone che investí i tronchi degli ippocastani di fronte alla privativa di Placido. Si fermò solitamente davanti all’osteria, e ne scese Eugenio l’autista, con la testa rasa e l’immenso torace fasciato da una flanella sporca.
– Ho due giornali ancora, – disse, e il medico tese la mano. Come ebbe il foglio in mano, prese a brancicare nei taschini. – Non mi dica, medico, che non ha gli spiccioli, – disse Eugenio con un allegro grin.
– Ho paura, ho paura, ho paura, – diceva il medico, fumbling on.
– Guardi che io non ho piú di due minuti di sosta, – avvertí Eugenio piú seriamente.
Allora Paco tastò a colpo sicuro nel suo di taschino e buttò il ventino nella manaccia di Eugenio. Il quale sorrise e agilmente, malgrado la mole, si roteò dentro la corriera. Ma ancora non partiva. Si sporse con un pacchetto molto bene confezionato e solido. – Le rincresce sporgerlo al parroco? – disse a Jeanne che s’era fatta fuori per un glimpse alla corriera.
– Che è?
– Libri, credo, – disse Eugenio.
– Libri!? – ironizzò il falegname. – Preservativi sono, se per il parroco. Credete a me, una grossa di preservativi –. E si schivò per non riceversi lo schi...