Timbuctù
eBook - ePub

Timbuctù

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Abituati a viaggiare insieme sulle strade americane, Willy, poeta giramondo, e Mr Bones, cane dalla spiccata intelligenza, vengono separati dai freddi giochi del destino. Mr Bones dovrà imparare a cavarsela da solo, senza la presenza logorroica ma familiare di Willy al proprio fianco, e a difendersi forse soprattutto da chi lo vorrà aiutare.
Cosí continuerà a scappare, finché in lui nascerà la convinzione di poter raggiungere Willy a Timbuctú, terra favolosa dove uomini e cani parlano la stessa lingua, e conversano da pari a pari.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806179526
eBook ISBN
9788858410110

Capitolo quarto

Continuò a correre per tre giorni, senza sostare quasi mai né per dormire né per cercare cibo. Quando alla fine si fermò, Mr Bones si trovava nel nord della Virginia, sdraiato a zampe larghe in mezzo a un prato, centocinquanta chilometri a ovest del cortile dei Chow. Duecento metri piú in là il sole stava calando dietro un vivaio di querce. A media distanza cinque o sei rondini sfrecciavano avanti e indietro rasoerba, setacciando l’aria a caccia di zanzare, e nell’ombra dei rami alle sue spalle gli uccelli canori cinguettavano gli ultimi refrain prima di ritirarsi per la notte. Mentre giaceva nell’erba alta, con il petto affannoso e la lingua penzoloni, Mr Bones si domandò cosa sarebbe successo se avesse chiuso gli occhi – e se lo faceva, dubitava che la mattina dopo sarebbe riuscito a riaprirli. Era cosí stanco e affamato, cosí stravolto dalla durezza di quella maratona. Se si addormentava, con ogni probabilità non si sarebbe svegliato mai piú.
Guardò il sole affondare piano piano fra gli alberi, sforzandosi di tenere gli occhi aperti mentre intorno il buio si infittiva. Non resistette piú di due minuti, ma ancor prima di essere vinto dalla stanchezza, la sua mente aveva già incominciato a riempirsi di pensieri su Willy, flash da quei giorni di anelli di fumo e Lucky Strike, cimeli inutili della loro vita in comune nel mondo di una volta. Dopo la morte del padrone era la prima volta che riusciva a evocare quei ricordi senza sentirsi schiantato dal dolore; la prima volta che capiva che la memoria è un luogo, un luogo reale che si può visitare; e che passare qualche momento in compagnia dei morti non è sempre brutto, anzi può rivelarsi una fonte di grande consolazione e felicità. Poi si addormentò e Willy restò sempre lí con lui, ancora vivo in tutta la sua gloria svisata, a fingersi cieco mentre Mr Bones lo guidava giú per i gradini del metrò. Riconobbe quel giorno ventoso del marzo di quattro anni e mezzo fa, quello strano pomeriggio di grandi speranze e attese spezzate, quando erano andati a Coney Island per presentare la Sinfonia degli odori a Zio Al. Per solennizzare l’evento Willy si era messo un cappello da Babbo Natale, e cosí ingobbito sotto il sacco nero di plastica che traboccava dei materiali della Sinfonia, era proprio il ritratto in versione ubriacona del suo ispiratore. D’accordo che quando furono arrivati le cose non andarono benissimo, ma solo perché Zio Al aveva la luna storta. Naturalmente non era un vero zio, ma solo un amico di famiglia che aveva dato una mano ai genitori di Willy al loro sbarco dalla Polonia, e solo per una forma di antica lealtà verso Mami-san e suo marito permetteva a Willy e Mr Bones di aggirarsi nel suo negozio. A dire il vero Al non era un campione del commercio, e dato che i clienti erano in costante diminuzione sugli scaffali trovavi degli articoli che languivano lí da dieci, dodici, addirittura vent’anni. Attualmente era solo una copertura per altre attività, in maggioranza, ma non tutte, illegali; e se Al l’ambiguo, il loquace, non avesse guadagnato con i botti, le scommesse e il contrabbando di sigarette rubate, non ci avrebbe pensato due volte a chiudere per sempre la porta di quel polveroso emporio. Chissà quale imbroglio gli si era ritorto contro in quel giorno di marzo: fatto sta che quando Willy entrò portando la sua Sinfonia degli odori e incominciò a blaterare che la sua invenzione li avrebbe resi tutti e due milionari, il proprietario della Casa dello Scherzo restò sordo al trionfalismo mercantile del suo faux nipote. – Tu sei tutto matto, Willy, – disse Zio Al, – sei uno svitato del cazzo, hai capito? – e lo sbatté fuori sui due piedi con il suo sacco pieno di puzze e profumi e labirinti pieghevoli di cartone. Non essendo il tipo che si arrende di fronte a un po’ di scetticismo, Willy si apprestò con zelo a montare la sinfonia sul marciapiede, cosí avrebbe dimostrato a Zio Al che aveva veramente inventato una delle meraviglie di tutti i tempi. Quel giorno però l’aria era troppo vivace, e appena Willy mise mano al sacco e iniziò a estrarre i vari componenti della Sinfonia numero 7 (asciugamani, spugne, maglioni, soprascarpe, contenitori Tupperware, guanti) il vento li ghermí e li gettò sulla strada, disseminandoli in tutte le direzioni. Willy si mise a correre per riprendere i suoi materiali, ma appena mollò il sacco, anche questo volò via. Malgrado la sua teorica generosità verso la famiglia Gurevitch, Zio Al assistette alla scena dalla soglia del negozio, ridendo a crepapelle.
Questo era successo quattro anni e mezzo fa, ma nel sogno di Mr Bones quella notte sul prato, lui e Willy non scendevano mai dalla metropolitana. Non c’era dubbio che erano diretti a Coney Island (testimoni il cappello da Babbo Natale bianco e rosso, il sacco pieno, l’imbragatura da cane guida di Mr Bones), ma mentre il pomeriggio di marzo la carrozza del treno F era piuttosto affollata, stavolta lui e Willy erano soli, gli unici due passeggeri che viaggiavano fino al capolinea. Nel momento in cui Mr Bones si rese conto della differenza, Willy si voltò verso di lui e disse: – Non preoccuparti, amico. Non è allora, è adesso.
– E questo che significa? – ribatté il cane, e le parole gli uscirono cosí naturali, come il prodotto indiscutibile di un’antica e dimostrata capacità di parlare, che Mr Bones non restò minimamente sorpreso del miracolo appena accaduto.
– Vuol dire che stai sbagliando tutto, – disse Willy. – Scappare a Baltimora, vagabondare in questi prati del cazzo, lasciarti crepare di fame senza motivo. Non va, compare. Trovati un altro padrone, o il tuo pelo è cenere.
– Ho trovato Henry, no? – obiettò Mr Bones.
– Una perla di bambino, quello, fido e costante. Ma non era all’altezza. È questo il problema con i giovani. Possono anche essere pieni di buone intenzioni, ma non hanno il potere. Tu devi puntare dritto alla vetta, Mr Bones. Trova uno che comanda, uno che prende le decisioni, e attaccati a lui. Non c’è altro modo. Devi ripartire da zero, e non ce la farai mai se non cominci a usare il cervello.
– Ero disperato. Come potevo sapere che suo padre si sarebbe rivelato cosí odioso?
– Perché, non ti avevo forse messo in guardia su quei ristoranti? Appena hai visto dove andavi a parare, avresti dovuto dire tante grazie e gambe in spalla.
– Ma l’ho fatto. E quando mi sveglio domani mattina, ricomincerò a scappare. Questa è la mia vita adesso, Willy. Corro, e continuerò a correre fino a scoppiare.
– Non mettere una croce sopra gli uomini, Bonesy. Abbiamo le nostre magagne, ma devi farti coraggio e riprovare.
– Non ci si può fidare degli uomini. Ora lo so.
– Ma di me ti fidi, giusto?
– Tu sei l’unico, Willy. Ma non sei come gli altri, e da quando te ne sei andato, sulla terra non esiste piú nessun posto dove io non sia in pericolo. Soltanto ieri, per poco non mi ammazzano. Stavo prendendo una scorciatoia per un campo, non so dove, e un tizio su un camioncino rosso comincia a inseguirmi. E rideva, per giunta; poi ha tirato fuori un fucile e ha sparato. Fortuna che non mi ha preso. Ma come andrà la prossima volta?
– È solo un uomo. Per ognuno come lui, ce n’è un altro come Henry.
– I tuoi numeri sono inesatti, padrone. Esisterà pure qualche isolata anima candida con un debole per i cani, ma i piú non ci pensano due volte a puntare il fucile appena un quattrozampe mette piede sulla loro terra. Ho paura, Willy. Paura di andare a est, paura di andare a ovest. Data l’attuale situazione, credo che preferirei morir di fame qui in solitudine che andare incontro a una di quelle pallottole. Possono ucciderti solo perché respiri, e se ti imbatti in un odio come questo, a che serve tentare?
– D’accordo… rinuncia, se vuoi. Non sono io a decidere. Potrei cominciare a coccolarti, dirti che tutto andrà bene, ma perché mentirti? Forse andrà bene, e forse no. Non sono un indovino, e la verità è che non tutte le storie hanno un lieto fine.
– È proprio quello che cercavo di dirti.
– Lo so. E non mi sento di darti torto.
Fino a quel momento il treno era corso nella galleria a velocità costante, superando le stazioni deserte senza fermarsi. All’improvviso Mr Bones sentí lo stridere dei freni, e incominciarono a rallentare. – Cosa succede? – domandò. – Perché non si va piú veloci come prima?
– Devo scendere, – spiegò Willy.
– Cosí presto?
Willy annuí. – Adesso vado, – aggiunse, – ma prima voglio solo ricordarti una cosa che potresti avere dimenticato –. Si era già alzato in piedi e aspettava che le porte si aprissero. – Te la ricordi Mami-san, Mr Bones?
– Sicuro che la ricordo. Per chi mi hai preso?
– Bene… hanno tentato di uccidere anche lei. Le hanno dato la caccia peggio che a un cane, e per salvarsi non ha avuto altra scelta che fuggire. Anche gli uomini possono essere trattati come cani, amico mio, e a volte devono dormire nei fienili e nei prati perché non hanno altri posti dove andare. Prima di compiangerti troppo, ricorda almeno che non sei il primo cane a restare solo.
Sedici ore dopo Mr Bones era quindici chilometri a sud del prato dove aveva fatto il sogno, e usciva da una macchia di bosco sul limitare di una schiera di case nuove a due piani. Non aveva piú paura. Aveva fame, forse, era stanchissimo, ma quasi tutto il terrore che gli era cresciuto dentro negli ultimi giorni era sparito. Non sapeva il perché, ma fatto sta che al risveglio si era sentito molto piú rincuorato che in qualsiasi momento dopo la morte di Willy. Sapeva che il padrone non era stato davvero con lui in metropolitana, e sapeva di non essere davvero capace di parlare: ma nel riverbero delle bellissime e impossibili cose accadute in quel sogno sentiva che Willy gli era ancora vicino, e anche se non poteva essere materialmente con lui, era come se lo stesse proteggendo; e anche se adesso gli occhi benigni che lo guardavano erano dentro di lui, in un senso piú ampio non cambiava, perché quegli occhi erano l’esatta differenza fra il sentirsi soli e il non sentirsi soli al mondo. Mr Bones non aveva gli strumenti per analizzare le sottigliezze dei sogni, delle visioni e degli altri fenomeni psichici, ma sapeva per certo che Willy era a Timbuctú, e se lui era appena stato insieme a Willy, forse voleva dire che il sogno lo aveva portato a Timbuctú. Questo forse spiegava perché improvvisamente, dopo tanti anni di sforzi e fallimenti, era stato capace di parlare. E se era stato a Timbuctú una volta, era troppo ardito pensare che avrebbe potuto tornarci… semplicemente chiudendo gli occhi e cascando nel sogno giusto? Era impossibile dirlo. Ma quel pensiero lo rasserenava, proprio come lo aveva rasserenato stare in compagnia del suo vecchio amico, anche se niente di tutto ciò era successo davvero, anche se niente di tutto ciò fosse successo mai piú.
Erano le tre del pomeriggio, e l’aria era piena di suoni: tagliaerba, annaffiatrici, uccelli. In lontananza, su un’invisibile strada diretta a nord, uno sciame incessante di traffico pulsava nel paesaggio suburbano. C’era una radio accesa, e una voce di donna incominciò a cantare. Piú vicino, qualcuno scoppiò a ridere. Sembrava la risata di un bimbo, e arrivando alla fine del bosco dove aveva vagato nell’ultima mezz’ora, Mr Bones infilò il muso tra i rami e vide che era proprio cosí. Un maschietto di due o tre anni con i capelli biondo paglia era seduto per terra a tre o quattro metri da lui, e giocava a sollevare manciate d’erba e a lanciarle in aria. Ogni volta che una nuova doccia verde gli atterrava sulla testa, scoppiava in un nuova serie di risate, battendo le mani e saltando su e giú come se avesse scoperto il piú geniale passatempo del mondo. Una decina di metri piú in là una bambina con gli occhiali passeggiava avanti e indietro con una bambola tra le braccia, cantando una dolce ninnananna al bebè immaginario come se tentasse di addormentarlo. Era difficile stabilire la sua età. Poteva avere tra i sette e i nove anni, pensò Mr Bones, ma anche sei e sembrare piú grande o dieci e sembrare piú piccola… o forse cinque e sembrare ancora piú grande o undici e sembrare ancora piú piccola. Alla sinistra della bambina una donna in calzoncini e top bianchi china su un’aiuola di fiori rossi e gialli, stava cautamente estirpando le erbacce con una paletta. Voltava la schiena a Mr Bones, e dato che portava un cappello di paglia dalla tesa incredibilmente larga, tutto il viso restava nascosto. Il cane vedeva solo la curvatura della schiena, le efelidi sulle braccia snelle e l’angolo di un ginocchio bianco, ma anche con questi pochi elementi concluse che non era vecchia, non poteva avere piú di ventisette o ventotto anni: il che probabilmente significava che era la madre dei due bambini. Timoroso di mostrarsi, Mr Bones restò dove si trovava osservando la scena dal piccolo nascondiglio al confine del bosco. Non poteva sapere in anticipo se quella fosse una famiglia pro-cani o anti-cani, non aveva elementi per stabilire se lo avrebbero trattato con gentilezza o lo avrebbero cacciato in malo modo dalla loro terra. Su una cosa, tuttavia, non c’erano dubbi. Era finito su un prato bellissimo. Mentre stava a osservare l’inappuntabile riquadro di velluto verde che si stendeva davanti a lui, capí che non ci voleva troppa immaginazione per sentire come sarebbe stato bello rotolarsi su quell’erba e odorarne i profumi.
Prima che mettesse a punto la mossa successiva, la decisione gli fu strappata di mano. Il bambino lanciò in aria altre due manciate d’erba, che però stavolta non gli ricaddero in testa perché proprio in quel momento si alzò una brezza che le portò in direzione del bosco. Il bambino si voltò per seguire il volo dei fili verdi, e mentre i suoi occhi scrutavano lo spazio fra loro, Mr Bones vide la sua espressione passare dal freddo distacco scientifico alla piú completa sorpresa. Il cane era stato scoperto. Il bambino balzò in piedi e corse verso di lui con il passo d’anatra che gli imponeva il pannolino gonfio, squittendo di felicità: e proprio lí e allora, con tutto il suo futuro a un tratto in gioco, Mr Bones decise che quello era il momento che aveva aspettato. Non solo non si voltò per inoltrarsi nel bosco, non solo non scappò via: ma con estrema calma e sicurezza si portò sull’erba e lasciò che il bambino lo abbracciasse. – Cagnone! – gridò il piccolo umano stringendolo a tutta forza. – Bravo cagnone. Cagnone vecchio grande buffo.
Poi arrivò la bambina, attraversando il prato di corsa con la bambola fra le braccia e chiamando la donna dietro di lei. – Guarda, mammina, – disse. – Guarda cosa ha trovato Tiger –. Mentre il bambino continuava a stringergli il collo, il corpo di Mr Bones fu attraversato da una scossa di allarme. Dov’era questa tigre di cui parlava… e come poteva una tigre girare per luoghi abitati dagli uomini? Una volta Willy lo aveva portato allo zoo, quindi sapeva tutto di quei grossi felini a strisce. Erano ancora piú grandi dei leoni, e se per caso incontravi uno di quei cuccioloni con le zanne affilate, potevi dire ciao al tuo futuro. Una tigre ti sbrana in circa dodici secondi, e se qualche pezzo non le piace diventa una leccornia per avvoltoi e vermi.
Tuttavia Mr Bones non scappò. Continuò a permettere al suo nuovo amico di stritolarlo, sopportando con stoicismo la forza stupefacente della stretta, e sperò che le sue orecchie gli avessero giocato un brutto scherzo, e semplicemente non avesse sentito bene quello che la bambina aveva detto. Il pannolino si stava afflosciando perché era pieno di pipí, e mescolate con il sentore dominante di ammoniaca poté distinguere tracce di carota, banana e latte. Poi la bambina si accoccolò vicino a lui, scrutando il muso di Mr Bones con i suoi occhioni azzurri, e il mistero fu improvvisamente svelato. – Tiger, – disse al bambino, – lascialo andare. Cosí lo soffochi.
– Mio amico, – replicò Tiger, stringendo ancora di piú, e anche se a Mr Bones fece piacere appurare che non stava per essere sbranato da una belva, la pressione sulla gola cominciava a diventare abbastanza forte da costringerlo a dibattersi. Forse il bimbo non era una vera tigre, ma questo non significava che non fosse pericoloso. Nel suo piccolo, era piú animalesco di Mr Bones.
Fortunatamente proprio allora la donna arrivò e afferrò il bambino per un braccio, staccandolo da Mr Bones prima che potesse far danni. – Attento, Tiger, – disse. – Non sappiamo se è un cane buono o no.
– Oh, sí che è buono, – disse la bambina, accarezzando dolcemente sulla fronte Mr Bones. – Basta guardarlo negli occhi. È buonissimo, mammina. Per me è il cane piú buono che ho mai visto.
Mr Bones restò sbalordito dalla straordinaria dichiarazione della bambina, e proprio per dimostrare di che buona pasta era fatto, un cane che non serbava mai rancore, incominciò a leccare la faccia di Tiger in uno svenevole empito di affetto. Il piccolo ululò dalle risate, e anche se alla fine l’urto della lingua di Mr Bones gli fece perdere l’equilibrio, il turbolento Tiger pensò che fosse la cosa piú divertente che gli era mai capitata, e continuò a ridere sotto il fuoco di sbarramento di baci canini proprio mentre crollava sul sederino bagnato.
– Be’, almeno è socievole, – disse la donna alla figlia, come facendo un’ammissione importante. – Ma che pulciaio… credo di non avere mai visto un cane piú sporco, arruffato e malconcio di questo.
– Non ha nessun difetto che non si possa eliminare con un po’ d’acqua e sapone, – obiettò la bambina. – Guardalo, mammina. Non è solo simpatico, è anche intelligente.
La donna rise. – E come lo sai, Alice? Non ha fatto nient’altro che leccare la faccia a tuo fratello.
Alice si accovacciò vicino a Mr Bones e lo prese per la pelle del collo. – Fai vedere quanto sei furbo, bello, – disse. – Fai un numero o una cosa strana, dài… tipo rotolarti o alzarti in piedi sulle zampe di dietro. Dimostra alla mia mamma che ho ragione.
Pochi traguardi erano negati a un cane del suo coraggio, e Mr Bones si accinse di buon grado a dimostrare le sue capacità. Prima si rotolò sull’erba – non una sola volta, ma ben tre – poi inarcò la schiena, alzò le zampe anteriori fino al muso e lentamente si sollevò su quelle posteriori. Erano anni che non provava questa acrobazia, ma anche se le giunture gli dolevano e barcollava piú di quanto avrebbe voluto, riuscí a mantenere la posizione per tre o quattro secondi.
– Visto, mammina? Che ti avevo detto? – disse Alice. – È il cane piú intelligente del mondo.
Per la prima volta la donna si chinò all’altezza di Mr Bones e lo guardò negli occhi: e anche se portava gli occhiali da sole e aveva ancora il cappello in testa lui vide che era molto carina, con ciocche di capelli biondi che si arricciavano sulla nuca e una bocca sensuale ed espressiva. Ebbe un tremito dentro quando lei gli parlò con la cadenza lenta e strascicata del Sud: e quando incominciò ad accarezzarlo sulla testa con la mano destra, Mr Bones si sentí indubbiamente il cuore andare in pezzi.
– Tu capisci cosa ti stiamo dicendo, vero, cagnone? – disse. – Sei un cane speciale, eh? E sei stanco e sbattuto, e hai bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. È cosí, eh, vecchiaccio? Sei solo, randagio e stanco morto.
Ci fu mai povero bastardino piú fortunato di Mr Bones quel pomeriggio? Senza altre discussioni, e senza piú bisogno di affascinarli o dimostrare loro tutta la sua bontà, il cane sfinito fu condotto dal prato nel tempio della famiglia. Qui, in una cucina bianca smagliante, circondato da armadietti dipinti di fresco e da sfolgoranti utensili metallici, in un’atmosfera di abbondanza che non aveva mai immaginato potesse esistere in terra, Mr Bones mangiò a quattro palmenti, rimpinzandosi con avanzi di roast beef, un piatto di maccheroni al formaggio, due lattine di tonno e tre wurstel, per non dire delle due ciotole d’acqua lappate fra una portata e l’altra. Avrebbe voluto trattenersi, mostrarsi come un cane di modesto appetito, uno che costava poco mantenere, ma quando si trovò davanti il cibo, la fame travolse il riserbo e lui dimenticò ogni proponimento.
Questo non sembrò turbare i suoi ospiti. Erano gente di buon cuore, e sapevano riconoscere un cane affamato; e se Mr Bones lo era moltissimo, loro si dimostrarono altrettanto felici di rifocillarlo. Mangiò in un delirio di gioia, scordando tutto tranne il cibo che gli entrava in bocca e gli scivolava per la gola. Quando finalmente il pasto fu terminato e lui alzò gli occhi per controllare cosa stavano facendo gli altri, vide che la donna si era levata il cappello e gli occhiali e si chinava accanto a lui per togliere le ciotole dal pavimento. Ebbe una rapida visione dei suoi occhi grigio-azzurri e capí che era proprio una bellezza, una di quelle donne che entrando in una stanza lasciano gli uomini con il fiato mozzo.
– Allora, vecchiaccio, – disse accarezzandolo sulla testa, – va meglio?
Mr Bones fece un piccolo rutto di approvazione, poi cominciò a leccarle la mano. Tiger, di cui a questo punto si era quasi dimenticato, all’improvviso corse verso di lui. Richiamato dal suono del rutto, che lo aveva entusiasmato, il bambino si accostò al muso di Mr Bones ed emise a sua volta un finto rutto, divertendosi ancora piú di prima. Si stava profilando una sfida da bettola, ma prima che la situazione degenerasse la madre prese il bambino tra le braccia e si alzò. Guardò Alice, appoggiata a un arma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Timbuctú
  3. Capitolo primo
  4. Capitolo secondo
  5. Capitolo terzo
  6. Capitolo quarto
  7. Capitolo quinto
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright