Auður Ava Ólafsdóttir
La donna è un’isola
Traduzione di Stefano Rosatti
A mia figlia Melkorka Sigríður
Qual è quel posto dove ci sono le città ma non le case,
le strade ma non le macchine, i boschi ma non gli alberi?
Risposta: la carta geografica.
(Indovinello per bambini)
ZERO
Ora, quando mi guardo indietro e ricordo, mi sembra sia andata cosí, magari non proprio in quest’ordine preciso, ma cosí: al centro della foto ci siamo noi, stretti stretti una all’altro. Io gli cingo le spalle e anche lui mi abbraccia, anzi, piú che altro è aggrappato alle mie gambe. Sulla fronte pallida mi scende un ricciolo castano, lui sfoggia un largo sorriso e stringe qualcosa nel pugno che tiene teso davanti a sé.
Le orecchie a sventola sporgono dalla testa grossa; porta due apparecchi acustici particolarmente grandi e antiquati, tipo radar da osservatorio spaziale. Anche gli occhi, poi, ingigantiti enormemente dai vetri spessi degli occhiali, contribuiscono a rendere il suo look molto speciale. E infatti la gente per strada si volta a guardarlo; prima guardano lui, poi lanciano un’occhiata a me, poi di nuovo a lui, e finché non scompare dalla loro visuale continuano a osservarlo. Lo fanno anche adesso, ad esempio, mentre attraversiamo il piccolo parco giochi tenendoci per mano e io chiudo il cancelletto di ferro dietro di noi. E persino quando lo aiuto a montare sul seggiolino dell’auto e gli allaccio la cintura, vedo che qualcuno all’interno di un’altra auto ci sta fissando.
Sí, sullo sfondo della foto c’è anche la mia macchina: quattro anni, cambio manuale. Nel bagagliaio nuotano tre pesciolini rossi – lui non ne sa ancora niente – e sotto, come una spugna impregnata d’acqua, c’è il sacco a pelo blu a due piazze. Dovrò decidermi e andare alla Cooperativa a comprare due piumoni imbottiti, perché non sta bene che una donna di trentatre anni condivida un sacco a pelo simile con un ragazzino che non è nemmeno suo parente. Non si fa. La spesa non dovrebbe costituire un problema, perché il vano portaoggetti è pieno zeppo di banconote. Le ho prelevate direttamente dalla banca, ma no, non c’è di mezzo nessun crimine, a meno che non si consideri un crimine l’andare a letto con tre uomini nello spazio di trecento chilometri su uno dei tratti perlopiú non asfaltati della strada Nazionale, quella che percorre ad anello tutta l’isola. Per l’esattezza uno di quei tratti, fra il ghiacciaio e la costa, dove la via si restringe in piú punti ed è pieno di ponti a carreggiata unica.
Ultimo giorno del mese di novembre, un giorno di buio fitto, qui sull’isola. Niente è come dovrebbe essere. Indossiamo tutti e due solo il maglione, io uno bianco a collo alto, lui quello nuovo, color verde menta e lavorato a mano, a trecce e con il cappuccio. La temperatura è come quella di ieri a Lisbona, dice lo speaker alla radio, e si prevede ancora clima mite e pioggia. È per questa ragione, la pioggia, che una donna sola con un bambino non dovrebbe avventurarsi senza validi motivi in certe zone desertiche e disabitate, soprattutto non nelle vicinanze dei ponti a carreggiata unica, perché lí molto spesso l’acqua tracima e c’è il rischio che inondi la strada.
Non sono cosí presuntuosa da pretendere che dietro ogni curva appaia un nuovo amante, anche se non voglio escludere completamente una tale eventualità. Osservando meglio la foto, vedo che alle mie spalle, proprio a pochi passi da me, c’è un giovanotto, potrebbe avere diciassette anni, il suo viso non è del tutto a fuoco, anche se, praticamente, si trova fra me e il bambino. Sotto il berretto i tratti del volto sono gentili, ma l’impressione è che abbia sofferto di qualche forma di dermatite, da cui solo ora la sua pelle si sta riprendendo. Sembra avere un gran sonno, se ne sta aggrappato alla pompa della benzina con le palpebre semichiuse.
Se si guarda bene la foto, se la si osserva veramente in ogni particolare, ci si accorge dei resti di piume sui copertoni, e persino delle tracce di sangue sui copricerchi. Eppure sono già trascorse tre settimane, da quando mio marito se n’è andato. Oltre all’attrezzatura da campeggio e a dieci casse di libri, si è portato via anche il materasso anatomico dal letto matrimoniale. La divisione dei beni è andata cosí. Ad ogni modo, niente è come sembra, lo si tenga presente: in confronto a una fotografia, la realtà è una specie di groviglio brulicante.
UNO
Non era un bambino, grazie al cielo!
Slaccio la cintura e mi precipito fuori dalla macchina per vedere di che animale si tratta. A prima vista sembra ancora tutto intero, solo leggermente tramortito, invece no, ha il collo penzoloni e macchie di sangue sul petto. Sotto il piumaggio imbrattato di gasolio temo che il cuore dell’oca sia andato in pezzi.
Quando ho frenato bruscamente, le carte sono scivolate fuori dai classificatori e le traduzioni in varie lingue si sono sparse sul pavimento della macchina; sul sedile posteriore zeppo di roba rimane un solo plico, intatto.
Un particolare che non esito a far presente ai miei clienti, e che è anche il punto forte del mio lavoro, è il servizio a domicilio. Quando è tempo di consegne, salgo in macchina e via, riporto direttamente a casa loro bozze corrette, articoli, traduzioni… come per i noodle e gli involtini primavera. Può sembrare un metodo fuori moda ma funziona, alla gente piace sia la sensazione tattile del contatto con il materiale cartaceo, sia il trovarsi per un attimo faccia a faccia con la sconosciuta che si è spinta a scrutare fin nei recessi piú intimi del loro animo, per cosí dire. La cosa migliore è presentarsi qualche attimo prima di cena, quando la pasta è al dente e non può restare in pentola a bollire un minuto di piú, o quando la cipolla è rosolata a puntino insieme al pesce impanato e il padrone di casa prima di andare a rispondere al citofono non ha avuto la prontezza di spegnere sotto la padella. L’esperienza insegna che cosí si fa molto piú in fretta, la gente non ama ricevere visite improvvise con la casa che sa di cibo, né mettersi a discutere con un’estranea standosene in ciabatte, o solo con le calze, o magari a piedi nudi, in un ingresso minuscolo ricoperto di scarpe, di calzature di ogni tipo, coi bambini di là che chiamano, irrequieti. In simili circostanze – lo dico sempre per esperienza personale – i conti si fanno in un attimo e la possibilità che il cliente tiri a non pagare l’Iva si riduce al minimo. Non la fanno troppo lunga neanche quando dico che non accetto pagamenti con carta di credito, anzi, staccano in fretta un assegno e si riprendono i loro lavori.
Quando invece sono loro a presentarsi nel piccolo appartamento-studio che ho affittato nella zona del porto, allora non c’è niente da fare, si mettono comodi, si prendono tutto il tempo che vogliono e giú a dibattere i miei commenti, a cercare di convincermi delle loro corrette intenzioni, della loro conoscenza in merito alla materia trattata, del perché abbiano espresso parole e concetti proprio nel modo in cui li hanno espressi… il mio compito non è riscrivere l’articolo – in una sola frase avrei cancellato nove parole – ma piuttosto correggere ciò che nella fretta può sfuggire come banale errore di battitura: è proprio quel che mi fa notare un cliente mentre davanti allo specchio nell’ingresso si sistema occhiali e cravatta e si liscia i capelli fin sulle mascelle. L’idea – dice – non deve essere quella di rendere semplicistico un pensiero complesso, il mio articolo è rivolto a specialisti.
E io che gli avevo persino lasciato correre roba come «della realizzazione del piano dello sfruttamento dell’energia»! E mi chiedevo se «efficiente», che ricorreva quattordici volte nella stessa pagina, non si sarebbe magari potuto sostituire, di tanto in tanto, con il vecchio, molto nostrano e non frequentissimo «deficiente», ovvero «scarso al bisogno». No, questo non gliel’avevo detto, lo avevo solo pensato tra me e me, cosí, per tirarmi un po’ su.
Ma comunque, quando alla fine i problemi vengono appianati, non è raro che certi uomini comincino a parlare un po’ di sé e comincino a chiedere anche un po’ di me, se sono sposata e cose del genere. In due o tre occasioni ho persino finito per preparare dei toast, ad alcuni di loro. Sia come sia, devo confessare che a comporre l’annuncio pubblicitario non sono stata io, bensí la mia amica Auður, in preda a un evidente attacco di mania di grandezza. L’esagerazione non rientra nel mio stile.
Offresi per correzione di bozze, revisione tesi di laurea, saggi, articoli relativi a qualsiasi soggetto, destinati alla pubblicazione su riviste specialistiche e/o su quotidiani.
Si ritoccano discorsi politici e comizi, indipendentemente dal colore, si trasformano errori sintattico-grammaticali da potenziali rivelatori dell’identità dello scrivente in formule anonime classiche, ideali per lettere di reclamo e/o lettere di ammiratori.
Si eliminano da discorsi inaugurali impurità linguistiche nonché citazioni troppo smaccate di filosofi e poeti, si eleva (fino al grado di «sublime») il tono dei necrologi, si menzionano ad hoc poeti della nostra tradizione nazionale.
Inoltre: traduzioni in e dall’islandese di undici lingue, tra cui russo, polacco e ungherese. Lavoro rapido e accurato. Servizio a domicilio. Tutti i testi trattati nel rispetto della privacy degli autori.
Raccolgo il volatile, il suo corpo è ancora caldo, constato di aver investito un esemplare maschio. Ironia della sorte, ho appena terminato di revisionare un articolo sul comportamento sentimentale delle oche e sulla loro assoluta fedeltà a un unico partner per tutta la vita. Per cui mi guardo intorno aspettandomi di veder spuntare dal gruppo la sua amata. Sulla strada ghiacciata le ultime ritardatarie stanno ancora procedendo a fatica, per raggiungere il marciapiede sul lato opposto, sparpagliate sull’asfalto con le grandi zampe palmate arancioni. Ma da quel che vedo, nessuna ha lasciato le altre per cercare il compagno, né riesco a farmi un’idea su quale, fra i membri del gruppo, potrebbe essere la fidanzata dell’uccello che sto tenendo fra le braccia. È da un po’, invece, che ho cominciato a riconoscere i vari gatti neri sulla strada: li distinguo per il loro modo di reagire all’agitazione e alle carezze.
Quel che piú mi sorprende, mentre in mezzo alla strada reggo il collo a questo volatile grassoccio, è che non provo né orrore, né senso di colpa. Eppure nel mio intimo credo di essere una persona compassionevole, cioè, una che cerca di evitare le discussioni, che non è capace di rifiutare nessuna proposta, specie se fatta con quella certa sensibilità tutta maschile. E poi compro sempre i biglietti della lotteria, di qualsiasi associazione benefica, basta solo che me li infilino nella buca delle lettere. Ora invece mi sento eccitata come quando, prima di Natale, entro nei supermercati e mi piazzo davanti al banco della carne, pensando soprattutto a quali spezie adoperare, a quale contorno preparare. Chissà se il battistrada delle Goodyear risulterebbe visibile anche sotto due dita di densa salsa per selvaggina. Mi sembra già di vederli, i nostri ospiti, gli amici che inviteremo per una cena a sorpresa, una di queste sere buie di novembre. «Allora, felice anno nuovo in anticipo a tutti!», annuncerò, e si comincerà a banchettare.
Per il momento prendo alcune pagine di un articolo mortalmente noioso sulle condutture per acqua geotermale e le piazzo sotto il volatile, prima di deporlo nel bagagliaio. Sono secoli che non apro il bagagliaio, scopro che è tutto pieno di rotoli di carta da cucina. Li avevo comperati come contributo benefico per finanziare il viaggio di una squadra sportiva di adolescenti disabili. Si poteva scegliere fra rotoli e gamberi, per fortuna non avevo optato per i secondi.
Ma l’oca non seguirà la stessa sorte dei rotoli, sarà una sorpresa culinaria per mio marito, che è cuoco raffinato. Prima però devo passare dal quartiere di Melar: c’è una cosa che mi sono ripromessa di non fare mai piú. Questa sarà l’ultima volta.
DUE
Parcheggio proprio davanti al condominio e corro su fino al terzo piano, facendo a due a due gli scalini rivestiti di una moquette indistruttibile. I miei tacchi risuonano sul pavimento lilla del pianerottolo. Mentre salgo, due o tre porte si aprono appena appena. Da quelle fessure, strette come spiragli di buche delle lettere, emana un odore di convivenza, decennale e garbata. Non mi importa, seguano pure tutte le mie mosse, se vogliono, non me ne importa niente, quello che sto per fare per la terza volta in tre settimane è qualcosa che non rientra nelle mie abitudini, anzi, è un’eccezione assoluta, nel contesto del mio matrimonio. E dopo, quando scenderò queste stesse scale, la decisione di non tornare piú qui sarà già stata presa, perciò chi se ne frega, agli spioni che mi osservano da dietro i loro orifizi non voglio pensare neanche per mezzo secondo. E poi ho fretta, una gran fretta di stringere le mani insanguinate intorno al collo del mio amante, brucio dalla voglia di far scorrere le mie dita sotto la sua nuca, di lasciargli un solco rosso vivo lungo la schiena. E di finire presto per correre a comprare il contorno per l’oca prima che i negozi chiudano. La cosa che prende piú tempo è liberarmi degli stivali, mi aiuta lui puntellandosi contro la porta, mentre io alzo la gamba. Si è già levato gli occhiali e non mi toglie gli occhi di dosso. Ha abbassato quasi del tutto le veneziane. Il sole di ottobre sta tramontando dietro la penisola di Seltjarnarnes e disegna sui nostri corpi delle strisce. Come due zebre, al loro fugace incontro presso una sorgente. Dal profumo di detersivo che si spande fra le coperte, deduco che ha cambiato le lenzuola, è tutto molto pulito. In caso di incendio, o di guerra, abbandonerei un appartamento cosí senza cercare di salvare neanche il minimo indispensabile, non sentirei la mancanza di niente. Gli unici oggetti che danno un minimo di vivacità alla stanza sono le mantovane coi ricami in pizzo che reggono le tendine.
– Le ha cucite mia madre, me le ha regalate quando mi sono separato, – dice lui schiarendosi la gola.
Certo, un ambiente varia a seconda dello stato d’animo e a seconda delle emozioni che si provano, ma lasciamo andare, non ho nessuna voglia di mettermi a discutere di estetica e sentimenti proprio qui e ora. Che roba, me ne sto nuda sul bordo del letto e non c’è niente di premeditato, nessuna preparazione, anzi, mi sembra di vivere tutto come fosse «l’attimo fuggente». Non mi interessa che l’appartamento sia b...