Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2
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Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2

Informazioni su questo libro

Quando le cronache ufficiali descrissero l'impresa di Noè, sorvolarono su una serie di episodi poco edificanti che, se fossero stati rivelati, avrebbero potuto ridimensionare il valore mitico dell'epopea. Nessuno, però, sapeva che un animaletto, salito a bordo da clandestino, era stato testimone di quei retroscena non proprio eroici, e aveva deciso di raccontarli.
Come si conclusero i processi ecclesiastici celebrati nella Francia medievale contro quei tarli accusati di avere rosicchiato gli arredi sacri? Che cosa capitò a Spike Tiggler, l'astronauta che, dopo aver portato un pallone sulla luna, svelò il mistero del Monte Ararat? E quale fine fece l'unicorno che godeva di cosí tante attenzioni da parte della moglie di Noè?
Rimbalzando di continuo tra epoche e situazioni diverse, Julian Barnes ripercorre le grandezze e le follie dell'umanità, lanciando una sfida ambiziosa alla fantasia del lettore: immaginare un mondo completamente nuovo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806217280
eBook ISBN
9788858410974

Julian Barnes

Una storia del mondo
in 10 capitoli e ½

Traduzione di Riccardo Mainardi

Einaudi

 

A Pat Kavanagh

Capitolo primo

I clandestini

Installarono i behemoth nella stiva, in compagnia degli ippopotami, dei rinoceronti, degli elefanti. Fu un’ottima idea quella di utilizzarli come forza di contrappeso, ma immaginatevi la puzza. E non c’era nessuno che asportasse lo sterco. Gli uomini, che si avvicendavano nel compito di nutrire gli animali, erano troppo indaffarati, e le loro donne, che, investite da quelle zaffate di profumo, puzzavano senza dubbio come noi, erano decisamente troppo fragili. Pertanto, se proprio si voleva procedere quantomeno a una sommaria pulizia, dovevamo arrangiarci. Ogni due o tre mesi, aprivano il pesante portello che chiudeva il ponte di poppa e facevano entrare gli uccelli spazzini. Be’, prima di tutto dovevano lasciar uscire il fetore (e non erano molti i volontari disposti ad azionare il verricello che sollevava la botola); dopo di che, sette o otto degli uccelli meno schizzinosi per un paio di minuti saltellavano e svolazzavano cauti prima di farsi forza e calarsi dentro. Non rammento come si chiamassero – anzi, una di quelle coppie apparteneva a una specie ora estinta – ma voi capite ugualmente a che genere di volatili io alluda. Non vi è capitato di vedere un ippopotamo con le fauci spalancate, e un vivace, pimpante uccellino impegnato a ripulirgli con un becchettío frenetico la chiostra dei denti, come un maniaco dell’igiene orale? Ebbene, immaginatevi la stessa cosa, ma su scala piú vasta e piú caotica. Personalmente non sono molto schifiltoso, ma al cospetto della scena che si svolgeva sottocoperta rabbrividivo anch’io: immaginatevi una lunga schiera di mostri imbambolati che si facevano fare il manicure sul fondo di una chiavica.
All’interno dell’Arca vigeva la piú rigorosa disciplina: questo è il primo punto da sottolineare. Il luogo non aveva nulla a che vedere con quelle casette di legno verniciato nelle quali forse avete giocato da bambini, con le coppie di animali felici e soddisfatte che si affacciavano al parapetto dai loro stalli perfettamente spazzati e ripuliti. E tantomeno immaginatevi una sorta di crociera nel Mediterraneo durante la quale i languidi vacanzieri giocassero alla roulette e per cena indossassero abiti da sera. Nell’Arca, i soli in frac erano i pinguini. Si trattava, non dimentichiamolo, di un viaggio lungo e pericoloso: pericoloso ancorché certe regole fossero state fissate in partenza. E parimenti ricordatevi che avevamo a bordo l’intero regno animale: avreste collocato i ghepardi a distanza tale da consentirgli di avventarsi sulle antilopi? Un certo grado di sicurezza era imprescindibile. Per questo dovevamo accettare serrature a doppia mandata, sopportare ispezioni negli stalli e coprifuoco notturno. Ma purtroppo fioccavano anche le punizioni, né mancavano le celle d’isolamento. Qualcuno situato al vertice cominciò a essere ossessionato dalla smania dell’informazione e tra i viaggiatori ci fu chi accondiscese a fare lo spione. Mi duole dover ammettere che a volte la delazione presso le autorità era assai diffusa. La nostra Arca non era una riserva naturale; piú sovente presentava i connotati di una prigione galleggiante.
Ora mi rendo conto che le cronache dei fatti differiscono tra loro. La vostra specie ha tutta una serie di racconti che a tutt’oggi non ha cessato di affascinare anche gli scettici, mentre gli animali hanno un compendio di miti sentimentali. Ma non saranno loro a provocare guai, dopo essere stati considerati degli eroi, dopo che il fatto di poter ripercorrere a ritroso la genealogia della famiglia fino all’Arca è diventato per ciascuno un motivo legittimo di orgoglio. Sono stati prescelti, hanno resistito, sono sopravvissuti: è normale che travisino artatamente gli episodi poco edificanti, che vadano soggetti a comodi vuoti di memoria. Io però, sotto questo aspetto, non subisco costrizioni di sorta. Non sono mai stato scelto, io. Anzi, al pari di svariate altre specie, non sono stato scelto a bella posta. Ero un passeggero clandestino. Sono sopravvissuto anch’io. L’ho fatta franca (sgattaiolare via dall’Arca non fu meno difficile che metter piede a bordo) e ho prosperato. Vivo un po’ appartato dal resto del consorzio animale, che organizza tuttora i suoi raduni all’insegna della nostalgia. Esiste perfino un Sealegs Club, raduno di tutte le specie che non hanno mai sofferto di mal di mare. Rievocando il Viaggio, non sento alcun dovere di riconoscenza; la gratitudine non depone uno strato di vaselina sulle lenti. Potete prestar fede alla mia cronistoria.
Probabilmente avrete afferrato che la cosiddetta Arca era assai piú di una singola imbarcazione. In realtà era il nome con il quale designavamo l’intera flottiglia. D’altronde, non si può certo pensare che fosse possibile stipare l’intero regno animale in un vano lungo appena trecento cubiti. Ha piovuto per quaranta giorni e quaranta notti? Inutile dire che le cose sono andate altrimenti, giacché in tal caso si sarebbe trattato dell’andamento meteorologico di una qualsiasi estate inglese. No, per quanto riesco a ricordare, ha piovuto per circa un anno e mezzo. Le acque hanno inghiottito la terra per centocinquanta giorni? Facciamo quattro anni, o giú di lí. E cosí via. La vostra specie, in quanto a dati, è sempre stata negata. Attribuisco il fenomeno al vostro chiodo fisso per i multipli di sette.
Inizialmente, l’Arca era costituita da una flotta di otto unità. In testa si collocava il galeone di Noè, che rimorchiava la nave-dispensa. Seguivano quattro imbarcazioni di dimensioni leggermente inferiori, capitanate, ognuna, da uno dei figli di Noè e, a distanza di sicurezza (dal momento che la famiglia coltivava superstizioni sulle malattie), la nave-ospedale. L’ottavo vascello recava in sé un piccolo mistero: quella piccola, veloce imbarcazione con la poppa adorna di un fregio in legno di sandalo lavorato a filigrana seguiva da presso, servile, la rotta dell’arca di Cam. Se vi portavate sottovento, a volte le vostre narici venivano aggredite da strani profumi. La notte, quando il furore della tempesta si placava un poco, il vostro orecchio poteva percepire musiche allegre, stridule risate – suoni davvero sorprendenti per noi, giacché eravamo persuasi che tutte le mogli dei figli di Noè fossero comodamente installate nelle loro navi. Tuttavia quella nave pervasa di aromi ed echeggiante di risate non era affatto solida. Una burrasca improvvisa bastò a mandarla a picco, e per parecchie settimane successive Cam fu molto pensieroso.
La seconda ad andare in malora fu la nave-dispensa. Avvenne in una notte senza stelle, quando cadde il vento e le sentinelle erano assopite. L’indomani mattina, tutto ciò che teneva dietro la nave-ammiraglia di Noè era lo strascico formato da una grossa gomena ch’era stata incisa e mordicchiata da un essere dotato di incisivi acuminati e della capacità di abbarbicarsi alle funi impregnate d’acqua. Tali avvenimenti, posso assicurarvelo, furono oggetto di aspre recriminazioni. E in effetti è molto probabile che sia stata questa la prima circostanza in cui una specie scomparve, scaraventata fuoribordo. Di lí a breve andò perduta anche la nave-ospedale. Corse voce che ci fosse un nesso tra questi due eventi, che la moglie di Cam – piuttosto carente in fatto di ponderatezza e filosofica seraficità – avesse deciso di vendicarsi sugli animali. A quanto pareva, le sue coperte ricamate, frutto del lavoro di un’intera vita, erano affondate con la nave-dispensa; ma la circostanza non fu mai provata.
Tuttavia la catastrofe piú grave fu senz’alcun dubbio la perdita di Varadi. Cam, Sem e l’altro, quello con il nome che iniziava per I, li conoscete tutti. Ma di Varadi non sapete nulla, immagino. Era, tra i figli di Noè, il piú giovane e il piú robusto, il che naturalmente non contribuiva a farne il membro piú simpatico e accetto del nucleo familiare. Inoltre era dotato di senso dell’umorismo, o quantomeno era proclive al riso, il che nell’ambito della vostra specie è per solito sufficientemente probatorio. Sí, Varadi era sempre ilare e di umor lieto. Lo si vedeva pavoneggiarsi sul cassero con un pappagallo su ciascuna spalla. Assestava una pacca affettuosa sul posteriore dei quadrupedi, ed essi reagivano con un muggito soddisfatto. Si diceva altresí che a bordo della sua arca vigesse una disciplina assai meno tirannica di quella imposta sulle altre imbarcazioni. Ma, ahimè, una mattina, al nostro risveglio, constatammo che la nave di Varadi era svanita nel nulla, trascinando con sé un quinto del regno animale. Scommetto che il simurgh, con la sua testa argentea e la coda simile a quella di un pavone, vi sarebbe piaciuto moltissimo; ma l’uccello che nidificava tra i rami dell’Albero della Conoscenza non ebbe ragione delle onde piú del microto pezzato. I fratelli maggiori di Varadi attribuirono la sciagura alle scarse doti di navigatore di Varadi. A sentir loro, Varadi sprecava troppo tempo a fraternizzare con le bestie. Si arrischiarono perfino a insinuare che Dio avesse voluto punirlo per un’offesa imprecisata da lui commessa quando era un bambino di ottantacinque anni. Ma quale che fosse la verità celata dietro la morte di Varadi, la sua scomparsa fu una grave perdita per la vostra specie. I suoi geni vi sarebbero stati di grandissimo aiuto.
Per quanto ci riguarda, questa faccenda del Viaggio ebbe inizio quando fummo invitati a presentarci in un certo luogo entro una data stabilita. Fu la prima cosa che apprendemmo circa il programma in corso. Del retroscena politico non sapevamo nulla. La collera di Dio nei confronti della sua creazione ci giunse affatto nuova; dopo di che, volenti o nolenti, fummo catturati. Noi, comunque, eravamo del tutto incolpevoli (non crederete, immagino, alla fandonia del serpente, frutto della perversa propaganda di Adamo), il che non toglie che per noi le conseguenze siano state oltremodo penose: ogni singola specie venne spazzata via, fatta eccezione per una sola coppia che fosse in grado di procreare, e questa coppia si trovò in balía della furia dell’oceano, sotto l’egida di un vecchio furfante affetto da grossi problemi d’etilismo, che aveva già doppiato il settimo secolo di vita.
Pertanto la notizia si diffuse, ma non a caso evitarono di confessarci la verità. Vi sembra concepibile che nelle immediate vicinanze del palazzo di Noè (giacché questo Noè non era certo povero) allignasse, comodamente disponibile, un esemplare di ogni specie animale esistente sulla madreterra? Suvvia, non diciamo assurdità. Si videro dunque costretti a fare opera di propaganda, e poi selezionare la migliore tra le coppie che si presentavano. Inoltre, per eludere il pericolo di suscitare il panico in tutto l’universo, annunciarono una competizione, una sorta di concorso di bellezza a coppie, ma non senza l’apporto della mente, un poco stile Filemone-e-Bauci – dicendo ai concorrenti che in un certo mese dell’anno si presentassero alla porta della residenza di Noè. Immaginatevi le difficoltà. Tanto per cominciare, non tutti erano dotati di natura competitiva, cosicché non possiamo escludere che si siano presentati solo i piú arraffoni e intraprendenti. Gli animali che non erano abbastanza astuti per leggere tra le righe conclusero semplicemente che non sentivano il bisogno di vincere una crociera di lusso per due, tutto pagato e tante grazie. Dal canto loro Noè e il suo personale trascurarono di considerare il fatto che in determinati periodi dell’anno alcune specie cadono in letargo, e del pari la circostanza anche piú ovvia che certi animali si muovono piú lentamente di altri. Prendiamo il caso, ad esempio, di un bradipo particolarmente flemmatico (una creatura davvero squisita, posso garantirlo di persona): a stento aveva avuto il tempo di calarsi ai piedi del suo albero quando venne travolto dal diluvio vendicativo del Signore. Secondo voi questa sarebbe stata una selezione naturale? Io la chiamerei piuttosto incompetenza professionale.
In effetti, l’organizzazione degenerò in una vera bolgia. Noè rimase in arretrato con la costruzione delle arche (e naturalmente le cose peggiorarono quando gli operai si accorsero che le cuccette erano insufficienti per essere a loro volta presi a bordo e portati appresso), con il risultato che la scelta delle coppie di animali non fu eseguita con adeguata oculatezza. La prima accoppiata appena passabile che si presentava veniva approvata e accolta con un cenno del capo. Il sistema, a quanto pare, era questo. L’esame del pedigree non era piú che vago e abborracciato. E, beninteso, sebbene dichiarassero di voler prendere con sé due esemplari di ogni specie, alla resa dei conti… certe creature erano semplicemente «Indesiderate in viaggio». È stato il nostro caso, appunto. Ecco il motivo per il quale ci siamo rassegnati a fare i clandestini. Le istanze di molti animali, suffragate da irrefutabili argomenti legali per essere reputati una specie autonoma, furono respinte. No, si sentivano obiettare, di voialtri ne abbiamo già due. Be’, che differenza rappresentano pochi anelli in piú attorno alla struttura della coda, o quei ciuffi cespugliosi lungo la colonna vertebrale? No, no, vi abbiamo già, spiacenti.
Splendidi esemplari d’animali si presentarono senza una compagna e fu giocoforza abbandonarli alla loro sorte. Famiglie intere si rifiutarono di essere separate dalla loro prole e preferirono morire insieme. Non mancarono controlli medici, spesso di natura brutalmente indiscreta; e per tutta la notte oltre la palizzata di Noè l’aria echeggiò del pianto dei respinti. Riuscite a figurarvi l’atmosfera quando alla fine si diffuse la notizia del motivo per il quale eravamo stati sottoposti alla simulazione di una simile gara? Non stenterete a immaginarvi le azioni deplorevoli, le scenate di gelosia. Alcune tra le piú nobili specie di animali si limitarono a dileguarsi nel folto della foresta, rifiutandosi di sopravvivere alle umilianti condizioni imposte da Dio e da Noè. Preferirono le ondate del diluvio e l’estinzione. I pesci furono fatti oggetto d’invidia e di epiteti insultanti. Gli anfibi assunsero un atteggiamento palesemente soddisfatto, mentre gli uccelli si esercitavano a rimanere in volo il piú a lungo possibile. Di tanto in tanto alcune specie di scimmie venivano sorprese nel tentativo di rimediare in proprio certe zattere di rozza fattura. Una settimana, nei Quartieri dell’Eletto si verificò un misterioso avvelenamento da cibo che impose di riprendere ex novo il processo di selezione per le specie meno sane e robuste.
Ci furono momenti in cui Noè e i suoi figli cedettero a una crisi di nervi. Ciò non collima con la vostra versione dei fatti? Siete sempre stati indotti a credere che Noè fosse savio, giusto, timorato di Dio, mentre io mi sono affrettato a descriverlo come un lestofante incline alla collera e al bere? Be’, le due visioni non sono del tutto incompatibili. Poniamo la cosa in questi termini: Noè era un brutto tipo, ma avreste dovuto conoscere gli altri. Non avevamo motivo di stupirci, noi, che il Padreterno avesse deciso di fare piazza pulita. Il solo motivo di perplessità derivava dal fatto che Dio avesse deciso di preservare certe espressioni della sua opera creativa che non sembravano onorarlo in modo particolare.
A volte Noè sembrava sul punto di cedere a un attacco isterico. Il completamento dell’Arca era in ritardo sul previsto. Bisognava spronare gli operai a suon di sferzate. Centinaia di animali in preda al terrore bivaccavano a ridosso del palazzo, né alcuno era in grado di sapere quando avrebbe cominciato a piovere. Dio non si era degnato di precisargli una data. Ogni mattina scrutavamo le nubi che navigavano nel cielo: sarebbe stato un vento dell’Ovest a recare la pioggia come sempre, oppure Dio avrebbe mandato quel suo acquazzone appositamente programmato da una direzione inconsueta? Poi, a mano a mano che le condizioni atmosferiche andavano lentamente peggiorando, l’eventualità di una rivolta si aggravò. Qualcuno tra i respinti voleva impadronirsi dell’Arca e mettersi in salvo, altri volevano distruggerla. Animali dotati di natura speculativa cominciarono a proporre principî selettivi basati non sul semplice numero, ma sulle dimensioni delle bestie o sulla loro utilità. Noè peraltro rifiutò con alterigia qualsivoglia negoziato in merito; aveva le sue piccole teorie, e non era disposto ad accettare quelle altrui.
Quando la flottiglia fu quasi ultimata si rese necessario sorvegliarla giorno e notte. Molti furono i tentativi d’imbarco clandestino. Un giorno un operaio fu colto in flagrante mentre cercava di aprire un nascondiglio fra le travature piú basse della nave-dispensa. Né mancavano spettacoli patetici: un cucciolo di alce scaraventato oltre il parapetto dell’arca di Sem, uccelli che si avventavano in picchiata contro la rete di protezione, e cosí via. Una volta scoperti, i clandestini venivano immediatamente messi a morte, ma queste esecuzioni pubbliche non valevano a distogliere quei disperati dai loro tentativi. Posso affermare, non senza orgoglio, che la nostra specie salí a bordo senza ricorrere alla violenza o alla corruzione. D’altro canto è pur vero che siamo meno visibili di un cucciolo di alce. Come abbiamo potuto cavarcela, mi domandate voi? Grazie alla previdenza di un nostro genitore. Mentre Noè e i suoi figli perquisivano rudemente gli animali via via ch’essi passavano attraverso il barcarizzo, passando le mani ruvide nei velli sospettosamente ispidi e trascurati, e procedendo altresí a un primitivo quanto altamente antigienico esame della prostata, noi eravamo già al riparo dai loro sguardi nonché al sicuro nelle nostre cuccette. Fu uno dei carpentieri della nave a portarci in salvo, pressoché inconsapevole di quello che faceva.
Per due giorni il vento soffiò simultaneamente da ogni direzione, dopo di che la pioggia cominciò a cadere. L’acqua scrosciava da un cielo adirato per purgare questo mondo infame. Gocce enormi esplodevano sul ponte come fossero state uova di piccione. Gli esponenti prescelti di ogni specie furono trasferiti dai Quartieri dell’Eletto nell’arca a essi assegnata, e la scena evocava un forzato matrimonio collettivo. Poi le botole furono ermeticamente chiuse, e cominciammo ad assuefarci al buio, al lezzo, alla segregazione. Per la verità, sulle prime non ne soffrimmo gran che: eravamo troppo elettrizzati dalla sopravvivenza. La pioggia cadeva senza posa, tramutandosi ogni tanto in grandine che cozzava tamburellando sul legname. A volte ci giungeva dall’esterno l’esplosione fragorosa del tuono, e piú sovente il lamento degli animali abbandonati. Dopo qualche tempo, nondimeno, quelle urla risuonarono con minor frequenza, e ne deducemmo che le acque avevano preso a salire.
Alla fine giunse il giorno tanto atteso. Lí per lí pensammo che si trattasse di un folle assalto lanciato contro di noi dai pachidermi ancora in vita, nella speranza di forzare l’Arca e porsi in salvo, o quantomeno che si avventassero con tutte le forze contro l’imbarcazione. Ma ci sbagliavamo: era la nave che scivolava via lateralmente, perché l’acqua cominciava a sollevarla dall’invasatura. Fu questo, a mio avviso, l’episodio culminante del Viaggio; il momento in cui la fratellanza tra gli animali e la riconoscenza per l’uomo fluirono come il vino sulla mensa di Noè. Dopo invece… forse le bestie sono state ingenue nel riporre fiducia in Noè, e a maggior motivo nel suo Dio.
Invero, prima ancora che le acque cominciassero a salire, erano insorti motivi di contrasto. So che la vostra specie tende a considerare il nostro mondo cannibalistico, brutale e infido (ancorché dovreste forse riconoscere che tali caratteristiche, piú che allontanarci, ci avvicinano a voi). Ma tra noi, e fino dalle origini, il senso dell’uguaglianza non è mai venuto meno. Oh, certo, certo, ci divoriamo a vicenda e cosí via. Le specie piú deboli sapevano perfettamente cosa dovessero aspettarsi se s’imbattevano in qualcuno piú grosso e piú affamato di loro. Ma questa per noi era semplicemente la realtà delle cose. Il fatto che un animale fosse in grado di ucciderne un altro non rendeva il primo superiore al secondo: era soltanto piú pericoloso. Forse questo è un concetto che voi stentate ad afferrare, eppure c’era tra noi reciproco rispetto. Divorare un altro animale non implicava averlo in spregio, e parallelamente il fatto di essere mangiati non inculcava nella vittima – o nei suoi familiari – una soverchia ammirazione per la specie divoratrice.
Noè – o ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2
  3. 1. I clandestini
  4. 2. I visitatori
  5. 3. Guerre di religione
  6. 4. La superstite
  7. 5. Naufragio
  8. 6. La montagna
  9. 7. Tre storie semplici
  10. 8. Controcorrente
  11. Parentesi
  12. 9. Progetto Ararat
  13. 10. Il sogno
  14. Nota dell’autore
  15. Il libro
  16. L’autore
  17. Dello stesso autore
  18. Copyright