Giuda
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Giuda

Il tradimento fedele

  1. 112 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Giuda

Il tradimento fedele

Informazioni su questo libro

«Le cose umane sono ambigue, aperte al bene e al male, - dice Gustavo Zagrebelsky. - La storia di Giuda è un inestricabile intreccio di questa duplicità». Scrutando le «ragioni di Giuda» è possibile esplorare uno dei territori piú inquieti del pensiero cristiano, non solo perché vi è in gioco la libertà della creatura rispetto ai disegni del creatore. Ma anche perché in Giuda si condensano, come una sterminata letteratura ci conferma, tutte le ombre del cuore umano: il suo sogno di bene e la sua capacità di male, il baratro della disperazione e il sogno della redenzione, la deformità del tradimento - l'affronto piú grande alla creatura che si offre inerme - e la domanda piú radicale su Dio, se cioè la sua misericordia sia tale da poter accogliere e perdonare anche il colpevole piú ripugnante. «Giuda andò incontro alla misericordia di Dio nonostante la disperazione del suo gesto? Condannato nei secoli, non è in fondo molto vicino a tutti noi? Il tradimento è solo suo? Di quale peso collettivo abbiamo caricato nei secoli la sua figura?
Giuda è una figura dell'ambiguità: piú ci si riflette, piú si scopre che questa icona del male ch'egli dovrebbe rappresentare nella sua purezza, l'eccellente nel peccato, l'imperdonabile, non smette invece, nella sua ambiguità, di interrogarci sempre di nuovo con domande alle quali, probabilmente, non è possibile dare risposte definitive. Anzi, forse il senso di tutto ciò che lo riguarda è proprio questo: ci sono interrogativi ineludibili, cui tuttavia non possiamo rispondere».

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806206666
I.

Consegnare e tradire

GABRIELLA CARAMORE Innanzitutto, perché ‘Giuda’? Da dove nasce il suo interesse personale per quell’‘uno’ dei dodici che tradí Gesú?
GUSTAVO ZAGREBELSKY La domanda è coinvolgente e, in certo senso, intima. Ricordiamo entrambi il momento in cui l’idea di parlare di Giuda ci parve promettente, per un dialogo su cose importanti. Non immaginavo che l’attenzione sarebbe finita per spostarsi da una vicenda di duemila anni fa, intrecciata col processo e con la morte di Gesú di Nazareth, a un’interrogazione su noi stessi. Come per tutte le grandi narrazioni bibliche, è però inevitabile che questo accadesse anche per la figura di Giuda. Cosí, lei ora mi chiede perché è interessante per me. Il che significa proporre Giuda come uno specchio in cui siamo invitati a guardarci senza nasconderci ciò che vediamo, cioè a non mentirci. Naturalmente, la risposta – anch’essa – è ‘per me’, cioè valida per me. Per altri, non saprei. Diano la loro risposta.
Credo di poter dire cosí: si tratta innanzitutto del fascino del personaggio che si è cucito, o al quale è stato cucito addosso, l’abito dell’abiezione. L’abiezione ci porta alla conoscenza piú autentica dell’essere umano. Ricorda l’uomo del sottosuolo dostoevskjiano? Quando sinceramente ci si rivela nell’abiezione, si è senza dubbio piú sinceri, e quindi interessanti, di quando ci si mostra nel nostro lato piú pulito, degno di stima e considerazione. Chi indossa o colui al quale è fatta indossare una divisa da santo è di solito piú artefatto, se non addirittura falsificato, di chi si rivela nella sua bassezza. Non che manchi anche un esibizionismo dell’abiezione, ma certo Giuda non può essere accusato di questo. Nessuno dei suoi gesti è descritto come se fosse stato compiuto per essere notato, per fare scandalo, per passare alla storia. Altri, tra i dodici, indulgevano talora alla vanità. Giovanni, per esempio, anche a giudicare da quel che dice di sé nel suo Vangelo, doveva essere un grande vanesio. Giuda, il contrario. Nessun beau geste da parte sua, non nel bene e nemmeno nel male. Non vuole lasciare un’impronta di sé, non cerca di diventare un eroe agli occhi di chi gli sta attorno, o semplicemente di assumere e rappresentare una sua parte in una ‘storia’. Agisce avvolto nell’ombra e, a differenza di altri dei dodici, non pare affatto desideroso di farsi notare. È cosí appartato che i Vangeli, al di là della vicenda del tradimento di cui è protagonista, gli dedicano pochissime parole alquanto insignificanti, oltre che non certo lusinghiere. La sua morte è un suicidio disperatamente solitario. Sarà pure un caso di damnatio memoriae da parte degli altri seguaci di Gesú, registrata dai Vangeli per ragioni dettate da esigenze di fondazione della fede e coesione dei fedeli. Ma questa mancanza di esibizione conferisce indubbiamente al suo profilo il pregio dell’autenticità. In certo senso, dobbiamo dargli credito. Almeno questo, povero Giuda! Perciò, come ogni figura dell’autenticità umana, anch’egli ci interpella immediatamente. E, anche se l’interpello si manifesta nell’abiezione, ci pone tuttavia di fronte a una possibilità che dobbiamo riconoscere essere implicita nella nostra condizione di esseri umani.
Ecco un primo motivo per fermarci a riflettere un poco sulla sua figura, direi: sulla ‘maschera’ che ci è offerta di lui, indipendentemente dalla questione della veridicità storica della sua vicenda, una questione che, in effetti, è stata sollevata. Credo che nel corso di questa conversazione ci accadrà di parlare di un ‘Giuda, fratello nostro’. Ecco, allora, la risposta alla sua domanda: un nostro ‘doppio’ che ci svela un lato di noi che non amiamo vedere e, tanto meno, mettere in mostra.
Torniamo ancora per un momento a considerare l’abiezione. È vero che i personaggi negativi incuriosiscono piú di quelli positivi, ma, prescindendo dall’interesse morboso, qui ci troviamo di fronte a un tipo di abiezione particolare: il tradimento. Giuda è un ‘traditore’, anzi ‘il’ traditore. E il tradimento è una forma sottile, nascosta, di abiezione.
G.Z. Sí. Il tradimento è sempre nascosto. Il traditore si dissimula. Agisce in modo tale che il tradimento non traspaia, tramite la simulazione dell’amicizia e della fedeltà. Anche in questo il racconto del tradimento di Giuda assume un andamento simbolico attraverso il bacio, il bacio del traditore. Nessun altro segno sarebbe stato altrettanto efficace, nella costruzione del paradigma del traditore come figura d’ipocrisia. Naturalmente, anche il bacio, come ogni altro elemento della narrazione evangelica, si presta a interpretazioni diverse. Sarà necessario ritornarci. Quello anzidetto è solo il significato, per cosí dire, piú facile, e forse anche banale.
E quello piú profondo? Piú difficile? Quello che ci fa guardare alla figura di Giuda come all’abisso che si nasconde in ciascuno di noi?
G.Z. Perché il tradimento di Giuda non potrebbe parlare a noi di noi? Forse perché si tratta del tradimento del giusto per eccellenza, del figlio dell’uomo o del figlio di Dio, in una vicenda svoltasi duemila anni fa che, secondo la fede cristiana, è irripetibile? Forse perché il ‘tradimento’ di Giuda assume significati che trascendono gli accadimenti puramente umani, significati che nessun nostro tradimento potrebbe avere? I Vangeli, però, non parlano della passione e della morte di Gesú come eventi interamente guidati dal soprannaturale. Perciò gli esseri umani che vi compaiono, non operano come marionette mosse dall’alto, su un palcoscenico che non potrà mai piú essere allestito. Se fosse invece cosí, tutti i tradimenti di cui noi potremmo essere capaci non sarebbero neanche lontanamente paragonabili a quello di Giuda, che finirebbe cosí per riguardare solo lui, entro gli eventi che l’hanno travolto e ci riuscirebbe totalmente incomprensibile. Piú ‘teologizziamo’ gli avvenimenti e li consideriamo ‘fatti divini’, meno facilmente noi riusciamo a rispecchiarci in essi. Li potremmo ricordare e, eventualmente, celebrare, ma non certo rivivere in noi, come cose nostre. Se invece consideriamo la vita e la morte di Gesú di Nazareth, secondo le narrazioni evangeliche, innanzitutto come vicende dell’umanità, ricche di umanità, allora la strada è spianata per farcene coinvolgere, come di fronte a tutte le grandi narrazioni che riguardano l’humana condicio e trovano nella corrispondenza a questa una loro prima verità, anche indipendentemente dalla fede.
Le grandi figure e le grandi vicende bibliche si prestano cosí a interpretazioni su piani diversi. La stessa cosa è anche per Giuda. Ai lati estremi, mi pare si possa dire, c’è l’interpretazione di lui come uno degli intimi del Signore, divenuto sordido traditore del ‘giusto’ per mero danaro. Al lato opposto, troviamo l’identificazione in lui dell’atteggiamento dell’umanità intera, di fronte al divino che entra nella storia. In mezzo, sta l’immagine della disperazione, del capro espiatorio del primo gruppo di discepoli, dell’uomo posseduto da satana, del rappresentante del popolo ebraico nel rifiuto del messia, oppure dell’amico di Gesú, suo complice, del coadiutore di Dio nell’opera della salvezza, dell’iniziato alla conoscenza delle verità ultime...: una gamma d’interpretazioni, talora anche contraddittorie, che portano con sé giudizi diversi, nella quale la fede conta solo parzialmente. È difficile non trovarvi un posto anche per noi. Naturalmente, la figura dell’abiezione, con quella connessa della disperazione, è la piú facile da comprendere e quindi la piú diffusa. Non per questo, però, è la piú banale, almeno per chi creda che ci sia piú verità nell’abiezione e nella disperazione che nella santità e nella pacificazione con se stessi.
Su Giuda, insomma, aleggia l’enigma. Numerosi sono gli elementi non spiegati o difficilmente spiegabili e, nelle narrazioni evangeliche, non manca nemmeno il pettegolezzo: rileggendo il racconto dell’ultima cena tramandatoci dal Vangelo di Giovanni, l’indicazione del traditore è inserita in una scena molto vivida che si presta a considerazioni psicologiche sui discepoli, sul loro desiderio di mettersi in mostra o di gettare ombre gli uni sugli altri.
Sí, pensiamo alla rivalità tra Pietro e Giovanni, per esempio...
G.Z. ... o alle discussioni tra i dodici su chi di loro fosse il piú grande (Mt 20.20-28; Lc 9.46; Mc 10.35-45), discussioni protrattesi fino alla fine, fino all’inizio della passione di Gesú (Lc 22.24). È quest’ultima una scena, appena accennata e normalmente ignorata nell’agiografia cristiana, in cui cogliamo la miseria umana che si manifesta con una certa oscenità, nel momento culminante di uno dei grandi drammi della storia dell’umanità. A parte ciò, che dà indubbiamente un tocco di realismo alla narrazione, c’è nella vicenda di Giuda una sorta di coesistenza degli opposti, di oscillazione tra estremi, a incominciare dalla possibilità di intenderla come manifestazione della potenza di satana o dell’onnipotenza di Dio, o perfino come le due cose insieme. Di conseguenza, Giuda stesso appare il malefico per eccellenza ma anche l’artefice del piano del Signore, che, non certo per ironia, lo chiama ‘amico’ nel momento culminante dell’arresto: e ‘amici’ (philoi) sono detti coloro «che faranno ciò che io vi comando» (parole di Gesú in Gv 15.14). E non è detto che Giuda non lo si possa anche considerare in entrambi i modi: l’agente di satana che agisce per conto e nell’obbedienza del Signore. Insomma, la letteratura su Giuda ci colpisce per la possibilità ch’essa mostra di visioni in abissale contraddizione, di rovesciamenti radicali, senza la possibilità di un’integrale spiegazione: spiegare nel senso etimologico di eliminare le pieghe e rendere tutto liscio. Il che, sia detto incidentalmente, se fosse possibile, renderebbe ogni nostra considerazione priva di interesse e superflua. Rovesciando un celebre detto, a me pare che si possa dire cosí, che tutto ciò che può essere detto o ‘spiegato’ senza difficoltà non meriti la nostra attenzione. Che non meriti che ci si perda tempo. Su tutto, però, mi pare che nella nostra conversazione domini una questione, per i cristiani davvero fondamentale: se nella sorte di Giuda suicida sia racchiusa una risposta alla domanda se la religione di Cristo sia una religione della condanna o una religione della misericordia.
Difficile pensare che la religione di Cristo sia una religione della condanna. Tuttavia la figura di Giuda ci affascina perché ci interroga sulla possibilità che Giuda, traditore del Salvatore e suicida, non accolto dal perdono di Cristo, rappresenti una sorta di smentita, una ‘eccezione’ alla misericordia di Dio.
G.Z. Con il rapporto regola-eccezione, spesso risolviamo troppo facilmente le nostre contraddizioni. L’eccezione, se non vuol essere puro arbitrio – e difficilmente ammetteremmo un Dio-puro-arbitrio, un Dio despota capriccioso –, corrisponde a un’altra norma, di valore tale che le consenta di prevalere nel caso ab-norme. Se diciamo: il messaggio di Gesú è un messaggio di misericordia e di perdono delle colpe, ma ci sono o ci possono essere eccezioni (ad esempio Mt 12.31, dove dal perdono di tutti i peccati e di tutte le bestemmie è esclusa la bestemmia «contro lo Spirito», oppure, con riferimento a Giuda stesso, Lc 22.21-22: «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!»), possiamo chiederci qual è questa norma piú alta di quella del perdono. E questa norma non può, evidentemente, essere che una norma diversa, anzi perfino contraria, rispetto a quella cui fa eccezione. Insomma, il detto comune ‘l’eccezione conferma la regola’ ha il significato che banalmente gli si dà solo se prendiamo l’eccezione come puro arbitrio o casualità non riconducibile ad alcun’altra norma. Tuttavia, anche il puro arbitrio, in quanto esso sia ammesso e legittimato in generale e in astratto, è pur sempre espressione di una norma. L’arbitrio, insomma, può essere anch’esso normale o ‘normato’, come ci dimostrano i dispotismi, in cui ogni regola è sottoposta alla ‘normale’ condizione: ‘se cosí piace al despota’, al quale può sempre piacere qualcosa di diverso o di opposto.
Per tornare al nostro tema, anche solo l’esistenza di un caso, il caso di Giuda, non abbracciato dalla misericordia divina, mette in discussione alla radice il carattere misericordioso del messaggio cristiano perché lo sottopone alla riserva: ‘a meno che a Dio non piaccia diversamente’.
Questa sarà naturalmente una delle questioni cui tenteremo di dare risposta, come pure alla questione del peso che, in questa vicenda, hanno la libertà e la predestinazione. Giuda è forse un ‘predestinato’, dovendo agire come ha agito affinché Gesú fosse condannato. Ma fino a che punto, essendo ‘predestinato’, ha mantenuto la libertà della sua scelta? Una vastissima letteratura ha messo a tema questo tradimento con infinite variazioni. Noi qui però cercheremo, per quanto è possibile, di occuparci della figura ‘storica’ di Giuda. In che misura è possibile perseguire il nostro intento? Le fonti di cui disponiamo sono solo i Vangeli.
G.Z. Che si possa, su Giuda, fare un discorso da storiografi, mi pare molto difficile, anzi impossibile. Già, in generale, ai Vangeli si nega il carattere di documenti storicamente attendibili (anche se, per secoli, proprio le narrazioni degli eventi che hanno condotto alla morte di Gesú, assunte come prove storiche, sono state alla base della persecuzione cristiana degli ebrei). L’attendibilità dei Vangeli, nell’insieme, per i credenti sta nel loro carattere di kérygma, di annuncio della fede. La ‘demitologizzazione’ proposta da Rudolf Bultmann ha poi portato alla distinzione tra il nucleo autentico e permanente del messaggio cristiano e ‘l’involucro’ espressivo di questo nucleo, inevitabilmente influenzato dalle condizioni culturali dell’epoca. La critica testuale, a sua volta, in larga misura è stata distruttiva del valore dei Vangeli come documentazione di eventi storici, avendo messo in evidenza le contraddizioni esistenti nelle diverse narrazioni dei differenti episodi e, talora, la distanza con quanto si sa circa le condizioni storico-sociali e giuridiche del tempo in Palestina, ciò ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa. di Gabriella Caramore
  4. Giuda
  5. I. Consegnare e tradire
  6. II. La colpa e il perdono
  7. III. Il dannato e l’eletto
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright