– Allora, da dove cominciamo?
Leonardi era in piedi in mezzo alla stanza e si sfregava le mani una contro l’altra, eccitato. De Luca stava fermo vicino alla porta, con le mani affondate nelle tasche del soprabito, un po’ curvo.
– Bisognerebbe cercare gli indizi, le impronte… le tracce. Tutto quello che si può vedere.
– Va bene, allora, cerchiamo gli indizi.
De Luca si strinse nelle spalle. – È inutile, – disse. – Avete spostato e toccato tutto. Da quella impronta nel sangue, per esempio, verrebbe da dire che uno degli assassini portava scarponi militari americani, numero quarantadue circa.
Leonardi si morse un labbro, strisciando inconsciamente la suola dello scarpone sul pavimento.
– Già, – disse, – devo averla lasciata io quando abbiamo portato via Guerra. Madonna, quante cose devo imparare…
De Luca si guardò attorno. In quel casolare di campagna non c’era niente che valesse la pena di essere rubato, eppure… Quattro morti. Quattro morti per trovare qualcosa… ma cosa? C’erano due assi sollevate, in un angolo del pavimento e altre piú avanti, spaccate. Leonardi lo guardava, ansioso, con la bocca socchiusa.
– Ci vuole un paletto o una sbarra di ferro, – disse De Luca, – e anche un coltello.
– Una sbarra?
– Per rivoltare le assi del pavimento e sentire i muri. E il coltello per i materassi. Cominciamo da qui a cercare.
– Giusto –. Leonardi corse fuori e tornò con gli attrezzi. De Luca prese il paletto e insieme cominciarono a battere sul pavimento, sollevando le assi che si muovevano, poi De Luca tolse la sbarra a Leonardi e iniziò a battere sul muro, con attenzione, facendo cadere l’intonaco sporco, scostato dai mattoni. Ci volle molto tempo per battere tutta la stanza e dopo un po’ Leonardi prese il coltello, ma si fermò, dubbioso.
– Come facciamo a sapere che c’è ancora qualcosa da trovare? – chiese.
De Luca sospirò. – Non lo sappiamo. Ma speriamo che Guerra sia morto prima di parlare e che quelli che hanno iniziato il lavoro siano stati interrotti… o si siano stancati di cercare.
– Giusto, – ripeté Leonardi. Scomparve oltre la porta e De Luca sentí subito il rumore secco della stoffa squarciata. Smise di battere sul muro, girò la sedia della vecchia Guerra davanti al camino e si sedette, puntando i gomiti sulle ginocchia e appoggiando il mento sulle mani. Leonardi tornò dalla stanza con il coltello in mano, come un assassino.
– Niente, – disse, – niente di niente.
– Lasciamo perdere, – disse De Luca, – in due, cosí, è impossibile… Potrebbe essere sepolto fuori o nella cuccia del cane… – De Luca chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle.
– Ci metta un po’ d’animo, ingegnere, si ricordi il nostro patto… Magari è qui in casa, chissà, nel paiolo della minestra…
De Luca sorrise, sempre con gli occhi chiusi.
– … e infatti eccolo qua!
De Luca aprí gli occhi, alzando la testa. Leonardi era in ginocchio sul camino e stava tirando fuori il braccio da un paiolo annerito, appeso sotto alla cappa. Si avvicinò al tavolo tenendo qualcosa nelle mani a coppa, con delicatezza, come un pulcino caduto dal nido. De Luca esitò un attimo ma poi appoggiò le mani sulle ginocchia e si alzò. Fece due passi e spinse Leonardi di lato, quasi bruscamente.
– Fammi vedere, – disse e Leonardi tolse le mani da un fagotto di stoffa, chiuso con un nodo. Fece anche un passo indietro, rimanendo rispettoso a guardare. De Luca sciolse il nodo, con fatica e quando riuscí ad aprire la stoffa a Leonardi sfuggí un fischio. C’era una spilla, con una pietra enorme e un fermaglio d’oro, un po’ storto.
– Ecco quello che cercavano, – disse De Luca. – Doveva essere un milionario eccentrico questo Delmo.
Leonardi prese la spilla e la guardò contro luce. – E da dove salta fuori questa roba?
– Forse faceva la borsa nera, o ha nascosto qualcuno nei guai.
– Delmo? per carità… Delmo stava fuori da tutto, gliel’ho detto. E per avere questo a borsa nera avrebbe dovuto vendere ostriche e caviale.
– Be’, un gioiello di famiglia non era di sicuro… almeno, non della sua. Per me li ha rubati a qualcuno.
Leonardi corrugò la fronte. De Luca tornò a sedersi ma si rialzò subito, perché la curiosità lo faceva fremere.
– Comunque è per questa spilla che è stato torturato e ucciso. La prima cosa da fare è sapere da dove viene e come ha fatto ad averla… Ci sono famiglie ricche in questa zona?
– Mah… – Leonardi esitò, perplesso, – una ci sarebbe… quella del conte.
– Bene, – disse De Luca, deciso, – andiamo dal conte a chiedergli se la spilla è sua.
– Il conte non c’è… è partito. Dicono che sia scappato in America perché aveva paura… sa, era compromesso con i tedeschi. Alla villa è rimasta solo una domestica.
– È lo stesso e forse è anche meglio. Andiamo da lei.
– Ma è vecchia… la Linina ha piú di settant’anni…
De Luca lo guardò serio e Leonardi abbassò gli occhi. Soppesò la spilla nel palmo della mano, mordendosi un labbro, poi alzò le spalle.
– Ma sí, – disse, – andiamo a sentire la Linina.
Uscirono dalla casa e mentre Leonardi richiudeva la porta De Luca notò qualcosa nell’aia, vicino alla catena del cane.
– Cos’è quello? – disse. Si avvicinò al collare aperto nella polvere e si chinò, con Leonardi dietro, curioso. C’erano delle macchie scure vicino alla catena, nere e dense, come di olio e accanto, marcata nel terreno, una striscia quadrettata.
– Avete camminato anche qui, – disse De Luca, – ma questa si è salvata. Cosa le sembra?
– Una motocicletta.
– Bravo. Sua anche questa?
– No, io uso la jeep. Ma so di chi è. Questa è la Guzzi di Pietrino, è lui che perde sempre l’olio.
– Pietrino?
– Pietrino Zauli. Abita qui vicino, conosceva bene Guerra.
– Bene, ecco un altro elemento su cui lavorare. Questo Pietrino è stato qui di recente e forse può dirci qualcosa.
De Luca si alzò e lo sforzo gli fece girare un po’ la testa. Leonardi corrugò la fronte, in un’espressione cupa.
– Lei pensa che Pietrino potrebbe… – disse.
– Io non penso nulla, – disse De Luca, – non è ancora il momento. Andiamo da questa Linina, prima che cominci a piovere.
La pioggia li sorprese a metà del viale, annunciata soltanto da un rapido cambiamento di luce e dall’odore forte e umido di ferro. Lo scroscio violento, con gocce grosse e pesanti, li costrinse a correre e alla fine del viale la villa comparve cosí all’improvviso, tra gli alberi, che si fermarono tutti e due per un attimo, prima di saltare sotto al terrazzo che copriva il portone.
– Dio bono, – disse Leonardi, – sono tutto bagnato! Però un po’ di pioggia ci voleva, per la campagna.
De Luca lo guardò torvo, senza dire niente. Si chiuse l’impermeabile attorno al collo, con un brivido, perché le gocce, scivolandogli tra i capelli, gli scendevano lungo la schiena, con un fastidio che lo rendeva isterico.
– Entriamo, – disse urlando per coprire il fruscio dell’acquazzone che in un attimo si era fatto piú intenso e si mosse verso il portone, ma Leonardi lo fermò mettendogli una mano su un braccio.
– Questa è una casa strana, ingegnere, – disse. – È una casa dove ci si sente.
– Ci si sente?
– Sí, come dite da voi? Ci sono gli spiriti.
De Luca ebbe un brivido, soprattutto per come Leonardi aveva pronunciato quella parola, spiriti, serio e preoccupato.
– Che sciocchezze, – disse, alzando le spalle e spinse deciso il portone, che si aprí subito. Dentro, per uno strano effetto sonoro, la pioggia non si sentiva quasi piú, nonostante continuasse a frustare il terreno alle loro spalle, violenta e vicinissima. De Luca ebbe un altro brivido.
– C’è nessuno? – disse e poi piú forte: – C’è nessuno? – ma senza risposta. Entrò in un lungo corridoio vuoto e aprí una porta, ma anche lí c’era una stanza vuota, senza mobili, dal soffitto altissimo e la sua voce rimbombò forte quando urlò ancora: – C’è nessuno? – facendogli abbassare la testa tra le spalle.
– Ehi, ingegnere, un momento, – disse Leonardi, prendendolo per l’impermeabile, – cosa facciamo, entriamo cosí, da soli?
De Luca si liberò con uno strattone. – Polizia, Leonardi, – disse, con cattiveria, – la polizia va dove vuole.
Attraversarono la stanza, facendo risuonare i passi nel silenzio freddo, fino a una scala che portava al piano di sopra. De Luca esitò un attimo, appoggiato al corrimano di legno, perché si ricordò di un sogno che faceva sempre da bambino, una scala come quella, con lui che saliva, saliva e all’ultimo gradino, ma lui non l’aveva mai vista, c’era una vecchia gobba che lo aspettava e sorrideva…
– Che sciocchezze, – ripeté De Luca e mentre Leonardi diceva: – Come ha detto, ingegnere? – salí la scala, deciso. C’era un’altra porta chiusa in cima. De Luca l’aprí aspettandosi un’altra stanza vuota e invece si fermò sulla soglia, davanti a una camera piccola e ingombra di mobili, tanto che sembrava non ci fosse posto per entrare. Si accorse che c’era qualcuno soltanto quando questi si mosse, tra una sedia e una poltrona. Era una vecchia gobba, vestita di nero, proprio come quella del sogno.
– Siete venuti per i mobili anche voi? – disse. De Luca era rimasto impietrito, con la bocca aperta e non riuscí a rispondere. Leonardi si fece avanti, divincolandosi tra lui e la porta ed entrò nella stanza.
– Oh, – disse la vecchia, – non sei il figlio di Marietto, te?
– Questa è la Linina, ingegnere, – disse Leonardi, – la domestica del conte. Parli piú forte perché è un po’ sorda.
La donna si avvicinò a De Luca, guardandolo dal basso. – Non è il figlio di Gigetto, questo? – disse a Leonardi, poi si mosse per la stanza, veloce anche se trascinava le gambe e tolse un centrino da una sedia. – Prendete questa...