La matematica è politica
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La matematica è politica

Chiara Valerio

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La matematica è politica

Chiara Valerio

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La matematica rivista come prassi politica, e non solo come teoria, è un formidabile esercizio di democrazia: come la democrazia si fonda su un sistema di regole, crea comunità e lavora sulle relazioni. Come la democrazia, la matematica amplia ma non nega. Studiando matematica si capiscono molte cose sulla verità. Per esempio che le verità sono partecipate e pertanto i principî di autorità non esistono; che le verità sono tutte assolute ma tutte transitorie perché dipendono dall'insieme di definizione e dalle condizioni al contorno. Svolgere un problema matematico è un esercizio di democrazia perché chi non accetta l'errore e non si esercita nell'intenzione di capire il mondo non riesce né a cambiarlo né a governarlo. Chiara Valerio tesse in un pamphlet polemico un parallelo tra matematica e democrazia, due aree che non subiscono la dittatura dell'urgenza.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
ISBN
9788858434512

Verità e conseguenza

Da bambina trovavo incomprensibile il concetto di verità. Da adolescente mi pareva deresponsabilizzante. Scrivo deresponsabilizzante perché il percorso logico è questo: se una verità è assoluta, allora non può essere contestata e non dipende né da un soggetto né da un insieme di soggetti. Se cosí è, delle ingiustizie, sociali per esempio, discendenti da quella verità, nessuno è responsabile. La verità assoluta si subisce.
Subivo, per esempio, la prospettiva centrale alle scuole medie, eccepivo che il fuoco, corrispondente al punto di vista, poteva essere dovunque all’interno del foglio, e non solo al centro. Grazie alla mia insegnante, inoltre, ero brava nel disegno tecnico e dunque riuscivo a consegnare tavole dove case, strade e giardini apparivano deformi e dove il fuoco, per esempio, restava sul bordo del foglio; la tecnica era corretta e perfettamente sovrapponibile, se non per il punto di vista, a quella dei miei compagni. Non è la verità a essere assoluta, mi convincevo, è il punto di vista. Perciò l’assoluto è una scelta, una responsabilità emotiva, sentimentale, culturale, giuridica, politica. Adesso, che sono una signora di mezza età, ho capito che il relativismo è la realtà perché non lascia nulla fuori di sé e che la verità (possederla, assumere di possederla, far credere che essa sia univoca) è uno dei tanti modi di controllo e oppressione o, a voler essere piú cauti – ma perché? –, è una funzione di quel sistema complesso che è il mondo in cui viviamo. La verità non è l’antitesi al sistema, la verità può essere un’ipotesi, o può essere una tesi. Il relativismo non implica che tutti i punti di vista siano uguali, ma che esistano. Il mio punto di vista sul malfunzionamento dello scarico del lavandino, per esempio, non è uguale a quello dell’idraulico perché i dati in suo possesso – osservazione, abitudine, frequentazione, confronto con altri idraulici, memoria di altri malfunzionamenti – sono piú dei miei, e infatti l’idraulico ha una possibilità di valutare (e risolvere) il problema maggiore della mia. Intuizioni infantili e intemperanze giovanili a parte, solo lo studio della matematica mi ha pacificato con la natura della verità e confortato nella mia indole di anarchica conservatrice.
La matematica è stata il mio apprendistato alla rivoluzione, dove per rivoluzione intendo l’impossibilità di aderire a qualsiasi sistema logico, normativo, culturale e sentimentale in cui esista la verità assoluta, il capo, l’autorità imposta e indiscutibile. Accettare questa definizione di rivoluzione significa ammettere che la rivoluzione non è un evento, ma un processo, che non esistono certezze perenni, ma che le certezze camminano sulle gambe degli uomini e sui loro sistemi giuridici ed economici, e che tuttavia, sopra i sistemi giuridici, legislativi ed economici, esiste un’idea di comunità che include in sé, per restare a ogni passo perfettamente umana, il concetto di tempo, e dunque all’interno della comunità uccidere (impedire il tempo) e opprimere (fermare il tempo) non sono ammessi. Accettare questa idea di rivoluzione vuol dire ripensare la democrazia come forma di rivoluzione da esercitare.
Torniamo alla prospettiva. La tecnica della prospettiva è un artificio, che si accorda alla nostra esperienza (che ha solo la nostra età) e al nostro istinto (che è molto piú vecchio). La prospettiva è un procedimento che consente non tanto di rappresentare il mondo quanto di descriverne la nostra rappresentazione. L’occhio di chi guarda. Tutti possono dunque capire ciò che vedo e che dico di vedere o che descrivo, conoscendo il procedimento e accogliendo il mio punto di vista. O io il vostro. Il punto di vista non è assoluto, però è nostro, e ci siamo affezionati. Le verità, trattate come punti di vista, rivelano una natura se non sentimentale, emotiva, e se non emotiva, discrezionale. Studiare aiuta a rendere confrontabili i punti di vista e a capire, volta per volta, che i punti di vista, quando vengono assunti, non sono né giusti né sbagliati (ma solo nostri).
Il punto di vista è piú interessante della verità. Ha un corpo, un tempo, occupa uno spazio, la verità è un punto. Dunque, per seguire Euclide (nonostante tutto), la verità, come i punti, è ciò che non ha parti. Nonostante non abbia parti, il punto è l’ente fondamentale della geometria euclidea. Come la verità, che è alla base delle religioni che raccontano alcune tra le piú belle storie del mondo.
Ovviamente, accettare l’interscambiabilità del proprio punto di vista può essere seccante. Ricordo, per esempio, quando mi sono trovata davanti – dopo essere cresciuta su atlanti dove il mondo era rappresentato, in proiezione di Mercatore, con l’Europa al centro e l’Italia al centro dell’Europa, e Scauri al centro dell’Italia e me al centro di Scauri – a un atlante giapponese dove nelle pagine centrali, il mondo era rappresentato, in proiezione di Mercatore, con il Giappone al centro e l’Italia, sul margine del foglio.
Torniamo all’idraulico. Nonostante l’idraulico abbia una possibilità superiore alla mia di capire perché e come lo scarico del lavandino sia otturato, io e l’idraulico ragioniamo in modo simile. Abbiamo scommesso sulle cause e dunque sugli effetti. Diciamo quindi che se la nostra rappresentazione del mondo (descrizione della) procede per deduzione e analogia, la vita e la scienza avanzano per ragionamenti di tipo probabilistico. Se cosí non fosse sia la vita che la scienza si occuperebbero solo di fatti compiuti e lavandini già sturati.
Scrive Bruno de Finetti: la differenza fondamentale da rilevare è nell’attribuzione del «perché», non perché il FATTO che io prevedo accadrà, ma perché io prevedo che il FATTO accadrà.
Ricordo esattamente dov’ero quando ho letto per la prima volta Probabilismo. Saggio critico sulla teoria delle probabilità e sul valore della scienza. In un lungo corridoio del dipartimento di Matematica di Napoli, nella sede di Monte Sant’Angelo, su una sedia di legno chiaro, scomoda e richiudibile, dietro di me avevo un’ampia finestra rettangolare oltre la quale si muovevano, diffondendo profumi nell’aria, i cespugli di rosmarino e lavanda, ai piedi calzavo un paio di Adidas rosse con le strisce bianche, modello Gazelle, davanti a me le porte dei bagni sulle quali era disegnata una gaussiana che sembrava, o voleva sembrare, ipotizzo, un fallo, dentro di me c’era il mondo nuovo squadernato dall’idea di probabilità soggettiva. E della matematica come disciplina, come ginnastica posturale, per stare nel mondo e tentare di interpretarlo.
C’è un’ulteriore questione – la quarta o forse è una 2.1 – che allontana matematica e vita. La matematica, nel comune sentire, non è tra le necessità o tra le qualità di una persona di cultura, di un intellettuale. E viene considerata, per la maggior parte del tempo e dalla maggior parte delle persone, una disciplina asettica nel senso di inutile per intavolare una conversazione e dunque comunicare, confrontarsi, affrontare problemi pratici, discutere, descrivere, partecipare alla vita politica. Asettica.
Un esempio. Della Grecia classica si ammirano le statue, la filosofia, la democrazia, il discorso di Pericle agli ateniesi, Socrate che si uccide con la cicuta, l’eroismo alle Termopili, gli dèi greci, i sillogismi, e la politica, l’Odissea, il cavallo di Troia, le porte di Tebe, le Sirene, ma il ragionamento deduttivo, l’astrazione e la proporzione non vengono annoverati e valorizzati mai. Il piú efficace smantellamento di questa posizione pregiudiziale, almeno per quanto riguarda il concetto fondativo di proporzione, è il cartone animato Disney Paperino nel mondo della matemagica (1959). Nel cartone, Paperino si accorge che la bellezza greca ha una natura matematica fondata sulla proporzione. Aggiungiamo astrazione e ragionamento deduttivo.
Il ragionamento deduttivo ci libera dalla necessità di conoscere ogni cosa per esperienza diretta e ci accomuna regalandoci una grammatica. L’astrazione ci permette di riconoscere regolarità e somiglianze in cose e questioni distanti. La proporzione consente di intuire e rappresentare la vastità del mondo, valutare i rischi, riprodurre le regolarità o le irregolarità. Ragionamento deduttivo, astrazione e proporzione sono matematica. Tuttavia, nonostante i fasti della Grecia classica, nessuna civiltà è pervasa di matematica come la nostra. Algoritmi, previsioni, automazioni, calcoli, cronometri, gps, conteggi energetici per perdere peso o acquistarne, lotterie, contapassi.
Il ragionamento deduttivo ha una caratteristica che dovrebbe generare subitaneo e diffuso entusiasmo: è un metodo al quale tutti possono accedere purché ne studino le regole e attraverso il quale è possibile valutare la ragionevolezza o meno di un altro che parla. Sottintende una logica comune, come la prospettiva, e gli scacchi, che, per esempio, insegnano come senza accordo sui principî non è possibile nemmeno combattere, figuriamoci convivere.
Prendiamo fiato e facciamo un tuffo. La matematica fiorisce nelle civiltà libere e creative, vive e prolifera in Grecia, subisce un arresto alla caduta dell’Impero romano quando la religione rimane l’unico grande principio ordinatore, rinverdisce alla fine del Medioevo quando tornano a diffondersi i testi greci e con essi l’interesse per una natura demonizzata in quanto territorio del diavolo.
Il ragionamento deduttivo è servito, a un certo punto, anche alla religione (il pensiero logico deduttivo può essere insidioso): il cristianesimo per esempio ha inventato la teologia. I greci avevano molti dèi ma nessuna teologia. I cristiani hanno un unico dio ma una teologia vasta e larga che non avanza solo per fede ma per deduzione. Nonostante gli esempi siano tutti incredibili, ne porto uno che mi ha sempre divertito: la forma del mondo che Cosma deduce dalle Sacre Scritture. Nella sua cartografia, piú o meno a metà del Cinquecento, il mondo ha la struttura di un baule a base rettangolare il cui lato lungo è il doppio del lato corto e che ha per coperchio un semicilindro sorretto da quattro pilastri. Si deducevano, sempre dalle Scritture, i popoli che abitavano le terre emerse, la struttura dell’universo, l’esistenza di angeli e diavoli e soprattutto si deduceva che la Terra non poteva essere tonda altrimenti, oltre la cintura d’acqua dell’equatore, gli esseri che lí abitavano sarebbero vissuti a testa in giú e la pioggia stessa non avrebbe potuto discendere, ma salire, e ciò era irragionevole.
«Piú irragionevole dell’universo a forma di baule?» domandavo a mio padre, e lui, indefesso: «Sí, piú irragionevole».
La magia del ragionamento deduttivo, e la sua fallacia, sta nell’evidenza che, se parti da qualcosa che chiami verità o assioma ma che è solo un punto di vista (che pur non essendo molto, è abbastanza per costruire un mondo), puoi giungere dovunque. Perciò attenzione alle premesse. Ex falso quodlibet si dice in latino.
Gli scienziati che, in coda a quel Medioevo teologico-deduttivo, leggendo i greci, si erano volti nuovamente allo studio della natura, erano cresciuti e avevano studiato in un mondo in cui la religione aveva una propria filosofia della natura riassumibile nella frase: il mondo è stato creato da Dio ma gli uomini possono razionalmente comprenderlo.
Come si concilia però la ricerca delle leggi del mondo con la coscienza che, in ogni caso, le leggi sono state scritte dal Padreterno? Semplice: dicendo che Dio ha creato l’universo con leggi matematiche dunque Dio è il piú grande matematico dell’universo-mondo. Cartesio, Newton, Huygens, lo stesso Galileo possono essere pensati come teologi studiosi di matematiche e fisiche in luogo di Dio. La conoscenza matematica è inoltre un...

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