Una sera Daniela è entrata nella green room del locale dove doveva esibirsi con quella che sembrava una custodia per chitarra in miniatura. «Vi spiace se stasera suono?», ha chiesto estraendo un ukulele colorato. «No», hanno risposto tutti.
«Ma sei capace?», ha fatto qualcuno.
«Non proprio, – ha detto lei. – Ma li avverto che faccio schifo».
Ha mantenuto la promessa: dopo una decina di minuti di monologo durante i quali l’ukulele è rimasto appoggiato allo sgabello alle sue spalle ha raccolto il suo strumento e, sistemando il microfono sull’asta, ha avvertito il pubblico. «Non sono molto capace di suonare, – ha detto. – Ma lo farò comunque».
Daniela è una che scrive, soprattutto per la televisione. È abituata a confrontarsi con un’audience con cui non ha niente a che spartire, quella delle fiction da prima serata, e sa come mettere a proprio agio il pubblico e prepararlo, prima di confessare cose indicibili: il fatto di avere una relazione, del tutto platonica, con il proprio analista, oppure la sua sconfinata passione per la pornografia. Cita a memoria tanto i nomi delle pornostar piú di nicchia, quanto i santi del calendario cristiano. È capace di costruzioni comiche complesse, che spiazzano, e di far ridere semplicemente con il tono della propria voce.
E poi, appunto, suona.
Il fatto di tirare fuori uno strumento mentre si fa stand-up non è una sua invenzione: il banjo di Steve Martin e le chitarre delle Garfunkel and Oates sono leggendari, ma anche i memorabili stacchetti musicali di Sarah Silverman a metà dei suoi show o le velleità rock’n’roll di Adam Sandler. Il fatto che lo faccia una comica italiana, dichiarando peraltro di non esserne molto capace, rende tutto piú interessante.
Il tempo di accorgersi se Daniela è in effetti intonata e in grado di suonare l’ukulele non c’è. Resta a malapena quello di riprendere fiato tra un attacco di risa e l’altro. Lei è da sola, in mezzo a un palco che d’improvviso sembra troppo grande, di fronte a un’asta del microfono che in un attimo pare troppo alta, a sforzare una voce che sembra, da un secondo all’altro, scomparsa. Una rivelazione mistica.
Giú dal palco, Daniela è timida come molti dei suoi colleghi, parla poco e sorride molto. Quando sale si trasforma. Mette in piedi uno show fatto di madonne piangenti, pornodivi, noti attori di fiction ecclesiastiche e serenate non necessariamente intonate.
Vengo da una famiglia molto cattolica, ho studiato dalle suore ed è per questo motivo che a quindici anni ho esordito nel porno.
Con una gang bang.
Scherzi a parte: ho davvero una passione per il porno, ma è solo teorica. Purtroppo.
Faccio la sceneggiatrice. Ho scritto diverse puntate di Don Matteo e per questo mi chiamano a scrivere tutte le serie di preti e suore che vengono prodotte in Italia. Adesso sto lavorando a una serie in cui un gruppo di ragazze, tutte fighissime, vive in un convento, non scopa… vorrei tanto potervi dire che si tratta di una serie distopica alla The Handmaid’s Tale, ma non è cosí…
È una serie ambientata nel 2018.
In realtà credo che non scriverò piú Don Matteo: l’ho mollato. Dopo tanti anni, è stato difficile. Gli ho detto: «Don Matteo, il problema non sei tu, sono io…»
«Sono io che ho voglia di scrivere altro, magari una serie dove se una persona ammazza qualcuno alla fine non si converte per forza al cattolicesimo».
«Ho voglia di scrivere delle cose in cui la gente, se scopa, non viene fulminata da Dio perché ha usato il preservativo».
Lui ci è rimasto male, mi ha chiesto se potevamo rimanere amici e io gli ho risposto di no. Perché io non rimango amica di uno che è amico delle guardie.
L’altra novità della mia vita è che non scopo piú. Fino a qualche tempo fa ero qualcuno, su Tinder, e adesso…
Non scopo piú perché il mio analista mi ha rovinata, mi ha convinta di un’idea assurda: che se faccio sesso con qualcuno devo anche provare qualcosa.
Quindi praticamente in due anni di analisi mi ha trasformato in una donna.
È un disastro, perché con tutte le competenze teoriche che ho sul porno, sono anche abbastanza brava. In questi mesi ho sprecato il mio talento.
La cosa peggiore è che il mio analista ha anche rovinato il mio rapporto con il porno: da quando sono in analisi, quando guardo un porno, piango.
Mi commuovo tantissimo. Tipo mia zia davanti a C’è posta per te.
Come quando hai il ciclo e ascolti Tiziano Ferro.
Il primo porno sul quale mi sono commossa era molto bello, c’erano Angela White e Manuel Ferrara, ed era un film dal potenziale emotivo, coinvolgente. Avrei dovuto capire che c’era un potenziale emotivo forte dalle premesse. PornHub mi aveva avvisato. Il titolo era: «Angela si commuove dopo che lui le viene dentro».
E da lí ho cominciato a commuovermi guardando tutti i porno. Cosí mi sono detta: forse il problema è il porno etero. Forse con il fatto che non scopo piú, mi manca il cazzo.
Ho provato con il porno lesbo, ma niente. Allora sono passata alle gang bang. Ne ho scelta una interracial con dodici uomini neri. Ma c’è un problema anche qui: non riesco a eccitarmi perché mi viene l’ansia. Vedo questa ragazza che si deve dare da fare a gestire una situazione complicata, tutto quel materiale, e mi ricorda sempre troppo mia madre durante le cene di famiglia che deve controllare, essere sicura che tutti abbiano il contorno…
Ho mollato anche il mio analista e lui ha risposto con quella classica mossa che fanno gli uomini quando non ti vogliono lasciare. Io gli ho chiesto se mi ridava indietro delle cose che avevo da lui e lui ha fatto finta di non trovarle.
Ci tiene veramente tantissimo a me. E al mutuo da pagare per la sua villa al mare.
Ho molto risentimento nei confronti del mio analista: mi ha rovinato il rapporto col porno e trasformato in una donna, quindi inizio a sentire quella cosa orribile che è l’orologio biologico. E su questo rapporto tra il porno e l’orologio biologico ho scritto una canzone:
Voglio fare un figlio nero
e non perché fa figo.
Voglio fare un figlio nero
da portare all’asilo.
Voglio fare un figlio nero
ma non fatto in provetta
tutta scienza
e molta fretta.
Voglio farlo come lo fa
la Nappi su PornHub.
Voglio farlo come lo fa
la Nappi su PornHub.
Voglio sia frutto dell’amore
fatto senza pudore,
voglio ci sia molto sudore
e anche un ventilatore.
Voglio fare un figlio nero
e chiamarlo Beyoncé.
Voglio fare un figlio nero
che cosí nero non ce n’è.
Voglio fare un figlio nero
e cullarlo intere ore,
farlo sentire a casa
e non sul barcone.
Voglio farlo come lo fa
la Nappi su PornHub.
Voglio farlo come lo fa
la Nappi su PornHub.
Voglio sia frutto dell’amore
fatto senza pudore.
Voglio fare un figlio nero
sí, perché… voglio andare con un nero.