Prima antologia
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Prima antologia

  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Prima antologia

Informazioni su questo libro

Dopo le Cento quartine d'amore, Patrizia Valduga riunisce in questo volume due delle sue raccolte piú intense e drammatiche: Donna di dolori (1991) e Corsia degli incurabili (1996), alle quali aggiunge l'inedito Carteggio composto insieme a un misterioso «poeta incognito». In Donna di dolori il piú vecchio, semplice e fatale dei metri, la rima baciata, permette all'autrice di muoversi con leggerezza e agilità tra lo stile basso del parlato e il sublime della trasfigurazione letteraria, garantendo alla protagonista del monologo, una donna morta, «la piú integrale facoltà di confessione». Come Donna di dolori, anche Corsia degli incurabili è insieme poesia e teatro. A parlare è ora un malato «terminale», e la forma metrica del suo monologare è quella del serventese classico, piú difficile e insieme piú colloquiale della rima baciata. Ne risulta un intenso trittico sul dolore e sulla morte, un percorso attraverso la sofferenza, in cui la tragedia scorre e cerca sollievo in un linguaggio poetico carico di tensioni e in una cura metrico-formale ricca di molteplici registri. Ancora una volta la poetessa di Medicamenta dimostra la propria capacità di canto e di strazio, o meglio, come della sua poesia ha detto Luigi Baldacci, «essa non si limita al canto e allo strazio ma strazia il proprio canto».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806149550
eBook ISBN
9788858432723

Corsia degli incurabili

Tempo è ben di sposare il Senno a’ sdegni
GIACOMO LUBRANO

Atto unico

a Franca Nuti, l’eccelsa
Lama di luce da un vasistas.
Una persona, uomo o donna, a letto
in una stanza d’ospedale, la testa sollevata,
le braccia lungo il corpo, immobile.
La luce va crescendo lentamente.
... ora e nell’ora della nostra morte.
Ave Maria... Buongiorno, nuovo giorno!
E ave alla vita! ... della nostra morte!
Piena di grazia, il Signore è con te...
Quello spicchio di luce è il nuovo giorno.
Il Signore è con te, luce, è in te...
... e nell’ora che passa la paura.
Mia dolce luce, gioventú del giorno,
tu, spicchio di giustizia vera, giura
che qui, a noi, soldati del dolore,
non porterà troppo dolore il giorno,
che a tutti i giusti gemiti del cuore
si darà ascolto... ci sarà pietà...
almeno per un giorno, questo giorno...
Pura luce, misura d’umiltà,
giura che sarà giusto il nuovo giorno,
che sarà azzurro piú di ogni altro giorno.
Allegramente Che programmi per oggi? Su, vediamo:
un migliaio di cose a cui pensare.
Beh, un migliaio... non esageriamo!
Quello spicchio di luce è il nostro giorno:
l’azzurro lo dobbiamo immaginare;
alba e tramonto, aurora e mezzogiorno
stanno piú su, da quelli col denaro.
E con tanto di stelle, luna e sole.
Ma mica se li godono, sia chiaro.
La chiamano cosí: democrazia.
Con violenza Non c’è piú rispetto per le parole!
si usano a vanvera! ... Santa Maria...
madre di Dio! e ti credo che il mondo
è cosí stronzo! È questo vile oltraggio
alle parole il motivo profondo!
È il continuo oltraggiare le parole
che vede i furbi sempre col vantaggio
e lascia noi qui sotto senza sole!
Ma tu ora sole salpa, dài, coraggio,
fa’ vela verso loro, e fa’ buon viaggio.
Che programmi per oggi? Un po’ di posta?
Come dettando «Egregio Direttore del Corriere,
per cortesia, mi dica, lo fa apposta,
per farci vomitare ogni mattina,
a servirci in politica il parere
di qualche troia ignorante e cretina?
Lei pensa che si compri un quotidiano
per vedere un bel grugno o un bel sedere?
Direttore, non sia cosí villano,
meglio farlo in privato il puttaniere:
noi qui si vuole leggere e sapere.»
Ma che piaccia cosí, piú su, a loro?...
Oh, bevi questa brezza mattutina!
Dolce luce d’amore, luce d’oro
che resusciti il mondo, piano, piano...
Con tono L’alba vinceva l’ora mattutina
incantato che fuggia innanzi, sí che di lontano
e compiaciuto
conobbi il tremolar della marina.
Noi andavam... Piú fermi di cosí,
noi qui, le cavie della medicina...
la guerra di chi compra e di chi vende
sul nostro corpo... sulla pelle... qui...
croste... scrofole... lebbra... bolle... bende...
cortisone... dolore... «Direttore,
non amo piú il Corriere della Sera.»
Noi andavam per lo... Ah! quel bruciore...
deformi... sfigurati... ad aspettare...
«Non prendiamo le cose alla leggera,
e cambi strada, lei che lo può fare.»
Il cortisone dà certi sconquassi...
Noi andavam, soldati del dolore...
Oh! cosa non darei per far due passi,
su una strada qualsiasi!... «Direttore,
la cito al tribunale del mio cuore!»
Sai che gl’importa! Parole sprecate...
Con grande Signori sani, la mia riverenza.
calma Che programmi per oggi? camminate?
confitti in automobili blindate?
qualcosa di piú usuale, in confidenza?
sbudellate qualcuno? vi stuprate
la suocera? la nonna? i nipotini?
o si contenta la vostra impazienza
di avvelenare soltanto i vicini?
soltanto di ammazzare l’italiano?
di dire in ogni frase una scemenza,
con lo iènchi filmesco sottomano?
«È un attimino trendi, devo dire».
Questa è piú che insolenza: è delinquenza!
La volete «un attimino» finire
con questo «devo dire» impertinente?
con i «piuttosto che», gli «intriga» senza
senso, gli insensati «assolutamente»?
con l’«attivarsi», «esatto», «ochèi ochèi»?
L’ultimo tracollo della demenza...
Quel «devo dire» lo sterminerei!
Oddio, mi sta salendo la pressione...
È che per me è una tale sofferenza
questo linguaggio da televisione.
L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggia innanzi, sí che di lontano
conobbi il tremolar della marina.
Noi andavam per lo solingo piano...
Italiani, imparate l’italiano!
Amore dove sei? sto cosí male...
Quest’alba che non viene è un tuo segnale?
Del cuore non so piú il chi e il quale
e del resto infinito, abituale...
Alcuni versi dal mio memoriale.
Amore senza amore, criminale,
saluta pure tu l’alba immortale!
Io non posso farti bene del male
cosí, senza il magnetismo visuale,
cosí, da questa dimora infernale
dove il malato è detto «terminale»...
La loro lingua, sempre piú triviale!
Dicevo, amore mio, sto cosí male...
Era il male d’amore, il piú banale.
A me il male si getta con le pale,
mi seppellisce, dicevo, animale...
Adesso basta con le rime in ale!
Incurante di me, lassú, risale...
Ancora? basta! ho detto ... la mia aurora,
la bella aurora riposata, eguale.
Non stavo mica tanto male, allora...
Ma, a forza di ripeterlo, si sa,
si finisce col crederlo, ed è fatta.
È il principio della pubblicità.
Perché non è la vera infermità,
perché è malizia e arroganza matta,
pietà... pietà... che sete di pietà
in un povero corpo che si sfa...
... allora, quando studiavo a Venezia.
Venezia! Oh! ti rivedo, mia città
prediletta, funereo fresco fiore
in estasi di sole che si screzia
sulle mie beatit...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Donna di dolori
  4. Carteggio
  5. Corsia degli incurabili
  6. Il libro
  7. L’autore
  8. Dello stesso autore
  9. Copyright