L’assassino fa una seconda vittima a Parigi. A pagina 6.
Louis Kehlweiler gettò il giornale sul tavolo. Per oggi poteva bastare, non aveva nessuna intenzione di correre a pagina 6. Magari piú in là , quando le acque si fossero calmate, avrebbe ritagliato e archiviato l’articolo.
Passò in cucina e si aprà una birra. Era la penultima della riserva. Louis si annotò una grande «B» a penna sul dorso della mano: la calura del mese di luglio costringeva ad aumentarne notevolmente il consumo. Quella sera avrebbe letto le ultime notizie sul rimpasto ministeriale, lo sciopero dei ferrovieri e le proteste degli agricoltori. E avrebbe tranquillamente saltato pagina 6.
Camicia aperta e bottiglia in mano, Louis si rimise al lavoro. Stava traducendo una voluminosa biografia di Bismarck. Lo pagavano bene, e contava di vivere a spese del cancelliere dell’Impero ancora per parecchi mesi. Andò avanti di una pagina, poi, le mani a mezz’aria sopra la tastiera, s’interruppe. La sua mente aveva abbandonato Bismarck per concentrarsi su una bella scatola da scarpe, con tanto di coperchio, che avrebbe dato una svolta all’organizzazione dell’armadio.
Contrariato, Louis spinse indietro la sedia, fece qualche passo nella stanza, si passò la mano tra i capelli. La pioggia crepitava sul tetto, la traduzione procedeva bene; non c’era motivo di preoccuparsi. Pensieroso, accarezzò con un dito la schiena del rospo che dormiva sulla scrivania, sistemato nel portamatite. Si chinò sullo schermo e rilesse a mezza voce la frase che stava traducendo: «È poco probabile che Bismarck avesse concepito fin dall’inizio di quel mese di maggio...» Poi lo sguardo andò a posarsi sul giornale piegato sul tavolo.
L’assassino fa una seconda vittima a Parigi. A pagina 6. Niente da fare. Quella storia non lo riguardava. Tornò al suo schermo dove lo attendeva il cancelliere dell’Impero. La pagina 6 non era affar suo. Non era piú il suo lavoro, ecco tutto. Ora come ora il suo lavoro era tradurre roba tedesca in francese e dire quanto piú chiaramente possibile perché Bismarck non avesse potuto concepire una certa cosa agli inizi di quel mese di maggio. Un lavoretto tranquillo, fruttuoso e istruttivo.
Louis batté una ventina di righe. Era arrivato a «Poiché in effetti nulla prova ch’egli si fosse adombrato» quando s’interruppe di nuovo. La sua mente era tornata a ronzare intorno a quella benedetta scatola e cercava con ostinazione di risolvere la questione delle scarpe.
Louis si alzò, prese l’ultima birra dal frigo e bevve a canna, a piccoli sorsi, in piedi. No, non ci cascava. Che la sua mente si accanisse sul fronte delle astuzie domestiche era un segnale da non sottovalutare. Per la verità lo conosceva bene: era un segnale di disfatta. Progetti falliti, idee in ritirata, considerevole miseria mentale. Non era tanto quel suo pensare alle scarpe a preoccuparlo: può capitare a tutti di pensarci cosÃ, di sfuggita, senza farne un dramma. No, il problema era che riusciva a trarne piacere.
Louis trangugiò due sorsate. E poi le camicie: aveva pensato di sistemare anche quelle, non piú di una settimana prima.
Insomma, era proprio la fine. Solo chi non sa piú che diavolo fare della propria vita si preoccupa di riorganizzare da cima a fondo l’armadio, non potendo mettersi a rassettare il mondo. Louis posò la bottiglia e andò a esaminare quel dannato giornale. Perché in fin dei conti era a causa di quegli omicidi se si trovava sull’orlo della catastrofe domestica, di un radicale riordinamento della casa. Non era Bismarck, no. Anzi, Bismarck gli dava da vivere senza creargli troppi problemi. Non era quello il punto.
Il punto erano quei maledetti omicidi. Due donne assassinate in due settimane, di cui tutto il Paese parlava e alle quali lui non faceva altro che pensare, come se occuparsi di quei cadaveri fosse una sua esclusiva, quando invece non lo riguardavano affatto.
Dopo il caso del cane e dell’albero a grata aveva deciso di chiudere con i crimini di questo mondo. Gli sembrava ridicolo cominciare una carriera di specialista del crimine al soldo di nessuno, solo perché aveva preso delle brutte abitudini in venticinque anni di inchieste al ministero degli Interni. Finché era in carica, il suo lavoro gli era parso lecito; ma ora che si ritrovava abbandonato a se stesso, quel mestiere d’inquirente rischiava di prendere una brutta piega di cercarogne e cacciatore di scalpi. Frugare nel crimine in solitaria quando nessuno te l’ha chiesto, buttarsi sui giornali, accumulare articoli... cosa poteva essere se non una morbosa distrazione, una ragione di vita alquanto discutibile?
E cosà Kehlweiler, sempre pronto a sospettare di se stesso prima che di chiunque altro, aveva girato le spalle a quella sorta di volontariato del crimine, che d’un tratto gli pareva oscillare tra perversione e grottesco e verso cui sembrava tendere il lato piú torbido della sua personalità . Ma ecco che, stoicamente relegato alla sola compagnia di Bismarck, sorprendeva la propria mente a scatenarsi nel dedalo del superfluo domestico. Si comincia con le scatole da scarpe e non si sa mai dove si va a finire.
Louis lasciò cadere la bottiglia vuota nella pattumiera e lanciò un’occhiata alla scrivania dove, minaccioso, riposava il giornale piegato. Sopra si era piazzato Bufo, provvisoriamente riemerso dal sonno. Louis lo sollevò con dolcezza. Certo che quel rospo era un bell’impostore. Fingeva di andare in letargo, e per di piú in piena estate, poi, non appena smettevi di guardarlo, riprendeva a muoversi. La verità è che lo shock della condizione domestica aveva fatto perdere a Bufo ogni nozione in materia di letargo; anche se lui non l’avrebbe mai ammesso, orgoglioso com’era.
– Sei uno stupido conformista, – gli disse Louis riponendolo nel portamatite. – Chi credi d’impressionare con questo letargo da quattro soldi? Fai quel che sai fare, basta e avanza.
Con gesto lento, Louis fece scivolare il giornale verso di sé.
Esitò un istante, poi lo aprà a pagina 6. L’assassino fa una seconda vittima a Parigi.
Clément era nel panico. Adesso sà che avrebbe avuto bisogno di essere intelligente! E invece era un imbecille, da piú di vent’anni glielo ripetevano tutti: «Clément, sei un imbecille, su, fai uno sforzo».
Quel vecchio professore si era dato un gran daffare per aiutarlo tanto tempo prima. «Clément, sforzati di pensare a piú di una cosa alla volta, per esempio a due cose alla volta, mi segui? Per esempio l’uccello e il ramo. Pensa all’uccello che si posa sul ramo. Punto a, l’uccello, punto b, il verme, punto c, il nido, punto d, l’albero, punto e, riordini le idee, fai dei collegamenti, lavori con l’immaginazione. Hai capito il trucco, Clément?»
Clément sospirò. Ci aveva messo parecchi giorni per capire cosa c’entrasse il verme con tutta quella storia.
Smettila di pensare all’uccello, pensa a oggi. Punto a, Parigi, punto b, la donna assassinata. Clément si asciugò il naso con il dorso della mano. Il braccio gli tremava. Punto c, trovare Marthe dentro Parigi. La stava cercando da ore, aveva chiesto di lei dovunque, a tutte le prostitute che aveva incrociato. Almeno venti, o quaranta, insomma parecchie. Era impossibile che nessuno si ricordasse di Marthe Gardel. Punto c, trovare Marthe. Clément riprese il cammino, sudando nel caldo di quell’inizio di luglio, stringendo sotto il braccio la fisarmonica blu. Poteva anche aver lasciato Parigi, la sua Marthe; dopotutto lui se n’era andato da quindici anni. O forse era morta.
Clément inchiodò nel bel mezzo di boulevard Montparnasse. Se lei era partita, se era morta, allora lui era fritto. Fritto, era fritto. Marthe era l’unica che poteva aiutarlo, soltanto lei avrebbe potuto nasconderlo. L’unica donna che non lo aveva mai trattato come uno scemo, la sola che gli passava la mano nei capelli. Ma a che serve Parigi, se non riesci a ritrovarci nessuno?
Clément si caricò la fisarmonica in spalla. Aveva le mani troppo umide per tenerla sotto il braccio, temeva che potesse scivolargli. Senza la fisarmonica e senza Marthe, e con la donna assassinata, lui era fritto. Lasciò vagare lo sguardo lungo l’incrocio. In una piccola traversa avvistò due prostitute, e questo gli restituà coraggio.
Appostata in rue Delambre, la ragazza si vide venire incontro un tipo brutto e malvestito, i polsi che sporgevano da una camicia troppo corta, zainetto in spalla, una trentina d’anni e un’aria da demente. La ragazza si irrigidÃ: certi tipi vanno evitati.
– Non con me, – disse scuotendo la testa quando Clément le si fermò davanti. – Vai da Gisèle.
Gli indicò con il pollice una collega accampata tre edifici piú in là . Gisèle aveva trent’anni di mestiere, non aveva mai paura di nulla.
Clément sgranò gli occhi. Sentirsi respinto prima ancora di avere il tempo di chiedere non lo mortificava affatto. C’era abituato.
– Cerco un’amica, – disse a fatica, – si chiama Marthe, Marthe Gardel. Nell’elenco telefonico non c’è.
– Un’amica? – chiese la donna con diffidenza. – Non ti ricordi dove lavora?
– Non lavora piú. Ma prima era la piú bella di Mutualité. Marthe Gardel. La conoscevano tutti.
– Io non sono tutti, e non sono nemmeno la guida del telefono. Cosa vuoi da lei?
Clément indietreggiò. Non gli piaceva quando la gente alzava troppo la voce.
– Cosa voglio da lei? – ripeté.
Meglio non parlare troppo, non bisognava farsi scoprire. Marthe era l’unica che potesse capire.
La ragazza scosse la testa. Quel tipo era proprio un demente, e da demente parlava. Meglio stargli alla larga. Eppure faceva un po’ pena. Lo guardò posare la fisarmonica a terra con una delicatezza estrema.
– Questa Marthe, se ho ben capito, era del mestiere...
Clément annuÃ.
– V...