Inventario di un cuore in allarme
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Inventario di un cuore in allarme

  1. 296 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Inventario di un cuore in allarme

Informazioni su questo libro

Le confessioni comiche, poetiche, paradossali di un «cuore in allarme». Che prende in giro sé stesso mettendo in scena quello che, da Molière a Woody Allen, è sempre stato il piú irresistibile dei personaggi tragici.

Per un ipocondriaco che vuole smettere di tormentare chi gli sta accanto con le proprie ossessioni, trovare una valvola di sfogo è una questione vitale. Ma come si impara ad affrontare la paura da soli? Forse raccontandosi. È quello che fa Lorenzo Marone, con una voce che all'ansia preferisce lo stupore e il divertimento. Scorrendo l'inventario delle sue fobie ognuno può incontrare un pezzo di sé e partecipare all'affannosa, autoironica ricerca di una via di fuga in discipline e pratiche disparate: dalla medicina alla fisica all'astronomia, dalla psicologia alla religione, dai tarocchi all'astrologia. Alla fine, se esorcizzare del tutto l'angoscia resta un miraggio, possiamo comunque reagire alla fragilità ammettendola. E magari accogliere, con un po' di leggerezza, le imperfezioni che ci rendono unici.

«Grazie Lorenzo per aver sublimato le nostre paturnie facendotene carico in questo che è anche un manuale terapeutico. Facendoci ridere fino alle lacrime delle tue ipocondrie ci assolvi dal rimorso di infliggerle agli altri».
Bruno Gambarotta, «tuttolibri - La Stampa»

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Malebolge

C’è chi conduce la sua ricerca ipocondriaca passando di continuo da uno studio medico all’altro, chi si dedica a sempre nuovi e sofisticati controlli, chi aspetta l’arrivo dell’ultimo strumento diagnostico come se fosse l’album della popstar del momento, chi rimbalza da una medicina all’altra. Io ero uno dei pochi, almeno per quel che riguardava i forum di ipocondriaci, che non faceva assolutamente nulla, a parte la terapia breve strategica, nella quale però non credevo. Gli altri si dimenavano, ne parlavano, si confrontavano e davano consigli, cambiavano medico e terapia, prendevano psicofarmaci, tentavano con l’omeopatia e i fiori di Bach, urlavano il loro dolore. Io me ne restavo in disparte, a spiarli, facendo molto poco per tentare di risolvere il problema.
Un utente, tale Oscillo71, mi consigliò di provare con l’omeopatia, la cura alternativa utilizzata in Italia da quattro persone su dieci nonostante sia stata dichiarata piú volte nel corso della storia assolutamente inefficace da qualsivoglia studio scientifico. Sappiamo tutti qual è il processo alla base dell’omeopatia, vero? La diluizione. Praticamente, per fare un esempio facile che ho trovato in rete, preleviamo una goccia da una tazzina di caffè e la stemperiamo in novantanove gocce di acqua. Questa diluizione è chiamata 1Ch. Se prendiamo una goccia di questa diluizione e la diluiamo in altre novantanove gocce avremo la 2Ch. Parliamo di diluizioni centesimali, quindi. Quando su quei tubicini miracolosi pieni di palline di zucchero leggete 60Ch, vuol dire che la goccia di caffè (o di Belladonna, per fare un esempio piú concreto) è stata diluita sessanta volte nell’acqua; e già alla dodicesima diluizione della molecola del prodotto iniziale (caffè o Belladonna) dicono non rimanga niente. Va da sé, pertanto, che assumiamo acqua e zucchero. Però lo dobbiamo fare con una certa modalità, mi raccomando, i granuli vanno sciolti sempre sotto la lingua, altrimenti sono inefficaci. «L’omeopatia è una non cura, potenzialmente pericolosa, perché sottrae i pazienti da cure valide», diceva la nostra Rita Levi-Montalcini.
La cosa interessante è che a credere all’azzardo sono i ceti sociali piú alti, non è di certo un fatto di ignoranza, anzi sono le persone di cultura ad affidarsi alle magiche cure omeopatiche. I medicinali omeopatici si trovano in ogni farmacia, e molti medici, se non addirittura pediatri, se ne servono, ci credono. L’unico comprovato effetto dell’omeopatia è il classico placebo, e potremmo disquisire a lungo sulla sua reale utilità, ma la cosa non mi compete e non mi interessa. Mi interessa invece capire perché siamo alla costante ricerca di una formula magica che dia una risposta alle nostre paure, perché crediamo di poterle imbottigliare, catalogare e dargli una qualche connotazione scientifica, se questo serva a spostare l’attenzione dalla pura e semplice paura del vivere (l’ossessione della morte), il mostro a due teste che incombe su noi tutti e che spesso non vogliamo vedere. Ci fottiamo dalla paura e cerchiamo pozioni per lenire i nostri tormenti pur di non guardarci allo specchio e ammettere a noi stessi che forse ci toccherà convivere con il panico per il resto dell’esistenza. E allora è piú facile affidarsi all’omeopatia, ai tarocchi e all’astrologia. In India c’è addirittura un ministro dell’Omeopatia, ma tu pensa.
Nel 2004 un gruppetto di scettici cittadini belgi decise di dar vita a un suicidio omeopatico di gruppo tracannando non so quante boccette di medicinali omeopatici per dimostrarne l’inefficacia. L’esperimento riuscí, perché ai temerari signori non successe nulla, se non che furono costretti a fare avanti e indietro dal bagno per liberarsi dell’acqua assunta. Un altro caso documentato di totale inefficacia delle cure omeopatiche, che in questo caso hanno però salvato la vita a una persona, è quello di Alexa Ray Joel (la figlia del cantante Billy Joel), la quale ingerí una dose massiccia di un preparato omeopatico credendo fosse un tranquillante, per poi sdraiarsi sul letto ad aspettare la morte. Che non arrivò, ovviamente: fu portata in ospedale e dimessa dopo poco, una volta appurato che si era «fatta» solo di acqua.
L’idea piú divertente e originale riguardante la diluizione spetta di certo a quelli che hanno pensato a un rimedio omeopatico spaziale, servendosi del contributo di un buco nero. Questi moderni Einstein hanno situato una fiala di acqua davanti a un telescopio puntato verso un buco nero all’interno della Via Lattea grande quasi quindici volte il Sole, tale Cygnus X-1 (la piú brillante sorgente di raggi X del cielo, composta da una stella gigante superblu che orbita accanto al buco nero), cosí da acquisirne l’energia molecolare.
E il povero Galileo lo stavano mandando al rogo perché si era permesso di alzare il dito per supportare la teoria dell’eliocentrismo di Copernico! Oggi il nostro amato scienziato forse non rischierebbe di essere bruciato vivo, ma di certo incapperebbe in qualche fanatico del web che lo ricoprirebbe di insulti. Oggi esistono perfino i Terrapiattisti, in grande aumento in tutto il mondo, anche in Italia. Qualcuno ritiene che addirittura un terzo dei millennials creda alla teoria della Terra piatta, ma non voglio pensarlo. Il sito di statistiche YouGov ci dice che il 4% dei giovani statunitensi è convinto che abitiamo un disco (ma parliamo sempre di americani, eh, gente che crede nel wrestling e si entusiasma a guardare i match fasulli). Già Aristotele scriveva che la sfericità della Terra era un fatto accertato, Eratostene ne misurò addirittura la circonferenza nel III secolo a. C., e oggi abbiamo chi parla di disco.
La Flat Earth Society è un’associazione nata in Inghilterra a metà anni Cinquanta e che da allora sostiene a gran voce la tesi della Terra piatta. Negli ultimi tempi questa gloriosa società ha contribuito anche a svelare il piú grande complotto della storia: i suoi accoliti infatti si sono resi conto che l’Australia non esiste, è una bufala creata ad hoc dal governo britannico per nascondere il genocidio delle migliaia di persone che nel tempo sono state trasportate laggiú, in quella finta colonia (e che invece sono state gettate in mare). Gli australiani non esistono, sono robot o comparse della Nasa, e chi ha visitato l’Australia non ha capito in realtà di trovarsi nell’America del Sud.
A proposito di Oceania, ho scoperto di recente che le acque australiane ospitano un altro continente chiamato Zealandia, la cui parte emersa è rappresentata dalla Nuova Zelanda, mentre il resto si trova tutto sotto il Pacifico, enormi montagne e distese di terra sprofondate milioni di anni fa, quando l’Australia si staccò dall’Antartide. E a proposito anche di Antartide: la Flat Earth International Conference ha organizzato per il 2020 una grande crociera fin laggiú cosí da dimostrare la veridicità della loro tesi, che il mondo è piatto e termina con la grande barriera del Polo Sud, in stile Trono di Spade.
Ma poi, come finisce? È questo il punto. Cioè, il mare che fa, cade a cascata nell’universo? E non sarebbe un grande spreco? Tra l’altro nello spazio senza gravità l’acqua fluttuerebbe. Dovremmo avere degli immensi oceani sospesi sulle nostre teste, se cosí fosse. E forse è vero, forse il cielo è azzurro perché in realtà si tratta di mare.
’A capa è ’na sfoglia ’e cipolla, diceva mio nonno.
Non sono cosí stupido però da non pensare che mente e corpo siano in connessione, e so che il nostro organismo è un sistema complesso composto da sottosistemi. Da questo punto di vista mi sembra condivisibile la visione olistica che ritiene che l’essere vivente non possa essere considerato come la semplice somma delle sue parti, ma come un unico sistema formato da corpo, mente ed emozioni, e che il malanno altro non è che il segnale di uno squilibrio interno a questo sistema. I disturbi psicosomatici sono, in tal senso, un’evidente dimostrazione di quel che diciamo. La medicina olistica perciò va alla ricerca della causa anziché del sintomo, che è un po’ quello che fa la psicoterapia, un po’ quello che tentava di dirmi il dottor Cavalli. Il che non significa di certo spingersi ad accettare teorie astruse e convincimenti assurdi, come quel medico tedesco antisemita e negazionista, tale Ryke Geerd Hamer, inventore della Nuova medicina germanica, il quale sosteneva che alla base del tumore c’è un conflitto irrisolto generato da un trauma, motivo per il quale per guarire non c’è bisogno di curarsi con le chemio, bensí risolvere il nodo interiore. Sorridete pure, ma con la sua terapia Hamer ha procurato la morte di centinaia di pazienti. Come tante morti hanno causato altre follie collettive nate dalla voglia di credere all’incredibile. Il «siero Bonifacio» è un composto a base di feci e urina di capra ideato da un veterinario del secolo scorso, Liborio Bonifacio, il quale si era convinto chissà perché che le capre non si ammalassero di cancro (cosa non vera) e che perciò la cura per la malattia del secolo fosse da trovare in questa anomalia; mise a punto il siero, la cui ricetta rimase ovviamente segreta per anni, e iniziò a somministrare ai poveri ammalati la cacca e la pipí degli animali. La presunta cura ebbe grande risalto sui media, venne promossa una raccolta fondi, e addirittura il ministero della Salute autorizzò una sperimentazione del «farmaco» che risultò però (ma tu guarda) negativa. Nonostante ciò, Liborio Bonifacio continuò per tutta la vita a utilizzare il siero per i suoi malati.
O, per parlare di tempi piú recenti, chi non ricorda il metodo Di Bella, la terapia alternativa per il cancro ideata dal dottore modenese che non ha mai ricevuto alcun riscontro scientifico e che attirò l’attenzione alla fine degli anni Novanta. Fu anche promossa una sperimentazione che ne sancí la sostanziale inefficacia dopo che quasi la totalità dei circa mille pazienti che si erano sottoposti volontariamente alle cure del dottore persero la vita. Oggi esistono addirittura i dibelliani (fra i quali spiccano i figli del medico), che sostengono che alla base del fallimento della nuova cura vi sia l’esistenza di chissà quali teorie complottistiche che avrebbero voluto sabotare il metodo. Quello che sappiamo di certo, come ci ricorda il libro del professor Burioni, Balle mortali, è che dall’enorme presunto archivio di cartelle cliniche frutto di venti anni di lavoro del dottor Di Bella si è potuto constatare che solo quattro pazienti sono stati realmente trattati con la cura alternativa (senza quindi chemioterapia), e tutti e quattro sono deceduti nell’arco di tre anni.
Per non parlare di quelli che non vaccinano i figli per inseguire chissà quali presunte voci, mettendo in tal modo a rischio la vita di tutti. Di quella ragazzina dell’Emilia-Romagna, la povera Clara, che a soli 15 anni era affetta da diabete e fu convinta a non curarsi dal padre, a sua volta sedotto dalle teorie di un omeopata prima, e poi da quelle di una naturopata «curatrice» americana, tale Maya Randolph. La donna ordinò di interrompere la somministrazione di insulina e iniziare una cura a base di vitamine che, a suo dire, avrebbero rigenerato il pancreas, ma la povera Clara peggiorò in pochissimo tempo e nel giro di tredici giorni andò in coma diabetico e morí. O come quei genitori di Pesaro che nel 2017 si ostinarono ad ascoltare Massimiliano Mecozzi, un medico omeopata che voleva curare a tutti i costi una forte otite del loro bambino senza l’uso di antibiotici e Tachipirina, e che nemmeno di fronte all’evidenza, al medico del 118 che parlava di codice rosso, cambiò idea, e anzi intimò all’uomo (che non lo stette a sentire) di effettuare una semplice terapia domiciliare invece di trasportare il piccolo all’ospedale. Purtroppo, era già tardi, e Francesco, di soli 7 anni, morí per un’encefalite, poiché i batteri nel frattempo avevano avuto il tempo di passare dall’orecchio al cervello.
Una ragazzina e un bambino morti negli anni Duemila per un’otite curabile con un semplice antibiotico e per il diabete (con il quale si può ormai convivere bene per tutta la vita).
Malebolge.
Eppure, la storia dovrebbe insegnarci qualcosa. A metà del Settecento il vaiolo era arrivato a causare mezzo milione di morti all’anno. La prima forma di vaccinazione, detta «variolizzazione», prevedeva che il virus fosse prelevato dall’epidermide di un malato non grave per poi essere iniettato nei soggetti sani. Di questo metodo si serví addirittura il re Ferdinando IV di Borbone, che fece vaccinare sé stesso e i figli. E quando anni dopo il medico inglese Edward Jenner capí che l’inoculazione poteva essere meno rischiosa prelevando il campione del vaiolo vaccino dalle mucche, nelle quali la malattia si manifestava in forma piú lieve, il re organizzò in collaborazione con il medico quella che può essere considerata a tutti gli effetti la prima vaccinazione su larga scala, anche se furono interessate le sole popolazioni di Napoli e Palermo. Nel 1979, dopo una massiccia campagna di vaccinazione, il vaiolo è stato dichiarato come malattia eradicata, unico esempio nella storia dell’umanità fino al 2011, quando stessa sorte è toccata per fortuna alla peste bovina.
La realtà è che spesso la storia non insegna perché non la si vuole ascoltare. Perché non le diamo credito? Perché sentiamo il bisogno di affidarci all’omeopatia, all’astrologia, agli ufo, agli stregoni e agli pseudoscienziati? Perché vogliamo credere alla dannosità dei vaccini, alla Terra piatta e ai fiori di Bach? Sí, di base siamo tutti un po’ americani, ma non è questo il punto; il punto, a mio avviso, è che non ci si affida a qualcosa di assurdo, ma si diffida di qualcosa accettato da tutti. Uso l’omeopatia perché non mi fido della medicina normale, non vaccino mio figlio perché non conosco la scienza, non voglio affidarmi ai poteri forti, che vogliono impormi le loro verità. Credo alle cospirazioni e ai complotti perché se non ci credo passo per un ingenuo credulone. E cosí divento un credulone per non fare la figura del credulone!
Adoriamo sentirci vittime, e siamo tutti, chi piú chi meno, un tantino paranoici, esseri incapaci di discernere la realtà dalla finzione, di pensare con la nostra testa, seguiamo il pensiero comune o quello alternativo, ci affidiamo a chi dice le cose nel modo giusto, a chi dimostra di crederci fino in fondo, a tutti i costi. Non è quel che si dice, ma come lo si dice. I fanatici sono piú motivanti, hanno maggiore capacità di coinvolgere rispetto a chi accetta senza storie una verità acclarata. Il 17% della popolazione mondiale crede alla teoria delle scie chimiche, secondo la quale le tracce di condensazione lasciate dagli aerei nell’atmosfera non sarebbero dovute al vapore acqueo, ma ad agenti chimici riversati in cielo per finalità ambigue che hanno a che fare con il clima (parliamo di ingegneria climatica e di riduzione della radiazione solare).
Ci piace il segreto, siamo attirati dagli scandali, amiamo il pettegolezzo, i complotti ci affascinano. E crediamo all’impensabile pur di non credere e basta.
È la fiducia nel prossimo che ci manca, altro che.
Anche io ci sono passato, ovvio. «Hai un forte raffreddore? Non avvelenarti di paracetamolo, prendi un po’ di Oscillococcinum, o di Belladonna 60Ch, una settimana, massimo dieci giorni, e ti senti una meraviglia!»
E vorrei anche vedere, se dopo dieci giorni un raffreddore non ti passa hai qualche problema al sistema immunitario, altro che Oscillococcinum!
Un pomeriggio mi recai da un gastroenterologo per i miei noti problemi di colon irritabile, non sapendo che questi era anche omeopata. Mi visitò, quindi passò a scrivere la cura. «Allora, mi prende l’Ignatia 5Ch, otto gocce sei volte al giorno…»
Lo guardai esterrefatto, ma lui sorrise.
«… è capace di curare i suoi contrasti interni, i dispiaceri».
«Wow», mi scappò, e il dottore si entusiasmò di fronte al mio stupore.
«Sí, è molto utile per la diarrea emotiva, specialmente se accompagnato con l’Argentum nitricum 4Ch, tre granuli ogni tre ore. Per la somatizzazione di ansie e paure, invece, associamo il Gelsemium, perfetto per gli attacchi di panico. E, infine, non può mancare la Nux Vomica 5Ch, un forte disintossicante. Ne prende tre granuli o cinque gocce ogni due ore».
«Praticamente devo trascorrere la giornata ad assumere pillole».
Alzò la testa dal foglio. «È per il suo bene».
«Certo», risposi, e abbozzai un sorriso.
Mi passò la ricetta e concluse: «Quando avrà finito, possiamo pensare a un ciclo ricostituente e a una pulita dell’intero apparato gastroenterico, una cura di sei mesi grazie alla quale si sentirà un altro».
«Perfetto». Mi alzai.
Ero già sull’uscio quando mi voltai, incapace di trattenermi oltre. «Dottore?»
«Mi dica».
La lampada sulla scrivania gli illuminava per metà un volto sereno e soddisfatto.
«Pensavo: se per la diarrea, invece di tutto ’sto casino, prendessi una compressina di Imodium? Due giorni e risolvo il problema…»
I fiori di Bach devono essere dolcemente recisi e messi in acqua alla luce del sole, in modo che possano trasferire a questa le loro benefiche vibrazioni. L’acqua energizzata viene poi filtrata e diluita con dell’alcol e va a costituire la tintura madre. Anche qui, il rimedio finale è diluito non so quante volte, quindi alla fine resta l’alcol e poco altro, ma non fa nulla perché, si dice, è la memoria dell’acqua a farci guarire.
La memoria dell’acqua.
Indovini, fattucchiere, seduttori. Malebolge.
I fiori di Bach mi furono consigliati da un terapeuta tradizion...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Inventario di un cuore in allarme
  4. Facciamo squadra?
  5. Due minuti fa
  6. Se solo non sapessi
  7. Il primo esercizio
  8. Serendipità
  9. Dio non gioca a dadi
  10. Imperfezione
  11. L’autopalpazione
  12. Ipocondriacocomeme
  13. Un medico per amico
  14. Malebolge
  15. Piú che la forza serve la pazienza
  16. Dolce come le Big Babol alla fragola
  17. Klassens tid
  18. Magie di una mente perversa
  19. Muri
  20. Ogni capa è ’nu tribunale
  21. Nba e ossessioni
  22. La molecola della felicità
  23. La prova dell’esistenza di Dio
  24. Carpe diem
  25. Manualità e chinetosi
  26. Pensa positivo
  27. Calci in culo per tutti
  28. Il respiro della Terra
  29. Il tentativo di incasellare tutte le facce del cubo
  30. Il telefono del vento
  31. Un miliardo e mezzo di rintocchi
  32. Il diavolo dove non può mettere il capo mette la coda
  33. La vita è solo un breve periodo in cui siamo vivi
  34. La felicità dalle mie parte
  35. L’importante è che la morte mi colga vivo
  36. Speriamo bene
  37. Pochi ringraziamenti, e tante scuse
  38. Nota bibliografica
  39. Il libro
  40. L’autore
  41. Copyright