Ripiegai l’assegno e me lo misi nel taschino sforzandomi di non sorridere. Il marito, un certo signor Diedre, aveva appena comprato una Buick usata che stazionava nel parcheggio da un bel po’ di tempo, e sua moglie, una tipetta in una nuvola di chiffon rosa e stupidi pizzi bianchi, sembrava abbastanza soddisfatta dell’acquisto da far felice quel tizio per tutta la notte senza troppi sacrifici.
La Buick avrà avuto un paio d’anni, un modello del ’62, ma il proprietario precedente, un ragazzino di diciassette anni col piede pesante, ci aveva fatto una quantità assurda di chilometri. Alla fine i suoi gliel’avevano tolta e lo avevano costretto ad accettare un lavoro come magazziniere in un supermercato.
Sapevo bene quanta strada aveva fatto quell’auto e com’era stata trattata, perché io stesso avevo tirato il contachilometri cosí indietro da poter dire che la macchina era di una vecchietta che la usava per andare in chiesa la domenica e a fare la spesa il lunedí; poi era morta all’improvviso e il figlio, non sapendo che farsene, aveva deciso di venderla. Storia semplice, balla semplice.
Avevo dato una rapida sistemata alla cinghia di trasmissione, ma nel giro di un paio di giorni, se per caso i due fossero saliti su una collina ripida una volta di troppo o avessero dato piú gas del solito, quella cinghia sarebbe caduta giú come uno stronzo, sempre che non li avesse mollati prima il radiatore. Aveva un piccolo foro che avevo chiuso alla bell’e meglio, ma era stato come tappare un buco nella diga di Hoover con una gomma da masticare. Non avrebbe mai tenuto. Si reggeva per puro spirito di servizio, e di certo non sarebbe durato. In compenso, il prezzo dell’auto era gonfiato a dismisura e gli pneumatici erano messi peggio di quel che sembrava.
Nel momento in cui avrebbero capito di aver comprato un catorcio che sarebbe costato in riparazioni piú di quanto lo avevano pagato, sarebbe stato troppo tardi. Da Smiling Dave – era lui il proprietario – funzionava cosí: una volta che la macchina era fuori dal parcheggio, era tutta tua, problemi compresi.
Gli assegni andavamo a riscuoterli subito.
Diedre poteva anche tornare da noi infuriato, ma non avrebbe ottenuto nulla. La regola era scritta nero su bianco, sui nostri piccoli cartelli. Ne avevamo vari appesi in giro e dicevano che i contratti di vendita non si potevano rescindere. Erano tanti, i cartelli, ma piccoli e scritti a lettere ancora piú piccole. Non volevamo certo far innervosire subito i clienti. C’era scritto pure sui contratti, ma erano in pochi a leggerli: e anche chi lo faceva, se voleva un’auto e aveva i soldi in tasca, la comprava e basta. Una volta che la macchina era pagata e usciva in strada le cose erano fatte, per il cliente e per noi.
Io poi ero famoso per aver preso a pugni piú di un cliente scontento, mentre Smiling Dave, cento e rotti chili per appena un metro e sessanta di statura in bilico su un paio di piedi minuscoli, aveva una pistola da due soldi nel cassetto del suo ufficio, che poi era anche il mio.
Avevo una scrivania piú piccola e una sedia piú scomoda. Alzando gli occhi lo vedevo tossire col suo sigaro e lo sentivo rantolare e cigolare sulla sua sedia girevole. L’ufficio puzzava come un deposito di tabacco dato alle fiamme. Quanto a me, io non fumo. Brutto vizio. Il fumo fa tossire, buca i vestiti, e finisci per puzzare proprio come questo posto. Le donne che fumano, poi, non le sopporto. Non mi piace baciare una che sa di posacenere o di tabacco masticato.
Entrai in ufficio e diedi a Smiling Dave l’assegno di Diedre, dicendogli che era il caso di portarlo in banca subito.
Lui fece un fischio, esaminò il contratto e l’assegno. – Ti sei guadagnato una bella commissioncina, Ed. Bel lavoro. Cos’è, la terza vendita, questa settimana?
− Sí. E uno di quei catorci potrebbe addirittura superare l’anno. Oggi devo tornare a casa un po’ prima. Ho un cane da prendere a calci e una vecchia da spingere giú per le scale.
− Vedi di non farti crescere una coscienza, Ed. Fa male al conto in banca. Sai come dicono: compri a tuo rischio. Meglio in culo a te che a me.
Andai a sedermi sulla mia sedia piccola dietro la scrivania piccola e strizzai gli occhi per il fumo.
Smiling Dave si voltò verso di me cigolando con la sedia e posò il sigaro su un grosso posacenere d’argilla che suo figlio aveva fatto con le sue mani durante un campo estivo. Pareva un pezzo di fango in cui qualcuno aveva affondato il pugno. Da una parte c’era la scritta PAPÀ, vergata con mano artritica.
− Ho bisogno che tu faccia una cosa. Devi riprenderti la Cadillac rossa che ho venduto tempo fa a una coppia, i Craig.
− Era quasi nuova, quella macchina.
− Sí, e anche in buono stato. Non era il solito scassone che rifiliamo coi migliori auguri della ditta. Non ci ho nemmeno provato a venderla in un’unica soluzione: costava troppo, e di certo nessuno ne aveva una da dare in permuta. Quei due tizi dovevano pagarla a rate. Era l’unico modo di darla via a un prezzo decente. Da queste parti chi vuoi che abbia i soldi per comprarsi una Cadillac quasi nuova?
– Lei com’era?
− Mi conosci bene, non c’è che dire. Non era una che butteresti fuori dal letto perché ci lascia le briciole.
– Me lo immaginavo. Tu che concludi un affare del genere…
− Per farla breve, le ho guardato le gambe per un po’, ho incassato l’anticipo, un paio di rate e poi basta, non hanno piú scucito un dollaro. Ho provato a chiamarli, ho mandato una lettera. Niente.
− Hai provato con un piccione viaggiatore?
– Sei tu il mio piccione viaggiatore, Ed. Magari portati dietro quel manganello che hai, il pugno di ferro, vedi tu. Il marito è bello grosso. Non da rovesciare un camion a mani nude, ma da farti un occhio nero e cadere qualche dente con un cazzotto sí.
– Va bene. Ci vado dopo il lavoro.
– Non serve. Vacci in orario di lavoro. Non ti pago abbastanza per fare gli straordinari.
− Non mi paghi abbastanza nemmeno per l’orario normale. Pochi dollari, piú le commissioni.
– Merda, Ed! Vendi un sacco di macchine. Prendi una bella percentuale. Non devi timbrare il cartellino e metterti la cravatta. Ti puoi permettere le tue giacche sportive e le scarpe con le nappe. Che per la cronaca sono ridicole.
– Ha parlato il grassone con la cenere di sigaro sulla camicia.
Smiling Dave ridacchiò. – Che c’entra, io compenso con la mia personalità.
Era tardo pomeriggio quando finii di lavorare, mi presi un caffè e ascoltai la radio per un po’ nel mio appartamento, poi misi insieme le carte necessarie e decisi di andare a recuperare la Cadillac.
Prima però telefonai a mia sorella e le dissi che sarei andato a prenderla e che al ritorno avrebbe dovuto guidare la mia auto.
− Certo. Perché sono al tuo servizio, no? – ribatté Melinda stizzita.
− No. Perché in cambio ti do dieci dollari.
– Adesso ci capiamo.
Quando arrivai al parcheggio per roulotte dove viveva Melinda, la trovai seduta sui gradini a leggere una rivista. Mi era difficile accettare che ormai aveva diciannove anni. Si era trasformata in una ragazza bella e sveglia, e mi dava parecchio sui nervi che buttasse il suo tempo alla fabbrica di sedie d’alluminio; del resto io non ero certo un buon esempio. Mi vide parcheggiare, mise giú la rivista e salí in macchina, coi lunghi capelli neri che le ondeggiavano sulle spalle.
– Ciao, fratello.
– Che accidenti ti sei messa?
– Un sacco di gente li chiama shorts.
– Per essere corti, sono corti.
– A te piacciono le donne che mostrano le gambe.
– Non quando si tratta delle gambe di mia sorella.
– Prima di andare, perché non entri a salutare mamma?
– No. Adesso no, – dissi.
L’indirizzo dei Craig che stava sul contratto portava fuori città. Avevano un vasto pezzo di terra con un drive-in, l’High-Tone drive-in e accanto un’area recintata di circa cinque acri con un’insegna di metallo: IL PARADISO DEGLI ANIMALI. Era circondata da una recinzione a tronchi grezzi, piuttosto ben fatta. Una scelta strana, per un cimitero, ma cosí era. C’erano varie tombe e anche un paio di costruzioni di discrete dimensioni, una un po’ piú grande dell’altra, forse un garage.
Sul limitare del cimitero c’erano parecchi alberi e di lí partiva una stradina tortuosa, che correva dietro al boschetto. Era in quel punto che sorgeva la casa, preceduta da un vialetto di ghiaia che portava all’ingresso. Un piccolo edificio bianco a cui sarebbe servito un tetto nuovo e anche qualcuno che tagliasse l’erba. Era circondato da una staccionata bianca, con un cancello di assi dello stesso colore e un sentiero pedonale lastricato.
Nessuna traccia della Cadillac.
Mi augurai che fosse nel garage e parcheggiai davanti al cancello.
Melinda disse: – Mica male, come casa. E anche il cimitero e il drive-in sono roba loro, giusto?
– Sí.
– Be’, con due attività, non dovrebbero avere problemi a pagare le rate dell’auto.
– Per il cimitero, se vuoi intascare qualcosa, bisogna che qualcuno ti porti qualche animale da seppellire. Il drive-in sembra piú redditizio, i ragazzini ci vanno.
– Sí, certe volte ci andiamo anche Jodie e io, a divertirci.
– Non voglio sapere altro, sorella. Le chiavi le lascio nel cruscotto, nel caso dovessimo andarcene alla svelta. Può capitare che si agitino un po’. Tu mettiti al volante appena mi vedi uscire.
Mi allungai oltre Melinda, presi il manganello dal vano portaoggetti e lo misi in tasca.
– Cavolo, Ed, vuoi picchiarli?
– È solo per mantenere la conversazione sul giusto binario.
Scesi dall’auto, aprii il cancello e raggiunsi la porta d’ingresso passando per il sentiero in pietra.
Bussai e mi sforzai di non apparire troppo minaccioso. Venne ad aprire una donna. Spalancò la porta a zanzariera costringendomi a indietreggiare. Quando la porta completò il giro sui cardini, però, feci un passo e mi piazzai lí, impedendo che si richiu...