Se quella notte foste passati anche voi per via Canotti, non lontano dalla piazza principale della città di Solinga, avreste visto due luci andare avanti e indietro, a qualche metro d’altezza da terra. Una era gialla, l’altra azzurra. Chi erano? Che cosa facevano, tutte sole nella città addormentata?
Erano le luci di due lampioni. SÃ, proprio due lampioni: camminavano ai lati della strada, con le loro lunghe gambe di metallo, ciascuno sul suo marciapiede.
A Solinga i lampioni non si limitavano a illuminare le strade. Avevano anche il compito di perlustrarle.
Quei due camminavano tenendo le mani dietro le schiene smilze, un po’ curve, con le dita intrecciate, la testa china, lo sguardo a terra. Erano molto in ansia, perché le otto del mattino erano passate da un pezzo, ma intorno a loro il buio era profondo. La notte era ancora lÃ. Il sole non si faceva vivo.
«È tutta la notte che vado avanti e indietro», disse il primo lampione, «comincio a essere stanco». Dalla sua bolla di vetro emanava una luce gialla. E infatti lo chiamavano tutti cosÃ, Bolla Gialla.
«A chi lo dici», gli rispose l’altro lampione, che al posto della testa aveva una bella lanterna quadrata, colma di luce azzurra. Il suo nome era proprio Lanterna Azzurra. «Avrò fatto il giro della piazza almeno venti volte».
«Ed è tutto a posto?» chiese Bolla Gialla.
«A parte il sole che non arriva. E tu?» domandò Lanterna Azzurra. «Hai dato un’occhiata dentro i cassonetti della spazzatura?»
«Dal primo all’ultimo».
«E dentro i cestini?»
«Anche».
«Hanno digerito l’immondizia?»
«Tutta quanta».
«Ma si sono lavati i denti?»
«Certo! Dentifricio all’aroma di pesce e verdura marcia».
«Bravi».
«Tu hai rimesso in ordine le parole sulle insegne dei negozi?»
«Perché?» chiese Lanterna Azzurra.
«Quando dormono russano troppo forte. Tremano come un terremoto».
«E allora?»
«Le lettere saltellano e si scombinano tutte», spiegò Bolla Gialla. «L’ordine cambia, e quando si svegliano non è piú quello di prima».
«E che problema c’è?» chiese Lanterna Azzurra.
«Sull’insegna c’è scritto tutt’altro, e il negozio deve adeguarsi! Dalla sera alla mattina l’ENOTECA, invece del vino, si mette a vendere ACETONE».
«I clienti non saranno molto contenti».
«Ma quella che mi dà piú preoccupazioni è la PASTICCERIA», continuò Bolla Gialla.
«Perché?»
«Be’, si trasforma in SCARICAPETI. Vedi un po’ tu. Uno crede di entrare in pasticceria a fare colazione con un dolcetto, e invece gli arriva addosso un odorino…»
«Non è il modo migliore di cominciare la giornata».
«Eh no».
«Non me ne ero mai accorto», ammise Lanterna Azzurra.
«Di’ la verità : non hai controllato», lo rimproverò Bolla Gialla.
«Avevo altro da fare».
«Cose importanti?»
«Sono salito sul piedistallo, in piazza, e sono rimasto là seduto a scambiare due chiacchiere con la statua della Felicità ».
«Te la sei presa comoda».
«Poverina, è sempre sola, là in mezzo. Se non parla con qualcuno diventa triste».
«Nessuno le fa compagnia?»
«È che bisogna sapere come farsi capire da lei. Non è facile. Ha un modo tutto suo di esprimersi. Io ormai la conosco e so come va trattata».
«Allora il nostro dovere l’abbiamo fatto».
«Eccome. E poi comincia a farmi male la testa, con questa lampadina sempre accesa nel cervello».
«SÃ, sarebbe ora di andare a dormire».
«Ma come facciamo a spegnerci, se è ancora notte?»
All’improvviso si sentà un brontolio profondo. Una voce li interruppe: «Ehi, voi! La smettete di fare chiasso?»
I due lampioni si guardarono intorno. A parte loro, non c’era in giro nessuno.
«SÃ, proprio voi due», disse la voce. Le sue parole cadevano dall’alto. I lampioni alzarono la testa per capire da dove venissero di preciso.
«Chi è?» disse a voce alta Lanterna Azzurra.
«Chi ci chiama?» disse Bolla Gialla, quasi gridando.
«Parlate piano! Non vorrete mica svegliarla», disse la voce.
«Ma… A noi sembra tardissimo. Dovrebbe essere giorno da un pezzo».
«Lo so, lo so», disse la voce. «Se non lo so io…»
Allora i due lampioni capirono finalmente chi era che parlava: l’orologio della torre.
«Ascoltate», disse l’orologio.
Dalla torre risuonarono deboli colpi di metallo. Una campana veniva presa a martellate dall’interno, ma in sordina, come se il batacchio fosse foderato di velluto.
«Sono le nove in punto», disse l’orologio.
«E il sole dov’è finito?» chiesero i due lampioni. «Di solito è puntuale».
«Guardate l’orizzonte».
«Eh, facile, per te che stai lassú in alto», dissero i lampioni.
«Alzatevi sulla punta dei piedi», disse l’orologio.
Bolla Gialla e Lanterna Azzurra si allungarono piú che poterono, e tirando su il collo guardarono al di là delle case, oltre la periferia di Solinga: il viadotto della tangenziale, i centri commerciali, il ponte sul fiume Melmario.
Era proprio vero. All’orizzonte stava succedendo qualcosa.
Una favilla rosa e arancio, molto piccola, a forma di cupoletta, era spuntata dall’orlo fra la terra e il cielo. Ma la cosa strana fu che al suo fianco se ne aggiunse subito un’altra. E poi un’altra, e un’altra ancora. Erano quattro semicerchi luminosi. Poco distante ne apparvero altri quattro, uno dopo l’altro.
I lampioni guardarono quelle otto piccole luci, si guardarono negli occhi fra loro, ma nessuno dei due sapeva che cosa dire; alla fine guardarono in faccia l’orologio della torre, aspettando una spiegazione.
L’orologio taceva.
Allora i due lampioni si azzardarono a commentare: «Sembrano dei soli, ma molto piú piccoli», disse Lanterna Azzurra.
«Sono dei solini? Dei soletti?» disse Bolla Gialla.
«Il sole ha dei figli? Nessuno ce l’aveva mai detto», disse Lanterna Azzurra.
«Smettetela di dire fesserie», disse l’orologio. «Quelle sono le dita del sole. Si vede che non le avete mai viste quando spuntano, dormiglioni».
«Noi lavoriamo tutta la notte!» protestò Bolla Gialla. «E quando l’alba si accende ci spegniamo, prima che il sole sorga».
«Cosa sta succedendo?» chiese Lanterna Azzurra.
«Il sole si è aggrappato all’orizzonte, si sta tirando su. Fra poco spunterà anche la sua faccia tonda», disse l’orologio della torre.
Ma non andò cosÃ. Una delle dita, una sola, cominciò ad allungarsi, strisciando per terra. Si mosse in avanti, attraversando la pianura; scavalcò il ponte sul fiume Melmario, passò accanto ai centri commerciali, scivolò sotto il viadotto della tangenziale e proseguà verso la città .
Assomigliava a un cavo di fibra ottica; la sua luce però non era bianca, ma arancione e rosacea. A poco a poco, inoltrandosi fra i parcheggi di asfalto e i binari del treno, raggiunse i quartieri di Solinga. Attraversò l’aiuola di un parco, e i fiori si aprirono al suo passaggio. Attraversò una piazzetta, e una fontanella ricominciò a gorgogliare. Attraversò le strade, saltellando sulle strisce pedonali, e i dischi rossi e verdi dei semafori si riaccesero.
Il dito di luce imboccò deciso via Canotti. Passò fra i piedi di Lanterna Azzurra e Bolla Gialla, prendendo alla sprovvista i due lampioni, che fecero un balzo per evitarlo, un po’ spaventati. Alla fine si fermò davanti a una casa, la piú carina di tutta Solinga. Si arrampicò sul muro della facciata, fino a raggiungere una finestra del secondo piano, che aveva la tapparella abbassata. Si acquattò sul davanzale, per insinuarsi sotto la fessura della tapparella.
«Che cosa ha intenzione di fare?» si chiesero incuriositi i due lampioni.
«Ssst», disse l’orologio della torre, «non disturbate il primo raggio di sole».