I segreti del giovedì sera
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I segreti del giovedì sera

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I segreti del giovedì sera

Informazioni su questo libro

Se la vita durasse una settimana, per Elvis e i suoi amici oggi sarebbe giovedí. Infatti è di giovedí che s'incontrano. Per scrutarsi, raccontarsi le novità, fare bilanci dentro un mondo che si scompone sotto i piedi. Tra poco non avranno piú cinquant'anni, e usciranno per sempre dall'età di mezzo per entrare in un territorio nuovo. Cosí, tra amori che nascono o franano, ansiolitici e aperitivi, cercano di varcare quella soglia labile e miracolosa saltandoci sopra come in una giostra, decisi a non scendere sin che dura il fiato - o il vino. La loro vita a dirotto si riflette in un dialogo inesauribile, impudico, che ci vede coinvolti tutti, nella stessa risata e nella stessa paura: congedarsi senza preavviso dall'unica giovinezza che ci è stata assegnata senza aver capito cosa ci aspetta. «Abbiamo 59 anni, alcuni di noi hanno smesso di tingersi i capelli e di fumare, altri hanno cominciato la dieta e la Recherche, però dicendo che la rileggono. Facciamo finta di credere a un sacco di cose: che dimostriamo al massimo 48 anni, che non siamo depressi ma disincantati, che quella non è pancia ma colite. Che il vino rosso fa bene, e il caffè allunga la vita. Abbiamo avuto case allagate e idee geniali, spesso contemporaneamente. Alcuni hanno doppie vite, doppio lavoro, doppio mento, doppia sim. A teatro ci addormentiamo, e in tv vediamo lo stesso Montalbano tre volte, convinti che sia la prima. Abbiamo voglia di ridere, ma ci commuoviamo spesso e diamo la colpa al polline. Ci angoscia l'idea di dimenticare le password. Crediamo ancora negli sconti, piú o meno in Dio, nelle creme antirughe, nei concerti del primo maggio e nei sughi senza conservanti, e quasi tutti nel primo Battisti e nel primo Battiato, il primo Von Trier e il primo Paul Auster. Conviviamo con malattie autoimmuni, vicini razzisti, gatti anaffettivi, pc pieni di virus, aumenti di stipendio, di peso, di autostima, ma combattiamo il colesterolo, la fine della sinistra, gli specchi troppo illuminati, le sanatorie, i leggings di ogni tipo, i bicchieri di plastica, l'irrilevanza, la frenesia del Pil, i rumori di deglutizione. Ogni tanto siamo felici, senza motivo, senza bisogno d'indagare. Ci innamoriamo, andiamo in Messico e poi torniamo. Abbiamo detto milioni di volte le parole stress, motivazioni, analisi, percorso, adesso diciamo piú spesso pillola, spreco, cuore, meraviglia. Il vocabolario si restringe e ansima, nel silenzio troviamo nuove gradazioni. Guardiamo il meteo sull'iPhone, piú volte al giorno, e la notte per quello dopo. Mettiamo in carica. Domani sole».
E. S.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2020
Print ISBN
9788806243975
eBook ISBN
9788858433737

1.

Il pomeriggio del 26 settembre Miriam è spuntata coi capelli bianchi e cortissimi. Eravamo in quella sala da tè in corso Italia di cui non ricordo il nome, al tavolino tondo all’angolo che ci faceva sentire piú raccolte. Lei che è sempre puntuale secondo me ha ritardato apposta, a enfatizzare la sorpresa.
È rimasta in silenzio, dritta, sotto il lampadario a gocce di cristallo, la sciarpa blu che pareva un salvagente, e si capiva che aspettava là, con quel sorriso naufrago e lo zaino in spalla, i nostri commenti. Le sopracciglia spesse e scure, tra i riflessi dei vetri e quella luce ghiaccio, sembravano segnate col pennarello, e nel tavolo accanto si sono zittite due tipe che litigavano su un certo Nino.
Come al solito ho mentito io per tutte: – Stai benissimo, ti sei tolta dieci anni! E poi com’erano tristi e retoriche quelle onde scure di capelli!
Questa frase l’ho detta mentre le andavo incontro. L’ho abbracciata e finalmente è uscita da quel cono ospedaliero di luce – non capisco come si possano usare led a luce bianca, specialmente in uno chandelier di cristallo, quando esistono allo stesso prezzo luci calde dorate –, e hanno parlato anche le altre.
– Hai fatto bene, la tintura è una schiavitú, e poi è cancerogena! – ha detto Sophia.
– Ma sai che il corto ti mette in luce l’ovale? – questa è Olivia.
Mentre il ragazzo portava le tazze, e Olivia accendeva la candela, Miriam ci guardava con occhi lucenti. Ma il suo sorriso, soprattutto, era radioso. È stato lí, dai bagliori dei denti, che ci siamo accorte dell’apparecchio.
Anche Luca era entusiasta del suo cambiamento, ha detto lei, e l’apparecchio l’avrebbe tenuto solo un anno – massimo due – per riparare la malocclusione della mandibola, ed era Luca che se n’era accorto, perché la notte lei digrignava i denti, li batteva, sibilava. Adesso non solo avrebbe avuto requie (la sua bocca o Luca, non si capiva), ma anche la postura ne avrebbe guadagnato, e dicendolo ha drizzato il busto sullo schienale e stirato il collo in avanti.
Insomma era merito di Luca, ha concluso, e quando diceva Luca aspirava la C e allungava la A, per questo Luca in bocca a lei prendeva un suono di gola, sospiroso.
Miriam ha cinquantasette anni e Luca quarantuno. Lei fa l’avvocata matrimonialista in uno studio associato con un piccolo giardino interno. Grazie a quell’albero di limoni, i lampioncini in finta ghisa, la stufa vintage e i divanetti in vimini, risolve molte liti e guadagna bene. Ha avuto una grande idea, in quell’atmosfera intima e serena le parti si rilassano.
Luca fa l’addestratore di cani, ha una laurea breve in Scienze della formazione (che gli è stata di grande aiuto coi cani, dice), e ha conosciuto Miriam l’anno scorso a uno stage sulla Comunicazione riparatoria. Ero stata io a trovarle il titolo, Il disagio dell’inciviltà. Cura e linguaggio nelle ferite sociali, dunque è grazie a me se ha trovato Luca, che è anche carino e muscoloso, e se vivono insieme da un anno.
Finito il discorso sui denti, e sugli impianti piú affidabili, e dove conviene fare lo sbiancamento, che secondo Olivia è un boomerang, abbiamo parlato del film sul mondo dell’editoria che avevo visto la sera prima con Olivia.
Sorseggiavamo tutte la stessa tisana ai frutti bianchi (cioè ananas mela pera finocchio ginseng, disgustosa), quando io ho detto che c’è un sano ritorno al film di analisi sociale, e Olivia ha detto che gli americani e i francesi li hanno sempre fatti, siamo noi gli arretrati, e in ogni caso non la sfioriamo nemmeno, l’ironia malinconica dei francesi! – Ah, quella specie d’innocente perfidia che hanno solo loro! – ha aggiunto, lasciando la bocca mezzo aperta in modo stuporoso, a ricordarci che nel suo liceo a parte Italiano insegna Cinema. E aveva ragione, le ho detto, i registi francesi sono impareggiabili nel degustare le disgrazie come se fossero tarte tatin e viceversa.
Miriam, che era stata zitta perché non aveva visto il film, ha chiesto a quel punto come mai, per la prima volta nella storia della nostra amicizia, non avessimo ordinato nemmeno un biscotto, nemmeno all’avena o integrale, di quelli secchi e prosciugati. In quel momento, guardandola, ci siamo accorte di nuovo della sua testa cosí diversa, talmente bianca e spopolata, e per coprire lo sconforto c’è stato un altro giro di complimenti. Lei sorrideva dietro la candela e il suo apparecchio lampeggiava.
Poi è arrivato il conto, e mentre Olivia si chinava a prendere la borsa a terra, Sophia sbirciava la sua scollatura – aveva un top con foglie secche e pappagalli rossi e blu. Fra i becchi spuntavano le pieghe rugose dei seni, ma la pelle era abbronzata e si confondevano col fogliame. Sophia aveva una camicia verde di seta con un fiocco legato sotto il mento, e quando si è affogata con l’ultimo sorso di tisana lo ha finalmente allentato. Il verde magnificava i suoi capelli rossi. Ho sempre pensato che somiglia a Gilda, una Rita Hayworth intimidita e mai sfiorata dall’idea di fare cinema, non gliel’ho mai detto.
Miriam è tornata dal bagno ancora piú profumata, e Olivia le ha detto che esagerava, e sul collo ormai libero dai capelli poteva utilmente dimezzare gli spruzzi.
Un quarto d’ora lo abbiamo impiegato ancora a ricordare il titolo di quel film, poi ci siamo salutate e mi è venuto in mente a sera, mentre lavavo i denti. Il gioco delle coppie. Che non c’entrava niente, appunto, con la storia.
A letto mi sono chiesta se Miriam in quel momento metteva l’apparecchio nel bicchiere con l’acqua e la pastiglia, come si fa con le dentiere, o se ci dormiva tranquilla.

2.

– Tu lo capisci, Elvis, è un boomerang! Lo fai una volta e devi farlo sempre!
È passata una settimana dalla tisana bianca, ed Elvis sono io nei momenti allegri.
Siamo nude con Olivia in un camerino a provare abiti fucsia con lo sconto. – E se una volta compri il pistacchio a Bronte per la preside, – continua lei, – la volta dopo quella si offende se lo compri alla Conad –. Ottobre è appena cominciato e pare nato per le liquidazioni, privo com’è, in Sicilia, di nettezza e connotati stabili. Per noi è la coda dell’estate, il trionfo delle rimanenze – ultime ferie, ultimi bagni, ultimi film all’arena. Quel gusto nevrotico di mettere in salvo.
Il negozio è vuoto, tranne una commessa che si dà il rossetto spiandosi con aria truce in un minuscolo specchio, e spogliarci insieme nel camerino ci diverte. Questo è grande, ha pure uno sgabello. Lei è già pronta, io sto ancora trafficando con stivaletti e strati di tessuto – sono la piú freddolosa.
– Il fucsia è un boomerang, – dice, – se non ti trucchi bene ti ammazza, – e la commessa forse ha sentito perché smette di messaggiare con le unghie color sangue e ci dice di stare attente a non macchiare i capi col rossetto. Lo dice scandendo le parole e con forzata gentilezza, come se fossimo due rimbambite, e intanto lasciamo la specchiera – il fucsia non è un paese per tutte.
– Ma poi scusami, questi pistacchieti di Bronte quanto misurano per rifornire mezzo pianeta?
Nello specchio la vedo sexy e svagata, sembra Diane Keaton quando fa la nonna arguta, anche gli stessi capelli, castani e lisci sino alle spalle.
– I pistacchi di Bronte vengono certo dalla Cina, – dico mentre ci rivestiamo, – ma tu da quando usi la pancera rinforzata?
– È solo un bustino contenitivo contro l’aria del colon, – si tira giú la maglia, – lo trovi anche tu a 6 euro dai cinesi –. E intanto studia l’etichetta del suo vestito (secondo lei una 40 e non una 42), stringe gli occhi e l’allontana, aggrotta le sopracciglia, e nello sforzo della visione le si gonfia il doppio mento, ha quell’espressione torva e ottusa che abbiamo tutte quando ci mancano gli occhiali.
– E comunque stare con uno piú giovane è un boomerang, guarda Miriam come si è ridotta, è passata ai capelli bianchi per mettersi fuori categoria, sfuggire al confronto con le altre. C’è arroganza, no, in questo porsi al di sopra?
Ogni cosa da un po’ di tempo per Olivia si trasforma in boomerang. Andare dal parrucchiere è un boomerang perché ti abitui ai capelli lisci e quando li lavi a casa ti senti una strega, abbronzarsi è un boomerang perché rovina la pelle. Ma anche essere cortese, perché poi le colleghe lo chiedono sempre: mi sostituisci la seconda ora?
Fino a due anni fa il suo campo visivo era libero e senza boomerang. Aveva cinquantasette anni quando ha deciso di essere coraggiosa e di reclamare, anzi riscuotere, il suo residuo diritto alla felicità come donna.
In un mattino umido di maggio mi annunciò di voler lasciare il marito. Eravamo al tavolino del bar Sciara e mentre diceva «come donna» sospese in aria il cucchiaino e prese a ruotarlo con espressione languorosa – per fortuna era vuoto. La granita di cioccolato era ancora là nel bicchiere. Con l’altra mano si toccava il seno appena affiorante da una camicia a pois, a evocare in modo implorante la regione del cuore, ma a me parve un gesto di struggente sensualità. Sono passati due anni e ricordo bene quel gesto, come quello di Tereza in piscina, nell’Insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera.
Non aveva ancora la frangia di Diane Keaton che copre le rughe, e i capelli erano gonfi, neri e inquieti. Però è sempre alta come la Keaton, e come lei inarca le narici.
Per il compleanno le ho regalato una crema all’acido ialuronico da 70 euro (con la promozione del 20) e ho citato Musil nel biglietto di auguri, laddove parla della «vaga ostilità atmosferica di cui l’aria è satura nell’èra nostra», visto che un uomo senza qualità spuntava sempre nei suoi discorsi. Ma non ha colto il rimando, anzi ha buttato il biglietto di auguri insieme al nastro.
– Quanti anni ci restano, – disse agitando il cucchiaino, – di vitalità sessuale?
Lo chiese una seconda volta. – Quanti anni hai ancora di vitalità sessuale?
Aveva alzato la voce e un colombo si voltò verso di me. Mi vergognai, e le dissi di dedicarsi alla sua granita, quasi liquida. Io avevo finito la mia da un pezzo e con automatismo, giusto per fare qualcosa, sbocconcellavo la sua brioche. Non l’aveva neppure toccata.
Poi disse che abbiamo tutte il diritto naturale, oltre che culturale, di essere desiderate e ascoltate da un uomo contento di passare il tempo con noi, ed è inaccettabile, indignitoso, sentirci noiose e prevedibili, insomma una cosa scontata, dopo ben trent’anni di matrimonio. Si fermò a deglutire un grumo di saliva.
C’era una specie di controsenso ma lei è una maga dell’antifrasi, infatti le piace il moto doppio del boomerang.
– Trent’anni! – alzò il tono. – Gli sarebbero dovuti servire se non altro a conoscermi, a capire cosa voglio, no?
La verità è una. Ci piace credere che gli altri si aprano con noi per sentire i nostri consigli, o il nostro conforto, invece vogliono solo parlare, essere ascoltati e soprattutto vedere cosa succede in quella faccia che hai davanti, se sbatte gli occhi per lo scandalo o se il labbro si piega commiserante, se il bicchiere sul tavolo balla o un coltello finisce a terra. Se riveli cose tremende di cui potresti pentirti – per questo il gioco è eccitante e pericoloso – o vantarti. A volte non puoi piú tornare indietro dopo un annuncio sgorgato dalla tua bocca, ed è un bene, sei costretto a metterlo in pratica, per non perdere l’autostima.
Vogliamo testimoni, anche solo per rimproverare qualcuno, un giorno, di non averci interrotto, fermato. Ecco, Olivia era in quel punto della sua vita, provava il passo intorno al bordo del suo cratere personale, e io dovevo staccarmi dal mio e avvicinarmi al suo, non per spostarla – tanto non sarebbe caduta, detestava il marito in modo sufficiente, e l’avversione è un buon carburante –, ma per mostrarle che c’ero.
Lanciai a terra un pezzo della sua brioche per distrarre il colombo troppo curioso. Lei spinse in bocca ciò che restava sul piattino e riprese a parlare, cosa mai fatta, con la bocca piena.
Alle sue spalle il cameriere portava il conto a una coppia anziana e grassa di turisti con le braccia chiazzate di rosa. Il tavolino era un caos di carte e piattini, e loro rivolgevano all’insegna del bar un sorriso ebete e grato, la pancia premuta sul tavolo. Avevano la stessa T-shirt, con la scritta I LOVE CANNOLI sul disegno delle pistole.
Il suo iPhone suonava ma lei non rispondeva, non riusciva a smettere di parlare. – Pensa che quando Giuliana è rimasta vedova, mi sono accorta che la invidiavo! Non te la ricordi, Elvis, ma l’hai incrociata una volta a casa mia, per la tombola della Befana, aveva un marito ignorante che poi diventò malato e depresso. Lo amava, però. Da quanto tempo non la vedi? È ringiovanita di dieci anni, serena! E lo capisco, è il modo piú sano per separarsi (se lui ha un’età, naturalmente, e non sta bene) senza ritorsioni, sensi di colpa, rimpianti, rimorsi. Senza avvocati, senza divisione di soldi e patrimoni. Senza dover motivare nulla ai figli, che non perdonano mai la madre di aver lasciato il padre, senza il pericolo di privarli della sicurezza economica, senza creare altri conflitti interni in famiglia.
– Okay, ma non esagerare, tu figli non ne hai, – ho detto.
– Mica parlavo di me, infatti. Pensi che io potrei mai, sul serio, desiderare la morte di qualcuno?
Cominciò cosí, ufficialmente, quel maggio di due anni fa, il dibattito sulla loro separazione, che diventò una specie di forum allargato e permanente con vari gruppi WhatsApp e incontri piú o meno professionali curati da Miriam, anche solo fra amiche, nel giardino zen dello studio.
Ne parlavamo anche nei giovedí sera col solito gruppo, inclusa Olivia e a volte anche il marito, e per quel cieco senso di conservazione animale che contrabbandiamo per saggezza cercavamo di distoglierla dal progetto, forse invidiosi del suo coraggio e della promessa di libertà.
Una sera in una pizze...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I segreti del giovedí sera
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21.
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. 26.
  30. 27.
  31. 28.
  32. 29.
  33. 30.
  34. 31.
  35. 32.
  36. 33.
  37. 34.
  38. 35.
  39. Ringraziamenti.
  40. Il libro
  41. L’autrice
  42. Della stessa autrice
  43. Copyright