Don Rigoberto, doña Lucrecia e Fonchito arrivarono a Piura a metà mattina con un volo della Lan Perú e un taxi li condusse all’hotel Los Portales, in plaza de Armas. La prenotazione fatta da FelÃcito Yanaqué, una camera doppia e una singola, attigue, corrispondeva alle loro richieste. Non appena si furono sistemati, uscirono tutti e tre insieme per fare una passeggiata. Fecero il giro di plaza de Armas, ombreggiata da alti tamarindi secolari e colorata qua e là da qualche albero del fuoco dai fiori rossissimi.
Non faceva molto caldo. Si fermarono per un po’ a osservare il monumento al centro della piazza, la Pola1, un’agguerrita donna di marmo che rappresentava la libertà , regalata dal presidente José Balta nel 1870, e diedero un’occhiata all’insignificante cattedrale. Poi si sedettero nella pasticceria El Chalán per bere qualcosa. Rigoberto e Lucrecia si guardavano intorno, osservando gli sconosciuti, incuriositi e un po’ scettici. L’incontro segreto con Armida che avevano in programma sarebbe avvenuto davvero? Lo desideravano ardentemente, certo, ma il mistero che avvolgeva quel viaggio impediva loro di prendere la faccenda troppo sul serio. A tratti avevano l’impressione di giocare a uno di quei giochi che fanno i vecchi per sentirsi giovani.
– No, non può essere uno scherzo, e neanche una trappola, – affermò ancora una volta don Rigoberto, cercando di convincere se stesso. – La persona con cui ho parlato al telefono mi ha fatto una buona impressione, te l’ho detto. Un uomo umile, senza dubbio, provinciale, un po’ timido, ma benintenzionato. Una brava persona, ne sono sicuro. Non ho dubbi che parlasse in nome di Armida.
– Non ti sembra di vivere una situazione un po’ irreale? – ribatté doña Lucrecia, con una risatina nervosa. Aveva un ventaglio di madreperla in mano e si faceva aria sul volto senza posa. – Faccio fatica a credere alle cose che ci stanno succedendo, Rigoberto. Che siamo venuti a Piura dicendo a tutti che avevamo bisogno di riposarci. Nessuno ci ha creduto, naturalmente.
Sembrava che Fonchito non li stesse ascoltando. Di tanto in tanto sorbiva la sua granita di lúcuma, fissando il tavolo, del tutto indifferente a ciò che dicevano il padre e la matrigna, come se fosse assorto in un pensiero recondito che lo preoccupava. Era in quello stato dall’ultimo incontro con Edilberto Torres e per quella ragione don Rigoberto aveva deciso di portarlo a Piura, anche se il viaggio gli avrebbe fatto perdere qualche giorno di scuola.
– Edilberto Torres? – sussultò sulla sedia della scrivania. – Di nuovo lui? Che parlava della Bibbia?
– Proprio io, Fonchito, – disse Edilberto Torres. – Non mi dire che ti sei dimenticato di me. Non ti facevo cosà ingrato.
– Mi sono appena confessato e sto facendo la penitenza che mi ha assegnato il prete, – balbettò Fonchito, piú sorpreso che spaventato. – Ora non posso parlare con lei, signore, mi dispiace molto.
– Nella chiesa di Fátima? – ripeté don Rigoberto, incredulo, muovendosi come se avesse il ballo di San Vito, e facendo cadere a terra il libro sull’arte tantrica che stava leggendo. – Era l� In chiesa?
– Ti capisco e ti chiedo scusa –. Edilberto Torres abbassò la voce, indicando l’altare con un dito. – Prega, prega, Fonchito, che ti fa bene. Parleremo dopo. Pregherò anch’io.
– SÃ, nella chiesa di Fátima, – confermò Fonchito, pallido e con lo sguardo un po’ perso. – Io e i miei amici, quelli del gruppo della Bibbia, siamo andati là per confessarci. Loro erano già usciti, io sono entrato nel confessionale per ultimo. Non c’era molta gente in chiesa. E, all’improvviso, mi sono accorto che era lÃ, non so da quanto tempo. SÃ, lÃ, seduto accanto a me. Mi sono preso uno spavento, papà . So che non mi credi, che dirai che mi sono inventato l’incontro anche stavolta. Parlava della Bibbia, sÃ.
– Va bene, va bene, – lasciò correre don Rigoberto. – Ora è piú prudente tornare in albergo. Pranzeremo lÃ. Il signor Yanaqué ha detto che si sarebbe messo in contatto con me nel pomeriggio. Se davvero si chiama cosÃ. Che nome strano, sembra lo pseudonimo di uno di quei cantanti rock pieni di tatuaggi, non trovi?
– A me sembra un cognome molto piurano, – affermò doña Lucrecia. – Forse sarà un discendente dei tallanes.
Pagò il conto e uscirono tutti e tre dalla pasticceria. Mentre attraversavano plaza de Armas, Rigoberto dovette allontanare i lustrascarpe e i venditori di biglietti della lotteria che gli offrivano i loro servigi. Cominciava a fare piú caldo. Nel cielo sereno si vedeva un sole bianco, e tutto intorno gli alberi, le panchine, l’acciottolato, la gente, i cani, le automobili sembravano ardere.
– Mi dispiace, papà , – sussurrò Fonchito, straziato dal dolore. – So di raccontarti una cosa spiacevole, so che è un momento difficile per te, con la morte del signor Carrera e la scomparsa di Armida. So che ti sto facendo una carognata. Ma mi hai chiesto di raccontarti tutto, di dirti la verità . Non è quello che vuoi, papà ?
– Ho avuto qualche problema economico, come tutti di questi tempi, e non sono stato molto bene, – disse il signor Edilberto Torres, abbacchiato e triste. – Sono uscito poco, ultimamente. Per questo non mi hai visto per settimane, Fonchito.
– È venuto in questa chiesa perché sapeva che io e gli amici con cui leggo la Bibbia saremmo stati qui?
– Sono venuto per meditare, per tranquillizzarmi, per guardare le cose con piú calma e in prospettiva, – spiegò Edilberto Torres, che non sembrava affatto sereno, anzi, tremava come se stesse vivendo una grande angoscia. – Lo faccio di frequente. Conosco metà delle chiese di Lima, forse di piú. Mi fa bene questa atmosfera di raccoglimento, silenzio e preghiera. Mi piacciono persino le beghine e l’odore d’incenso e di vecchio che regna nelle piccole cappelle. Sono un uomo all’antica e ne vado fiero. Anche io prego e leggo la Bibbia, Fonchito, per quanto la cosa possa stupirti. Ecco un’altra prova che non sono il diavolo, come crede tuo padre.
– Non sarà contento quando saprà che l’ho vista, – disse il ragazzino. – Pensa che lei non esista, che sia una mia invenzione. E anche la mia matrigna. Ne sono convinti. Per questo mio padre era entusiasta quando lei ha detto che lo avrebbe potuto aiutare con i suoi guai giudiziari. Voleva vederla, incontrarla. Ma lei è sparito.
– Non è mai troppo tardi, – assicurò il signor Torres. – Mi farebbe molto piacere incontrare Rigoberto e tranquillizzarlo su quello che lo preoccupa di me. Abbiamo la stessa età , credo. A dire il vero io non ho nessun amico, solo conoscenti. Sono sicuro che potremmo andare d’accordo.
– Per me, un seco de chabelo, – ordinò don Rigoberto al cameriere. – È il piatto tipico di Piura, vero?
Doña Lucrecia ordinò una corvina ai ferri con un’insalata mista e Fonchito solo un ceviche. La sala da pranzo dell’hotel Los Portales era quasi deserta e una serie di ventilatori che giravano lentamente mantenevano fresco l’ambiente. Tutti e tre stavano bevendo limonata con molto ghiaccio.
– Voglio crederti, so che non mi menti, che sei un bravo ragazzo, a posto, – assentà don Rigoberto, con un’espressione sdegnata. – Ma quel tizio è diventato un peso nella mia vita e in quella di Lucrecia. A quanto pare non ci libereremo mai di lui, ci perseguiterà fino alla tomba. Che cosa voleva stavolta?
– Parlare di cose profonde, da amici, – spiegò Edilberto Torres. – Dio, l’altra vita, il mondo dello spirito, la trascendenza. Siccome stai leggendo la Bibbia, so che adesso questi argomenti ti interessano, Fonchito. E so anche che sei un po’ deluso dalla lettura dell’Antico Testamento. Che ti aspettavi qualcosa di diverso.
– E come fa a saperlo, signore?
– Me lo ha detto un uccellino, – sorrise Edilberto Torres, anche se nel suo sorriso non c’era traccia di gioia, ma una remota preoccupazione. – Non ti preoccupare, scherzo. Voglio dirti solo che a tutti coloro che cominciano a leggere l’Antico Testamento capita quello che sta capitando a te. Continua, continua, non ti scoraggiare. Vedrai che presto avrai un’impressione diversa.
– Come sapeva che sei deluso dalle letture bibliche? – sbuffò don Rigoberto, nel suo studio. – È vero, Fonchito? Lo sei?
– Non so se sono proprio deluso, – ammise Fonchito, un po’ imbarazzato. – Mi sembra tutto cosà violento. A cominciare da Dio, da Yahweh. Non immaginavo che fosse cosà feroce, che lanciasse tutte quelle maledizioni, che facesse lapidare le donne adultere, che ordinasse di uccidere chi non partecipava ai riti. Che facesse tagliare il prepuzio ai nemici degli ebrei. Non sapevo neppure che cosa fosse il prepuzio fino a quando non ho letto la Bibbia, papà .
– Erano tempi barbari, Fonchito, – lo tranquillizzò Edilberto Torres; faceva pause frequenti, con un’immutata espressione malinconica. – Queste cose accadevano migliaia di anni fa, in tempi di idolatria e cannibalismo. In un mondo dove la tirannia, il fanatismo, regnavano ovunque. In piú, non si deve prendere alla lettera ciò che dice la Bibbia. Gran parte del suo contenuto è simbolico, poetico, esasperato. Quando il temibile Yahweh sarà scomparso e Gesú Cristo farà la sua apparizione, Dio diventerà mansueto, pietoso e compassionevole, vedrai. Ma perché ciò accada, devi arrivare al Nuovo Testamento. Pazienza e perseveranza, Fonchito.
– Mi ha detto di nuovo che ti vuole vedere, papà . Dove vuoi, in qualsiasi momento. Gli piacerebbe se diventaste amici, visto che avete la stessa età .
– Ho già sentito questa solfa l’ultima volta che ti è apparso quello spettro, – ironizzò don Rigoberto. – Non doveva aiutarmi con i problemi legali? E che cosa è successo? È svanito! Andrà cosà anche stavolta. Insomma, non ti capisco figliolo. Ti piacciono o non ti piacciono le letture bibliche alle quali ti dedichi?
– Non so se le stiamo facendo bene, – eluse la domanda il ragazzino. – Perché a volte ci piacciono abbastanza, ma altre volte è complicato, con tutti quei popoli che combattono contro gli ebrei nel deserto. È impossibile ricordare nomi cosà esotici. Quello che ci interessa di piú sono le storie raccontate. Non sembrano roba religiosa, assomigliano di piú alle avventure delle Mille e una notte. L’altro giorno Pecas Sheridan, uno dei miei amici, ha detto che il nostro modo di leggere la Bibbia non va bene, che non ce la godiamo. Che sarebbe meglio avere una guida. Un prete, per esempio. Lei che ne pensa, signore?
– Che è piuttosto buono, – disse don Rigoberto, assaporando un boccone del suo seco de chabelo. – Mi piacciono molto i chifles, come chiamano qui la banana fritta a fettine. Ma temo che siano un po’ indigesti, con questo caldo.
Dopo aver finito i piatti ordinarono un gelato e quando stavano per cominciare il dessert, videro una signora che entrava nel ristorante. In piedi sulla porta, esaminò il salone, in cerca di qualcosa. Non era giovane ma aveva qualcosa di fresco e florido, una traccia di giovinezza nel volto paffuto e allegro, negli occhi sporgenti e nella bocca dalle labbra grandi, molto truccate. Portava con grazia delle ciglia finte svolazzanti, aveva un paio di cerchi alle orecchie che ballonzolavano e indossava un vestito bianco molto attillato, a stampa floreale; i fianchi generosi non le impedivano di muoversi con agilità . Dopo aver passato in rivista i tre o quattro tavoli occupati, puntò con decisione verso quello al quale erano seduti loro tre. – Il signor Rigoberto, giusto? – chiese, sorridente. Strinse la mano a tutti, e si accomodò nella sedia libera.
– Mi chiamo Josefita e sono la segretaria del signor FelÃcito Yanaqué, – si presentò. – Benvenuti nella terra del tondero e del che guá. È la prima volta che venite a Piura?
Non parlava soltanto con la bocca, ma anche con gli occhi espressivi, guizzanti, verdastri, e muoveva le mani in continuazione.
– La prima, ma non l’ultima, – confermò gentilmente don Rigoberto. – Il signor Yanaqué non è potuto venire?
– Ha preferito non farlo, perché, lo saprete, don FelÃcito non può muovere un passo per le strade di Piura senza essere inseguito da uno sciame di giornalisti.
– Giornalisti? – si stupà don Rigoberto, sgranando gli occhi. – E come mai lo inseguono, signora Josefita?
– Sono signorina, – lo corresse lei; poi aggiunse, arrossendo: – Anche se adesso ho un ammiratore, il capitano della polizia.
– Mi perdoni, signorina Josefita, – si scusò Rigoberto con un cenno del capo. – Mi può spiegare perché il signor Yanaqué è perseguitato dai giornalisti?
Josefita smise di sorridere. Li osservava sorpresa e con una certa commiserazione. Fonchito era uscito dalla sua letargia e sembrava attento a ciò che diceva la nuova venuta.
– Non sapete che FelÃcito Yanaqué in questo momento è piú famoso del presidente della Repubblica? – esclamò sbalordita, mostrando una puntina di lingua. – Da giorni si parla di lui alla radio, sui giornali e alla televisione. Ma, purtroppo, per ragioni spiacevoli.
Mentre parlava, Josefita vide i volti di don Rigoberto e di sua moglie cosà sorpresi, che non poté fare a meno di spiegare perché il proprietario della Transportes Narihualá fosse passato dall’anonimato alla popolarità . Quei limeños sembravano proprio caduti dalle nuvole sulla storia del ragnetto e su tutti gli scandali conseguenti.
– È una magnifica idea, Fonchito, – approvò il signor Edilberto Torres. – Per muoversi con disinvoltura nell’oceano della Bibbia, c’è bisogno di un navigatore esperto. Potrebbe essere un religioso come padre O’Donovan, magari. Ma anche un laico, qualcuno che abbia dedicato molti anni allo studio del Vecchio e del Nuovo Testamento. Per esempio io. Non pensare che sia supponente: è la verità , ho passato buona parte della mia vita a studiare il libro sacro. Vedo dai tuoi occhi che non mi credi.
– Adesso il pedofilo si spaccia per teologo ed esperto di studi biblici, – si indignò don Rigoberto. – Non sai che voglia avrei di vederlo in faccia, Fonchito. Da un momento all’altro ti dirà che è un prete pure lui.
– Me lo ha già detto, papà , – lo interruppe Fonchito. – O meglio, che non è piú un prete, ma che lo è stato. Ha dismesso l’abito di seminarista prima di prendere i voti. Non riusciva a sopportare la castità , cosà mi ha detto.
– Non dovrei parlare con te di queste cose, sei ancora troppo giovane, – aggiunse il signor Edilberto Torres, un po’ pallido e con la voce tremante. – Ma è quello che è successo. Mi masturbavo in continuazione, anche due volte al giorno. È una cosa che mi addolora e mi turba. Perché, ti assicuro, mi sentivo chiamato a servire Dio. Da quando ero un bambino, come te. Solo che non sono mai riuscito a sconfiggere quel ma...