Il viaggiatore del secolo
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Il viaggiatore del secolo

  1. 496 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il viaggiatore del secolo

Informazioni su questo libro

Germania, XIX secolo. Nella sperduta cittadina di Wandernburgo approda una notte Hans, giovane traduttore giramondo. Quella che sembra soltanto una tappa nel suo viaggio si trasforma nella piú meravigliosa e seducente delle trappole: l'ingresso in un circolo letterario, l'incontro con un saggio suonatore di organetto, una catena di misteriosi delitti. E soprattutto l'amore irresistibile per Sophie; donna tanto sensuale quanto intelligente. Una passione che farà tremare letti e libri. Tutto lo trattiene in questo luogo bizzarro e senza confini, dove le strade cambiano ogni giorno posizione e da cui nessuno pare essere mai riuscito a ripartire. Guardando a Goethe, Mann, Borges e Calvino, Neuman ha scritto un romanzo ottocentesco con gli occhi di un uomo del ventunesimo secolo. Perché in fondo la storia degli esseri umani è sempre la storia di creature sperdute, straniere a loro stesse, che possono sperare di salvarsi solo se si affidano al cuore degli altri.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806241117
eBook ISBN
9788858431351
Capitolo terzo

La grande manovella

Luce di miele sparsa sulla campagna a riposo. In attesa della mietitura, le spighe dorate pettinavano il meriggio a sud di Wandernburgo. Ogni spiga prendeva una decisione e ormeggiava la brezza, che ondeggiava come un aquilone. Caldo, dolce grano in attesa. Cielo limpido e sgombro. I colori gocciolavano sul campo di grano spargendo cardi viola, papaveri vistosi. Il sole rivoltoso li fondeva. Tra i pioppi scorreva il Nulte, che ora bastava appena per lavare la biancheria, immergere le gambe, e nutrire la vegetazione sulle sponde. Cosí fiammeggiava il pomeriggio traversato dai contadini. Al di sopra di tutto, nitido come una cupola, il sole martellava il paesaggio assemblandone i pezzi.
Steso davanti all’ingresso della grotta, Franz socchiudeva gli occhi e fiutava i cambiamenti del vento. Ascoltava le cicale. Si grattava un’orecchia. Si leccava i baffi pensando a un boccone di carne...
(La carne che il padrone e i suoi amici stavano arrostendo. Arrostendo per lui. La carne. Arrosto. Aveva sete ma non aveva voglia di alzarsi. Di alzarsi per andare a bere al fiume. Non ci sarebbe andato subito. Ci sarebbe andato dopo aver mangiato la carne. La carne. Andare adesso? Faceva caldo. Non tanto come prima. Meno. Gli prudeva un’orecchia. Il padrone aveva gridato. Cosa stava succedendo? Ma il padrone lo aveva guardato. Tutto a posto. Niente di grave. Stavano tutti bene. Il padrone e i suoi amici. Quello che lo accarezzava sempre e quello che non lo accarezzava mai e quello che aveva un odore forte e quello che veniva solo a volte e arrivava a cavallo. Stavano tutti bene. Quanta pace. Non faceva tanto caldo. Meno caldo. Il sole tramontava. Quello che non lo accarezzava mai gli faceva un po’ paura perché non lo accarezzava mai e lo guardava negli occhi come se volesse tirargli una pedata. Ma non gliela tirava. Era amico del padrone. L’orecchia. Scendere al fiume. E la carne? Aspettare. Al padrone non piaceva che lui mangiasse davanti al fuoco. Gli avrebbe dato dopo i pezzi di carne. Prima no. Non gli piaceva. Ancora quella voce? Chi aveva gridato? Era di quello là la voce. Di quello che veniva a volte. Di quello che arrivava a cavallo).
... Álvaro scoppiò in una delle sue potenti risate. In un certo modo lo divertivano le opinioni del suonatore di organetto. Non aveva ancora capito bene perché il suo amico Hans fosse tanto affascinato da quel vecchio che viveva in silenzio quasi tutto il tempo e che tendeva a confondere l’austerità con il lavarsi molto poco. Anche se ora che cominciava a conoscerlo meglio, doveva riconoscere che quando apriva bocca, quella bocca dalla barba bisunta e i denti alterni, sapeva usare le parole. Dava l’impressione di essere mezzo addormentato, come assente, finché d’un tratto infilava un’osservazione che dimostrava, a parte un candore tipicamente wandernburghese, un’intensa attenzione e una memoria stupefacente. Forse la cosa che colpiva di piú del suonatore, era quell’aria di chi è completamente in pace con il passato, come se fosse già stato felice e non si aspettasse altro dal tempo. Tutto il contrario di Hans, vittima di un’irrequietezza perpetua, come fosse sempre in attesa di una notizia che non finiva mai di arrivare. Rare volte il vecchio suonatore diceva qualcosa che Álvaro si aspettasse, e le sue frasi, immancabilmente, strappavano ad Hans una risata intenerita. Per un istante, ad Álvaro passò per la testa che, in un certo senso, provava una punta di gelosia nei confronti del vecchio. Ma non appena quell’idea lo sfiorò, come una freccia che cade sul palmo della mano, la scagliò lontano perché assurda. Geloso lui! Di quel pover’uomo. E oltretutto a causa di Hans! Non aveva esagerato con il vino?
Inoltre, diceva Hans, avevano appena inaugurato un’altra linea a Saint-Étienne. Dove?, cosa?, grugní Reichardt. In Francia, disse Hans, sulla costa, piú o meno tra Marsiglia e Nizza, è un bel posto, sei stato in Francia? Né in Francia, rispose Reichardt, né a casa di tua zia obesa. Vicino a Nizza?, si intromise Lamberg, a me piacerebbe andarci, per vedere il mare. Ma per vedere quel maledetto mare non c’è bisogno di andare fino in Francia, bimbo!, disse Reichardt, mica hanno inventato anche il mare, i francesi. Non lo hanno inventato, sorrise Hans, ma lo chiamano mer, che suona molto meglio di Meer, e non dire di no. Suona pari pari!, protestò Reichardt. Non fare lo snob, dai, disse Álvaro, il suono è molto simile. No, no, insisté Hans, dillo, ascoltati, ma stai tranquillo, nemmeno mar è malaccio. Per me nel mare francese ci possono pisciare dentro tutti i francesi!, grugní Reichardt, e poi pisciarlo in bocca alla loro mère! Gli altri quattro risero e Reichardt, soddisfatto della trovata, si avvicinò al suonatore per controllare la carne. Be’, disse Lamberg assorto, importa poco come suona, la parola è la stessa, no?, vuol dire la stessa cosa, si riferisce alla stessa cosa. Ma se suona in modo diverso, disse Hans, non dice già piú la stessa cosa, vero, suonatore? Snob, un vero snob! ripeté Álvaro dandogli una pacca sulla schiena. E poi, riprese Hans, le parole si riferiscono a cose, ma le producono anche, perciò tutte le lingue non solo hanno un proprio suono, ma anche le proprie cose. Questo, concesse Álvaro, in effetti è vero. Be’, però, e il treno?, si spazientí Lamberg. Ah, esclamò Hans tornando al punto, la linea di Saint-Étienne. Chi ha viaggiato in treno?, domandò Lamberg. Álvaro e Hans furono gli unici due ad alzare la mano. E tu, per andare dove?, chiese ad Álvaro indicandolo. In Inghilterra, rispose Álvaro, là di treni ce ne sono parecchi, Darlington, Liverpool, Stockton, Manchester. E com’è?, chiese Lamberg sognante. Come montare a cavallo! intervenne Reichardt dal fuoco, ma con il culo meno schiacciato! Non so, disse Álvaro, rumoroso. Ed è divertente?, insisté Lamberg. Penso di sí, rispose Álvaro, io ho viaggiato per affari. Lamberg, disse Hans, sai qual è la cosa piú divertente del viaggiare in treno? Non i posti in cui vai ma le persone che conosci, ce ne stanno dentro tante, è, prova a immaginarti, come cento diligenze agganciate una dietro l’altra, e in ciascuna viaggia gente diversa (ricchi! ci viaggiano i ricchi!, disse Reichardt), e siccome vanno lontano ci sono passeggeri che arrivano dai luoghi piú diversi, e per me questa è la cosa piú divertente del viaggiare in treno, è come stare in vari paesi allo stesso tempo, capisci? come se i paesi si spostassero.
Ma in Spagna, dammi retta, disse Álvaro masticando una coscia di pollo, prima che da noi arrivi la ferrovia, dovremo aspettare che inventino qualcos’altro, non so, navigare sulle ruote, volare a pedali!, ci piace un mondo usare sempre la penultima invenzione! E i battelli?, chiese Lamberg, qualcuno è salito a bordo di un battello a vapore? E le scoregge? disse Reichardt, nessuno di voi è mai tornato casa a forza di scoregge? senti un po’, ma tu perché vuoi sapere se poi resterai qui, come tutti? Tu come fai a saperlo, rispose Lamberg. Lo so io e lo sai anche tu, continuò Reichardt. I battelli a vapore, amico mio, raccontò Hans, sono una meraviglia, come, non so, andare per terra e per mare allo stesso tempo, sembra che procedi su un treno che galleggia sull’acqua, e sull’acqua che lasci dietro di te restano due solchi che sembrano strade e invece spariscono subito e l’acqua torna liscia e tu la guardi e ti chiedi: da dove saremo venuti?, e quando sali in coperta, Lamberg, ti sembra di volare, ti spettini, gli abiti si gonfiano, magari tu potessi salirci (ah ah!, ruttò Reichardt, e come no!) perché no? se risparmi un po’ di soldi potresti fare un viaggio (lo credi davvero?, disse dubbioso Lamberg), c’è un Berlino-Charlottenburg che non è molto caro, un altro a Potsdam che nemmeno è lontano, ce ne sono lungo tutto il Reno e il Danubio e l’Elba. In effetti io progettavo di raggiungere Dessau in battello, sai? ma poi ho cambiato idea all’ultimo momento e, va bene, sono ancora qua. E ci resterai, disse Reichardt, da qui non se ne va nessuno nemmeno in scoregge a vapore, eh, vecchio? Non lo so, rispose il suonatore mentre dava a Franz gli ultimi tocchi di pollo, oggi il mondo va molto di corsa. Prima nessuno pensava di potersi allontanare da un posto piú di sei o sette leghe al giorno. Forse per questo adesso i giovani non amano tanto i posti, è troppo facile lasciarli. Vogliono vedere il mondo. Logico. Insomma, Reichardt, non è che tu e io non possiamo andarcene, vero?, è che non vogliamo. Stiamo bene qui, siamo stati fortunati.
La notte stringeva la pineta, Franz giocava con le bottiglie vuote facendole rotolare con il muso: i riflessi della luna ci si agitavano dentro come una nave in miniatura. Il falò si era abbassato ma loro non ci facevano caso, il vino cattivo gli bruciava lo stomaco. A parte il cane, ognuno era sbronzo a suo modo. Álvaro era appena scoppiato a piangere senza preavviso. Hans si spaventò e gattonò fin da lui. Álvaro, che di solito non si lasciava abbracciare, che aveva sempre quell’aria convinta che gli uomini gli invidiavano tanto, affondò la fronte in una delle spalle di Hans. Mescolando un tedesco ingarbugliato a frasi di spagnolo impastato, Álvaro parlò di Ulrike, dei viaggi in treno che avevano fatto insieme, dell’umidità di Wandernburgo che l’aveva uccisa, dell’inverno tedesco che era terribile, del fatto che in Andalusia il clima era molto migliore e l’inverno secco di Granada l’avrebbe guarita, che tutte le notti prima di dormire sentiva la sua flebile voce, che il lutto non finiva mai, mai, mai.
Álvaro rimase inerte. Si sforzò di sorridere. Si sistemò i capelli e gli abiti e si alzò in piedi come se niente fosse. Signori, disse, perdonatemi, credo sia ora. Lamberg gli chiese se poteva dargli uno strappo fino alla fabbrica, che era di strada. Álvaro gli rispose di sí e sellò il proprio cavallo. Gli zoccoli si dileguarono nella notte.
Wandernburgo era la stessa? O non solo continuava a spostarsi di nascosto, ma cambiava anche d’aspetto? Aveva una fisionomia definita o era piuttosto un luogo assente, una specie di mappa in bianco? Quelle vie luminose, aperte e animate potevano essere le stesse che fino a un paio di mesi prima erano mute, gelide, cupe? Mentre scendeva per via del Vecchio Paiolo, Hans osservò meravigliato i giardini con bambini scalzi, le finestre fiorite, i musicisti di strada, gli acquaioli sudati che gridavano la loro acqua fresca, i tavolini all’aperto dove i boccali sembravano sul punto di rovesciare la luce dagli orli. A uno dei tavoli, a bere limonata con ghiaccio, c’era Lisa Zeit, che riconoscendo Hans si inumidí le labbra, sedette ben eretta e lo salutò alzando una spalla, gesto che lui trovò esagerato ma commovente. O almeno lo pensò, e si disse che doveva pensarlo. Seduto scomposto davanti a Lisa, Thomas divorava un sorbetto alla frutta senza neanche prendere fiato. Hans li salutò agitando la mano e riprese la propria strada. Attraversò la piazza del mercato sotto un sole rettangolare, s’aprí un varco tra la frenetica folla che si accalcava intorno alla fontana barocca per riempire le proprie brocche, fece un occhiolino complice al suonatore di organetto e svoltò per via del Cervo. Oggi, si stupí Hans guardandosi intorno, sembra che le strade siano dove me le ricordavo.
Da un paio di venerdí le riunioni del Salotto si erano trasferite nel cortile di Casa Gottlieb, dove all’ombra mormorava una fontanella. I frequentatori del salotto prendevano posto sulle sedie da giardino intorno a un tavolo su cui erano pressate le vivande, frutta rilucente e bevande ghiacciate. Benché tutti avessero lodato il trasloco in cortile, Elsa e Bertold non sembravano contenti del cambiamento e salivano e scendevano di continuo le scale del palazzo, portando avanti e indietro vassoi, tazze, caraffe, posate. Come d’abitudine, Elsa nascondeva la sua contrarietà dietro un’espressione seria che gli invitati elogiavano, prendendola per una diligente concentrazione. Bertold optava per una doppia facciata, come le due metà del suo labbro spaccato dalla cicatrice. Nello spazio del cortile la sua bocca si apriva in un ampio sorriso e i suoi occhi si socchiudevano amabilmente; non appena attraversava l’arco che collegava cortile e loggia, la sua espressione si deformava e prendeva a borbottare commenti ironici e a imitare il tono dei padroni e degli invitati. Di tutti, salvo Rudi Wilderhaus, che osava prendere in giro solo nel chiuso della propria camera.
Quel venerdí i signori Levin avevano disertato il ritrovo a causa di un impegno familiare. E, come capita sempre, gli assenti erano stati il primo argomento di discussione. Benché Sophie facesse cordiali sforzi per sviare la conversazione, la signora Pietzine e il professor Mietter avevano stretto un’insolita alleanza e, ciascuno a suo modo, rifiutavano di accantonare l’argomento. Ma non vi sembra che lei ne patisca? insisteva la signora Pietzine agitando piú forte il ventaglio, lui non è troppo freddo, distaccato come marito? (cara amica, smorzò i toni Sophie, fermando il suo, di coppie ce ne sono di molti tipi, in fondo loro), sí, sí, va bene, non dico di no, ovviamente sono fatti loro!, ma un buon marito, bambina mia, e questo lo sa bene il nostro esimio e premuroso Herr Wilderhaus!, deve mostrare il proprio affetto a sua moglie, deve badare a lei, farla sentire (protetta?, sorrise Sophie sfiorandosi le labbra con il ventaglio), esattamente!, mi togli le parole di bocca, cara! Hans tossicchiò beffardamente e guardò di sottecchi Sophie. Rudi guardò di sottecchi entrambi, tossicchiò molto piú forte e Hans e Sophie distolsero immediatamente lo sguardo. Ma il signor Levin, intervenne Álvaro, mi sembra un uomo pieno di rispetto, e non negherete che è un buon conversatore. In un certo qual modo, sí, ammise il professor Mietter succhiando un chicco d’uva, il signor Levin sa ascoltare ed esprime le proprie idee in modo, per cosí dire, abbastanza originale. È rappresentante di commercio e appassionato di matematica, a quanto mi dicono, be’, questo è un merito. Purtroppo non ha una cultura accademica, anche se è un lettore autodidatta e senza dubbio volonteroso. Ammettiamo che si tratta di un uomo interessante, al di là del suo ebraismo. Professore, disse Sophie chiudendo il ventaglio, a volte il suo senso dell’umorismo ci mette a disagio. Alla signora Pietzine sfuggí una risata nervosa. Un altro po’ di gelatina, se è cosí gentile, Fräulein, disse il professor Mietter spingendo il piatto con due dita.
Per cambiare argomento, o per concedere a Rudi il suo momento da protagonista, il signor Gottlieb chiese a voce alta al futuro genero notizie circa la situazione dei terreni di famiglia. Intuendo le intenzioni del signor Gottlieb, Rudi improntò la faccia a un’espressione di perfetta timidezza, come se odiasse parlarne. Scosse le mani, minimizzando l’importanza dei propri affari e scacciando involontariamente due mosche. Menzionò campi coltivati, prati e boschi, bestiame, zuccherifici, birrerie, distillerie e manifatture. In corso d’inventario disse che i contadini non avevano piú il senso del lavoro. Ogni giorno che passa, disse, si comportano sempre piú da mercenari, come se fossero lí ma potessero essere da qualsiasi altra parte. Herr Wilderhaus, intervenne Hans, e non potrebbero essere da qualsiasi altra parte? Per loro disgrazia, disse Rudi stringendosi nelle spalle, penso di sí, credetemi se vi dico che le antiche corporazioni funzionavano molto meglio, forse erano piú restrittive ma offrivano una casa ai braccianti a giornata, che invece adesso si riempiono la bocca con i loro diritti, vanno a zonzo e finiscono per perdersi nelle grandi città senza protezione alcuna. Non si preoccupi troppo per loro, ironizzò Álvaro, credo si accontenterebbero che qualcuno li pagasse decentemente. La decenza, rispose Rudi, non si misura in giorni di lavoro. Fino a qualche anno fa i contadini sapevano a cosa attenersi e che potevano contare sui loro signori. E questo, signor Urquiho, non ha prezzo. Non sei d’accordo, mia cara? Penso, disse Sophie mordendosi un labbro, che la mia opinione al riguardo abbia ben poca importanza, non mi intendo di affari. Vero, Vero!, sorrise sollevato il signor Gottlieb.
Non appena il grano si colorò d’un giallo urgente, giallo incendiato; prima che diventas...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il viaggiatore del secolo
  4. I. Qui la luce è vecchia
  5. II. Quasi un cuore
  6. III. La grande manovella
  7. IV. Accordo oscuro
  8. V. Il vento è utile
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright