I poeti sono maschi
La polvere si solleva in una colonna di fumo, dietro la corriera regionale diretta a Reykjavík, la strada è una striscia tormentata che si snoda e procede curva dopo curva. Ben presto non riesco piú a vedere fuori, per i finestrini inzaccherati, e non passa molto che gli scenari della Laxdæla saga svaniscono nel torbido.
Il cambio raschia ogni volta che il conducente affronta i saliscendi, mi viene il sospetto che la corriera sia senza freni, una gran venatura che attraversa il parabrezza in diagonale non sembra peraltro disturbare l’uomo alla guida. Non sono molte le auto in viaggio, le rare volte che incrociamo una macchina il conducente si attacca al clacson. Per dare spazio alla livellatrice, la corriera deve spostarsi all’esterno, e lí il ciglio ghiaioso fa traballare tutto. Il fatto che le strade di Dalir debbano essere livellate è una novità e questo dà modo agli autisti di abbassare i finestrini, sporgersi fuori e intavolare discussioni che si protraggono per un bel po’.
– Posso ringraziare se non mi parte un semiasse, – sento dire dal conducente.
In questo momento non mi trovo a breve distanza dal villaggio di Búðardalur ma a Dublino, infatti il mio dito sta tenendo il segno a pagina ventitre dell’Ulisse. Avevo avuto notizia di un romanzo, spesso quanto la Njáls saga, che si poteva comprare nella libreria inglese sulla Hafnarstræti e poi farselo inviare all’Ovest.
– Is it French you are talking, sir? – the old woman said to Haines.
Haines spoke to her again a longer speech, confidently.
– Irish, Buck Mulligan said. Is there Gaelic on you?
– I thought it was Irish, she said, by the sound of it.
La lettura procede lenta, per via dello scrollio della corriera e anche perché io conosco poco l’inglese. Sebbene tenga il dizionario aperto sul sedile libero accanto a me, la lingua è piú difficile di quanto mi aspettassi.
Do un’occhiata fuori dal finestrino. In quella fattoria non ci abitava una scrittrice? Non era precisamente nelle sue vene che scorreva rumoroso quel fiume grigio cupo, impetuoso, pieno di sabbia e fango? La gente diceva che questa cosa aveva un impatto negativo sulle vacche, perché quando lei si metteva a tavolino a scrivere degli amori e dei tragici destini dei suoi compaesani, occupata a trasformare i colori degli ovini in un tramonto sul Breiðafjörður, si scordava di mungere. Non esisteva peccato piú grave che dimenticarsi di svuotare delle mammelle rigonfie. Quando andava in visita in una fattoria vicina rimaneva troppo a lungo, pretendeva di declamare poesie oppure taceva per ore intere e tuffava zollette di zucchero nel caffè. Si diceva che sentisse un’orchestra di archi, quando scriveva, e anche che svegliasse i figli e, tenendoli in braccio, li portasse fuori sull’aia per mostrar loro il mutevole oceano delle aurore boreali ondeggiare nella corrente del cielo nero. Altre volte invece andava a rinchiudersi nella camera matrimoniale e si tirava la coperta fin sopra la testa. Aveva una tale malinconia dentro, che in una luminosa sera di primavera era scomparsa nella profondità grigio argento del fiume. La prospettiva di mangiare le uova appena deposte dall’alcione non le era stata sufficiente, perché aveva smesso di dormire. Era stata ritrovata in una rete per le trote vicino al ponte, la poetessa dalle ali spezzate veniva trascinata in secco con la gonna inzuppata, le calze smagliate, la pancia piena d’acqua.
– Ha rovinato la rete, – aveva detto il contadino cui apparteneva il bilancino. – L’ho messa lí per le trote, le maglie non erano fatte per una poetessa.
Il suo destino mi era servito di lezione e allo stesso tempo lei era stata il mio unico modello di scrittrice donna.
Per il resto i poeti erano maschi.
Dal che avevo imparato a non svelare a nessuno le mie intenzioni.
Radio Reykjavík
Di fronte a me sulla corriera siede una donna con una bambina che deve vomitare un’altra volta. La corriera scarta bruscamente sulla ghiaia instabile e si arresta. Il conducente schiaccia un pulsante, le porte si aprono all’aria dell’autunno con uno sbuffo simile allo sfiato di vapore di un ferro da stiro e la donna, nel suo cappotto di lana, aiuta avvilita la bambina a scendere la scaletta. È la terza volta che deve portar fuori la piccola per il mal d’auto. Lungo le strade sono stati scavati dei fossi, perché i contadini stanno bonificando i terreni e prosciugando l’habitat dei trampolieri, recinzioni di filo spinato spuntano qua e là dalla terra, ma è difficile dire quali appezzamenti andranno a demarcare.
Presto sarò troppo lontana da casa per riconoscere i nomi delle fattorie.
Sulla scaletta la donna infila il berretto di lana alla bambina e glielo cala fin sulle orecchie, la osservo tenerle la fronte mentre alla piccola cola giú un sottile filo di vomito. Alla fine si fruga nella tasca del cappotto, tira fuori un fazzoletto e pulisce la bocca alla bambina, prima di risalire sulla corriera ingolfata dal fumo.
Io tiro fuori il mio taccuino, tolgo il cappuccio alla penna e ci scrivo due frasi. Poi rimetto il cappuccio alla penna e apro un’altra volta l’Ulisse.
Il conducente batte la pipa sulla scaletta, accende la radio e gli uomini prendono posto piú avanti, le larghe spalle e i cappelli si pigiano le une contro gli altri per ascoltare. Stanno per cominciare le previsioni del tempo e gli annunci. Il conducente alza il volume dell’apparecchio nel tentativo di sovrastare il fracasso del motore, si sente Radio Reykjavík, buongiorno, poi un gracchiare, con lui che armeggia sull’apparecchio per trovare la lunghezza d’onda giusta. La ricezione è pessima, ma riesco a sentire cercasi mozzo per un imbarco. Pronto a levare gli ormeggi. Segue un ronzio, poi l’annunciatore non si sente piú. Gli uomini si riportano verso la parte posteriore del mezzo e si accendono le sigarette.
Giro la pagina. Il protagonista, Stephen Dedalus, sta bevendo un tè quando il conducente della corriera sorpassa un trattore Ferguson, che ci aveva superato mentre la bambina vomitava. Stephen filled a third cup, a spoonful of tea colouring faintly the thick rich milk.
Quante pagine occorrerebbero per superare un trattore, se uno dei passeggeri della corriera regionale per Reykjavík fosse James Joyce?
Balene madri
L’ultima sosta è alla stazione di servizio nel Hvalfjörður, il fiordo delle balene, dove un’imbarcazione sta rientrando con due capodogli. Sono legati ciascuno a un fianco della barca, entrambi piú lunghi della barca stessa, la schiuma del mare scorre sulle carcasse nere. La barca oscilla sulle onde, al confronto con i giganteschi animali assomiglia a un giocattolino da bambini che galleggia nella vasca del bagnetto.
Il conducente è il primo a sgusciare fuori dal mezzo, i passeggeri defluiscono dopo di lui. Il tanfo che proviene dai pentoloni di bollitura è devastante e i passeggeri si affrettano verso l’interno. La cucina offre zuppa di asparagi, cotolette impanate con patate bollite e conserva di rabarbaro, ma io ancora non ho un lavoro e devo risparmiare sulle spese, cosí prendo una tazza di caffè e una fetta di torta margherita. Ritornando sulla corriera, raccolgo un paio di manciate di mirtilli.
Alla stazione del Hvalfjörður si aggiunge al gruppo dei passeggeri un signore anziano in soprabito, sale sul mezzo per ultimo, si guarda intorno, gli cade l’occhio su di me e chiede se il sedile accanto al mio è libero, io sposto il dizionario e lui, sedendosi, alza leggermente la tesa del cappello. Quando la corriera esce dal parcheggio, si accende un sigaro.
– A questo punto manca solo il dolce, – dice. – Per la miseria, non sarebbe male avere una scatola di cioccolatini Anthon Berg.
È passato nel Hvalfjörður, dice, per far visita a un suo conoscente che possiede le maledette balene di tutti i sette mari e si è fermato a mangiare le cotolette insieme a lui.
– Hanno ridotto in tranci cinquecento balene, quest’estate. Non è un caso che gli islandesi chiamino puzza di merda la puzza dei soldi.
Poi si volta verso di me.
– Posso chiederle il nome, signorina…?
– Hekla.
– E certo, che altro? Hekla s’erge vivida e nitida contro la volta celeste…
Esamina il libro che tengo in mano.
– E legge libri stranieri?
– Sí.
Hanno issato uno dei due capodogli sulla piattaforma che ha gli scoli sagomati per la lavorazione, giace...