Una giornata iniziata con la rapina alla Cassa di Risparmio, succursale Bolognina…
Bolognina, quartiere a nord della stazione ferroviaria. Diventerà nota, tristemente secondo alcuni, come luogo dove Occhetto comunicò la famosa svolta che portò alla morte del Pci e alla conseguente nascita del Partito Democratico della Sinistra.
Come se bastasse un Occhetto per far morire il comunismo e far nascere un partito democratico.
In tutto questo la Bolognina non c’entra nulla. Lei ha subito.
Una giornata iniziata con la rapina alla Cassa di Risparmio, succursale Bolognina, non si presenta niente bene.
Alle otto e venti, orario d’apertura.
Banditi abituati ad alzarsi presto.
Alle otto e trenta l’elicottero della polizia è già in zona a volteggiare inutilmente. A bassa quota sopra la Bolognina. Dei banditi si è perso anche l’odore.
Nel caos del traffico del mattino, la corsa dell’auto 28, con Felice Cantoni, agente, al volante, ha tolto un altro paio d’anni alla vita del mio questurino Sarti Antonio, sergente. Anche se l’auto 28 è un sogno di perfezione meccanica e Felice Cantoni un buon manico che se la cava piuttosto bene fra biciclette, motorini, auto, autobus che, posso assicurare, a quell’ora del mattino sono un muro.
Ma non è finita: da un po’ di tempo in qua, Bologna non ha niente da invidiare alla Chicago degli anni che ruggivano.
Sarti Antonio e Felice Cantoni sono ancora dinanzi alla succursale della Cassa di Risparmio a tentare di capire qualcosa della rapina e dalla Centrale arriva un’altra richiesta d’intervento con procedura d’urgenza.
– Auto 28, auto 28, recarsi immediatamente ai Giardini Margherita, dove una ragazza è stata picchiata da alcuni teppisti. Auto 28, auto 28…
– Capito, Centrale, capito, ci rechiamo immediatamente. E qui chi ci pensa?
La voce acida di Raimondi Cesare, ispettore capo, si sostituisce a quella dell’operatore: – Se permetti sono problemi miei, Sarti Antonio. Lascia che ci pensi io, èverocomesidice. Il tuo compito è…
– Agli ordini, dottor Raimondi.
Altra corsa dell’auto 28 e altri due anni di vita lasciati sulle strade di Bologna. Senza risultati pratici: i teppisti non hanno atteso i poliziotti. La ragazza sÃ, lei ha atteso e Sarti Antonio, sergente, la trova seminuda, consolata dai vecchietti e dalle mamme che portano i piccoli a pascolare ai Giardini Margherita. Un nonno ha addirittura coperto, con la sua giacchetta di pensionato, le spalle graffiate della ragazza. Come vedete, nonostante tutto, nei bolognesi resta un senso di civica umanità e la giacchetta che il pensionato si è tolto per coprire la disgraziata ne è un segno.
Il tempo di prendere nota della descrizione dei teppisti e di nuovo la voce sgradevole della Centrale:
– Auto 28, auto 28… – e via verso una nuova avventura.
Una gioielleria in via Andrea Costa, nei pressi dello stadio e sui viali, l’auto di Felice Cantoni la fa da padrona.
– In quanti erano, com’erano vestiti, che accento avevano, da che parte e su che auto sono scappati…
– Non sono scappati su un’auto, erano a piedi.
– Allora non sono lontani, Felice! Cerchiamo nelle strade qua attorno!
Cercano, ma nessun risultato: i delinquenti si sono confusi fra la gente perbene. Ce n’è ancora, nonostante tutto.
Solo dopo aver perduto la speranza di recuperare i gioielli, Sarti Antonio, sergente, si concede un caffè, il primo decente di un’indecente giornata di pattuglia per le strade di Bologna a rincorrere delinquenti che fanno perdere le loro tracce.
Ordinare un caffè e non poterlo bere fa incazzare ancora di piú. Altra segnalazione via radio e altra corsa sulla 28 per raggiungere una signora che giura di aver chiuso in casa i ladri.
– Signor poliziotto, sono rientrata dalla spesa e ho trovato la porta accostata. Sono sicura di averla chiusa uscendo. Ho sentito dei rumori e ho chiuso di nuovo a chiave senza entrare. Ho telefonato subito al centotredici… Ho fatto bene?
– Ha fatto benissimo. Cosà i ladri sono dentro?
Gli inquilini, radunati sul pianerottolo, sono concordi: dall’appartamento non è uscito nessuno e la finestra è al quarto piano.
– Le chiavi, signora –. Gliele consegna e lui le infila nella toppa.
– Ma che fa? Entra senza la pistola?
Sarti Antonio si riprende le chiavi dalla toppa e spiega: – La pistola è nel cassetto del comodino, in camera mia, – e ha ragione: affrontare i ladri con la pistola in pugno significa farsi sparare in bocca. Certi disperati non vanno per il sottile. E rimette la chiave nella toppa.
Non c’è bisogno di pistola: dei ladri non c’è ombra e il casino che la signora ha sentito rientrando dalla spesa lo ha provocato il gatto per conquistarsi un paio di bistecche posate a scongelare sul frigo.
– La prossima volta, signora, uscendo di casa ricordi di rimettere le bistecche nel frigo. O tenga il gatto al guinzaglio.
– Mò sé, adès a métt al guinzâi al gât! Guardi che non sono micca ancora rimbambita!
– No?
Avanti cosà fino a sera e Sarti Antonio ci arriva, a sera, ridotto a uno straccio. Non Felice Cantoni, agente, che quando corre sulla 28 è a nozze. Ognuno ha i gusti che ha.
Dunque, a sera, Sarti Antonio trascina i piedi verso casa e nei pressi dell’arco del torresotto di via Piella, l’antica porta della Cerchia del Mille, incrocia Settepaltò e la sua bici carica come un vagone ferroviario. È incredibile quante cose Settepaltò riesca a metterci sopra.
– Antonio, Antonio, senti!
Far finta di essere diventato improvvisamente sordo? Non si può, non si può anche se Sarti Antonio non vede l’ora di salire in casa, prepararsi un buon caffè e goderlo intensamente, seduto in poltrona e dinanzi al televisore acceso e senza audio. Non ha cuore di deludere il buon vecchio.
– Antonio, Antonio, ce l’ho! Ne ho trovato uno della tua misura! – e già Settepaltò smonta i cartoni appesi alla bici. Lui, il mio questurino, sa cosa sta cercando, per cui:
– Lascia perdere. Ti ringrazio per il pensiero, ma non lo voglio, sono stanco e…
– No, no. Lo devi mettere e subito, Antonio. Guarda che questa sera le radiazioni sono molto piú forti del solito, – e il buon vecchio continua a frugare. – Sono sicuro… è da qualche parte, – e per cercare meglio, comincia a scaricare la merce.
– Ci mancava anche questa, – borbotta il mio questurino.
Pacchi di vecchie riviste, scatole vuote di detersivi e biscotti, rotoli di carta igienica, vecchi barattoli di creme di bellezza usate in gioventú da chissà quale nonna e con scarsi risultati, collezioni di «Topolino» anni Trenta (una rarità ) e una quantità di altri vecchi oggetti finiscono a ingombrare lo stretto porticato di via Piella, costringendo i passanti a uscire sulla strada.
– Hai svaligiato un magazzino?
Settepaltò sorride. Settepaltò sorride sempre, ha stampato sul viso il timido sorriso dei semplici.
– No, no, mi ha chiamato una signora… Una villa, Antonio, una villa! Dovresti vederla: piscina, campo da tennix… – Continua a dire tennix, anche se Sarti Antonio lo ha sempre corretto. Per lui si gioca a tennix. – Ci sono persino le due torri. La signora mi ha chiesto di sgomberare la soffitta e ho dovuto fare quattro viaggi, – e finalmente trova. – Ecco, lo sapevo!
Da un deformato contenitore di Dash, quello che se lo restituisci te ne dà nno due di un’altra marca e non so perché gli interpellati rifiutino sempre, estrae trionfante un elmetto.
Non m’intendo di guerre e cose militari, ma a lume di naso e dai simboli stampigliati sopra, può essere un elmetto tedesco dell’ultima guerra. Ultima per il momento.
Anzi, a guardarlo meglio direi dell’SS.
– Provalo, Antonio, provalo. Se ti va bene, è tuo. Nuovo, – e mostra l’interno perfettamente conservato, con le regolamentari strisce di cuoio antiurto.
Prima che possa impedirlo, Sarti Antonio si trova l’elmetto piantato in testa e Settepaltò che, allontanatosi di due passi, ne gode l’effetto.
– Della tua misura, Antonio. È meglio del mio, è di prima della guerra e con quello in testa, le radiazioni…
Una signora che porta a spasso il cagnolino per la pipà della sera guarda Sarti Antonio, guarda il casino che il vecchio ha combinato sotto il portico, mormora qualcosa a Fuffi e lo trascina via prima che bagni i cartoni. Già li annusava e sembravano di suo gusto.
Il questurino si sente ridicolo, e lo è, ma per non deludere Settepaltò, non si toglie l’elmo da guerriero della Seconda guerra mondiale. Si limita a borbottare:
– Non mi pare il caso…
– Non ti piace? – e il sorriso si fa triste. – Guarda che è meglio di quelli di plastica che si usano oggi.
– Ci credo, ma il mio capo non vuole che io vada in giro…
– Ne troverò uno anche per lui. Che misura porta?
Sarti Antonio, che è un buono, dice: – Piú o meno come me.
– Ha una bella testa, eh, Antonio?
Il questurino saluta con un cenno e lascia il vecchio. Fuori dalla sua vista, si toglierà l’elmo tedesco.
Prima di svoltare controlla: il buon vecchio sta ricaricando la mercanzia sulla bici. Ci metterà un paio d’ore. Si poteva deluderlo?
Accanto al primo contenitore di rifiuti che la civica amministrazione ha messo a disposizione dei cittadini, fra l’altro facendo pagare una bella quota, Sarti Antonio si toglie l’elmetto e apre il cassonetto per gettarlo dentro. Lo trattiene il rimorso. Magari Settepaltò, passando accanto al cassonetto, ci fruga dentro e lo ritrova.
Riprende la via di casa, l’elmo sotto il braccio.
Con discrezione sale le scale del condominio e con discrezione apre la porta dell’appartamento. La scommessa di ogni sera: entrare in casa senza che la Grassona della porta accanto si accorga del suo ritorno.
La Grassona sta tutto il giorno alla porta, orecchie tese, e appena il questurino infila le chiavi nella serratura, ecco che la porta della Grassona si socchiude e la Grassona gli sorride, con il sorriso stupido delle grassone vicine di casa.
Sarti A...