Una donna inspira ed espira. Lo senti? Biforca gli auricolari dello stetoscopio e li infila nelle orecchie dell’altra donna. Lo senti il battito del cuore? SÃ, sÃ, lo sento. E la donna anziana chiede: – Quanti anni ho? – E la figlia risponde: – Novantaquattro.
La narratrice prende la sua posizione nel cielo notturno e guarda giú la città , tutte le città . Sta succedendo qualcosa. Sta per succedere qualcosa. Che ora è? È l’ora in cui voi siete là che leggete, signora, ed è l’ora che è nella storia, e ovviamente non sono la stessa ora.
Sta succedendo qualcosa nella notte del libro. Sta succedendo adesso. Oh, lei disse a sua sorella, ricordi le stelle giú a casa? A New York le medesime stelle spariscono nella foschia bruciante della luce urbana, nascoste dall’arroganza della città .
Sotto, molto piú sotto, due minuscole figure, due donne che non possono vedere le stelle. Stanno attraversando la Centonovesima Strada per prendere Riverside Drive e vanno verso sud. Attraversano la strada in quello che è il nostro passato ma è il loro presente e, mentre camminano, opto per il verbo al presente, perché tu e io siamo con loro adesso. È il 17 maggio 1979, giorno della festa nazionale norvegese, che a differenza di tante altre feste nazionali, dice la giovane alta conosciuta col nome di Minnesota alla sua compagna (la quale è assai piú piccola di statura e si chiama Lucy), non celebra un’esaltazione rivoluzionaria, fortezze assaltate e sangue versato e centinaia di cadaveri di martiri ammucchiati nelle strade, bensà il giorno del 1814 in cui i norvegesi adottarono la loro costituzione. Novantun anni dopo, decisero con pacifiche elezioni l’indipendenza dagli svedesi. Lucy sa poco o nulla sia dei norvegesi che degli svedesi, annuisce e intanto continuano ad andare verso la casa di Patricia Thistlethwaite e della sua cara amica Moth, nata Deidre Wood in qualche remoto paese dell’ovest, Lucy non ricorda esattamente dove, in quale Stato, solo che la piccola Deidre aveva avuto la poliomielite e aveva passato parecchio tempo nel polmone d’acciaio molti anni prima di riuscire a «dare un nome all’ombra» e diventare Moth.
Mentre cammina con Lucy, Minnesota ricorda la coda nella palestra di scuola per ricevere la zolletta di zucchero imbevuta di un liquido rosa che le si scioglieva in bocca cosà non le sarebbe mai venuta la polio e non avrebbe dovuto portare i tutori alle gambe come Laura Larsen, che lavorava nella Biblioteca pubblica costruita da Andrew Carnegie per mostrare la sua grande magnanimità verso le masse di immigrati che, cacciando i Lakota, avevano impiantato le loro fattorie, e a volte erano morti di fame o erano impazziti, laggiú in quella terra. SÃ, ed era passato del tempo prima che i discendenti di quegli immigrati gironzolassero a piacimento dentro e fuori dalle biblioteche delle piccole città di tutto il paese.
Le stelle sono annebbiate e la città schiocca e ronza e fischia e ansima con una cacofonia di suoni, e proprio quando le due donne si fermano al bordo del marciapiede, sentono dei passi dietro di loro, vicini, pesanti, rapidi e determinati. Il suono è ricordo, e Minnesota trasalisce, agita le mani, e il mento le sobbalza come se le avessero dato una botta in testa. Trattiene il fiato e l’uomo che era stato alle loro calcagna le sorpassa in fretta. Non era nulla, non era proprio nulla, e Minnesota prova un acuto imbarazzo. La Lucy gentile e buona, la Lucy della scopa e dell’abito viola, non l’altra, quella che è molto meno gentile e buona e che prende fuoco per ragioni inesplicabili, le posa una mano sull’avambraccio, stringe le dita e le strizza la carne per un istante. Poi socchiude le labbra, sta per parlare, esita, chiude la bocca.
Minnesota è nervosa, si spaventa facilmente per un rumore o un’ombra o persino un odore che le arrivi alle narici, se ciò che inala le sembra fuori luogo. Ha smesso di fare quel sogno sconvolgente, ma lo stato di inquietudine le durerà per mesi, e si terrà alla larga dalle attenzioni sessuali degli uomini per un anno. Piuttosto toccherà la schiuma sul suo materasso da quattro soldi nella stanza con il letto, il tavolo e la libreria fatti con le cassette delle arance, scopando in tutta sicurezza con vari fantasmi, piú spesso donne che uomini, nei mesi successivi alla notte del 7 maggio che diventò l’8 maggio. SÃ, qualcosa sta accadendo alla nostra protagonista. Minnesota non vuole piú sentirsi spingere. Non vuole piú che la pungolino o la prendano a calci o la buttino fuori, ma non sa pronunciare queste semplici parole in silenzio, fra sé e sé, o a voce alta, perché il suo caso non è abbastanza grave da valere quel genere di attenzione verbale. Pensa solo a quanta sofferenza c’è nel mondo. Chi ti credi di essere? Non hai neppure un osso rotto.
Minnesota sta cercando una storia, ma non è fra quelle che ha scritto. A volte i suoi personaggi si aggirano nelle stanze e nelle strade e stradine in cui si sta svolgendo la storia principale, ma ha una visuale troppo angusta per riuscire a vedere la città nel suo insieme. Un narratore le sussurra all’orecchio. Alla giovane donna serve una chiave. Ricordatelo. Avrà un coltello, ma ciò che le serve è una chiave.
Probabilmente sono l’unica persona presente alla cena che si tenne in quella sera di primavera a essere ancora in vita. Ero giovane. Gli altri no. Il 18 maggio scrissi di loro nel mio taccuino, come se fossero i personaggi di Minnesota a Manhattan o del Mistero di Lucy Brite. La mia smania di tradurre la mia vita in romanzo si può spiegare in parte col fatto che il romanzo che avevo sperato di completare era arrivato a un punto morto per la mancanza di una trama trainante, e le ore alla macchina per scrivere avevano cominciato a essere intrise di disperazione. La mia ambizione iniziale – mettere a confronto l’artificiosità del ragionamento di Holmes-Ian con l’imprevedibilità e l’irrazionalità del comportamento umano reale – era implosa, non perché fosse una cattiva idea ma perché Ian e Isadora sembrava avessero delle idee tutte loro circa le proprie mete e non erano affatto felici di incarnare le mie astrazioni. La debuttante ribelle, al contrario, era come se si scrivesse da sé. Controllavo saldamente l’eroina di quell’autobiografia romanzata. Il personaggio veniva alla luce attraverso delle convenzioni letterarie fissate da tempo. La sua storia era scritta per diletto; la sua smania era soggetta all’approvazione del capo.
18 maggio 1979
Ieri sera, mentre andavamo alla cena, sapevo che Lucy voleva dirmi qualcosa ma si tratteneva. Sentivo le sue remore come una pressione sul mio petto. Quando siamo arrivate sul Riverside Drive davanti al palazzo dove vivono Patty e Moth, si è fermata di botto in mezzo al marciapiede, ha alzato lo sguardo su di me e ha detto a voce alta: – Volevo dirtelo ieri, ma ancora non ero sicura di come bisognava leggere il segno. Adesso lo so –. Lucy si è guardata alle spalle come per controllare che nessuno ci ascoltasse. Ha parlato in fretta e a bassa voce: – Sai la notte che sei rimasta da me? Be’, quella mattina, quando sono entrata nel soggiorno, tu dormivi sul divano ma non eri sola –. Gli occhi di Lucy sembravano umidi alla luce del lampione sopra l’ingresso del palazzo. – C’era Lindy seduta sulla sedia accanto a te, ti guardava dormire. La mia Lindy era lÃ, uguale a sempre, nessuna ferita, niente di maciullato, perfetta –. Lucy ha inspirato a fondo, poi ha esalato un respiro tremulo. – Non era arrabbiata. Non era turbata. Mi ha guardato e mi ha sorriso! – Lucy aveva le labbra che le tremavano. – Non puoi avere idea di cosa questo significa per me. Tutto è cambiato.
– Cosa vuoi dire?
– Tu l’hai fatta tornare. Cioè, il fatto che ti ho aiutata l’ha fatta tornare. Non capisci? Tutto è collegato. Ho visto i cerchi e le facce e quelle foglie sul tuo taccuino. C’è voluto un po’ per trovare la risposta, ma ieri notte ho avuto un altro segno –. Lucy ha sorriso. – E a quel punto ho saputo che era giusto raccontarti di Lindy. Gira tutto intorno alla notte in cui sei stata aggredita. Ho cercato di fare rumore. Ho gridato. Ho battuto la scopa sul muro. Sono corsa da te. Lindy mi ha perdonato grazie a te. Adesso c’è speranza. Sono liberata dal castigo.
– Cerchi, facce, foglie? Lucy, sono solo dei ghirigori che ho fatto su un foglio di carta. Tutto qui.
– Cosà pensi tu. Ma questo non significa che l’antica magia non è al lavoro. Non significa che quegli scarabocchi non sono un segno. È solo che non sai leggerlo.
– Ma Lucy… – Ho strascicato la parte finale del suo nome fino a ridurla a un sibilo. – Sono io che ho fatto quei ghirigori. Vuoi dirmi che non so cosa ho disegnato?
Lucy mi ha sorriso con l’indulgenza che avrebbe mostrato a un bimbetto di quattro anni. – Credi che quello che pensi di fare è quello che davvero stai facendo? È un’idea ingenua, sai.
L’ho guardata a bocca aperta, la mia frustrazione cresceva: – Mettiamo in chiaro le cose. Ritieni di aver visto qualcosa nei miei disegni di cerchi, facce e foglie che è collegato con Lindy? Mi stai dicendo che hai visto il suo fantasma?
– Chiamalo come vuoi. Per me fantasma è un termine un po’ primitivo. Diciamo che ho visto il suo corpo astrale.
Poi ha dato un’occhiata all’orologio e ha detto con tono vivace: – Santo cielo, sarà meglio entrare –. Ha agitato le dita a quattro, cinque centimetri dalle orecchie, sembrava un invito a sbrigarsi. In ascensore le ho detto che avremmo dovuto riparlare di «tutta questa storia». Oh, certo, lo faremo, ha detto, ma adesso stavamo andando a una cena, e ha cominciato a sistemarsi i capelli e poi pizzicarsi le guance con la punta delle dita.
Fino al momento in cui Moth non ci ha aperto la porta, nei miei pensieri hanno continuato a turbinare i cerchi e le facce e le foglie e i fantasmi: Lindy che mi guardava mentre dormivo. «L’hai fatta tornare». Ma io non avevo fatto un bel niente. Moth ci ha accolto gridando: – Alice! Alice! Giú! Giú! – rivolta alla frenetica bastardina gialla, che aveva parecchio del terrier, e che saltava, correva in cerchio e ci abbaiava contro, finché non ho allungato un braccio lasciandole annusare la mia mano, a quel punto si è messa a scodinzolare e mi ha leccato le dita. I grigi capelli crespi di Moth erano raccolti morbidamente in una crocchia, sulle spalle aveva uno scialle multicolore impreziosito da specchietti e perline di vetro, un capo d’abbigliamento che Lucy ha dichiarato subito «festaiolo».
Mentre ero nell’ingresso a guardare una bizzarra stampa geometrica appesa alla parete che aveva al centro un pentacolo e attorno delle iscrizioni latine, mi sono chiesta se quell’immagine fosse un altro maledetto segno e cosa diavolo ci facessi io lÃ. La gratitudine per le signore della scopa era svanita. «Lei mi ha perdonata grazie a te». No, non è vero.
Moth gorgheggiava dicendo che era felice di averci con lei e perché non andavamo in soggiorno e di non fare caso alle pile di libri perché non c’era niente da fare al riguardo. Non c’era verso di ragionare con Patty quando si trattava di libri, e presto sarebbero state costrette a uscire loro di casa perché non ci sarebbe stato piú lo spazio necessario per sedersi o mangiare o dormire. Difficile dire se avessi l’aria torva o no, ma credo l’avessi. Si muore. Non ci si dissolve in corpi astrali. Ci si disfa e si imputridisce. Ceneri alle ceneri. Ho dovuto fare uno sforzo per controllare il respiro. L’appartamento era grande. Erano ricche?
Guardavo Moth che si muoveva con gran velocità barcollando sulle sue gambe rigide, mentre Alice le trotterellava dietro, fra i numerosissimi volumi schierati lungo le pareti e impilati in piccole torri nel corridoio. Le unghie del cane grattavano rumorosamente sul parquet del pavimento, martellandomi le tempie. Evidentemente erano troppo lunghe. Ho cercato di concentrarmi sul presente. Lucy con le labbra serrate si è lisciata di nuovo i capelli. I suoi gesti mi sono apparsi cosà fastidiosi che ho stretto la mascella. Moth ci ha fatto entrare in una stanza piú buia del corridoio e ci è voluto un minuto buono per adattarmi alla luce fioca della lampada, alle candele, alla nebbia delle sigarette e al vago odore di erbe che permeava la stanza. C’erano libri dappertutto, ammucchiati sul pavimento, sui tavoli e su una fila di sedie dallo schienale rigido. Le quattro pareti straripavano di libri, infilati in verticale in scaffali alti, ma anche affastellati in orizzontale sopra gli altri, quando c’era spazio. C’era una scala di legno appoggiata a uno scaffale e agganciata a una guida di metallo; nonostante la mia irritazione, ho desiderato in silenzio di avere una scala da libreria nella mia vita futura. Le chiacchiere eccitate di Moth crescevano senza interferenze da parte nostra, e ho sentito la sua voce salire di tono arrivando a uno strepito acuto pieno di nuova foga. Ha sventolato la mano verso il fondo della stanza: – Patty, sono qui tutte e due, che bello, eh? – Poi ha chiesto a Lucy e a me che vino preferivamo, rosso, bianco o rosé? Li avevano tutti e tre; il rosé la faceva pensare all’estate in Provenza che lei e Patty avevano trascorso insieme una volta; e le sembrava quasi di sentire il profumo della lavanda, cavolo, era un profumo cosà speciale, e Lucy e io abbiamo entrambe dichiarato la nostra preferenza per il rosé, influenzate dalla lavanda immaginaria, cosà Moth si è scapicollata per soddisfare la nostra richiesta, con Alice alle calcagna che ticchettava sul parquet e scodinzolava felice.
Quando mi sono girata, ho visto Patty seduta su una poltrona quasi in fondo alla grande stanza. La larga faccia dalla pelle liscia illuminata da una lampada a piede, in ombra il resto del corpo massiccio. L’angolazione della lampada faceva brillare le guance bianche come la fronte, e mi sono tornati vagamente alla memoria quei personaggi la cui pelle nei romanzi viene paragonata al marmo o all’alabastro. Quando Lucy e io le siamo state piú vicine, l’odore che avevo sentito entrando è diventato piú forte: un aroma dolce e vegetale, ma con un che di medicamentoso che mi ha ricordato i cassetti della zia Irma, c’era forse della lavanda, ma mescolata con altri ingredienti forti, un pizzico di canfora? L’essenza raggiungeva il mio naso a ondate, e ogni ondata era accompagnata come da una contrazione delle narici. Mi sono sentita stranamente calda e, pochi secondi dopo, leggermente stordita. Gli altri non sentivano il profumo che sentivo io? Ho un fugace ricordo di foglie fluttuanti nella mia tazza di tè e poi un pensiero confuso riguardo al fatto che fantasmi e odori in un certo senso si assomigliassero. Lucy era accanto a me. L’ho osservata. Sul viso aveva un’espressione soddisfatta che ha accresciuto il mio fastidio. Poi a un tratto ho cominciato a fare caso alla mia deglutizione; ho deglutito una volta, due, tre. Non contare, mi sono detta.
Patty, che spandeva quello strano profumo, ha alzato lo sguardo su di me, e ho notato la sua pelle bianco latte e gli occhi calmi che fissavano i miei.
– Voglio farti vedere una cosa –. L’espressione di Patty era cordiale, ma mi sono imposta di non lasciare trapelare nessuna emozione. Dopo le bizzarre confidenze di Lucy mi sentivo sulla difensiva. – L’interpretazione, – stava dicendo Patty, – è una cosa curiosa, non credi? Tutto dipende da come leggiamo il mondo, eppure lo leggiamo sempre in modo sbagliato. Credo che queste letture erronee dipendano da ciò che abbiamo lasciato fuori, da ciò che abbiamo dimenticato. Non usiamo un mazzo di carte completo, ma giochiamo con poche carte, che mischiamo e distribuiamo ai vari giocatori come se fossero un mazzo intero. I giocatori devono dare un senso al gioco, e glielo danno, ma non si rendono conto che mancano delle carte. Non capiscono che se le avessero tutte, giocherebbero un gioco completamente diverso –. Patty annuà con aria saggia.
La metafora aveva un suo senso, ma non capivo dove volesse andare a parare.
Patty mi sorrise dalla sua poltrona. – Diciamo che qualcuno ha nascosto tutte le regine, o peggio, le ha bruciate, ma è successo tanto di quel tempo fa che nessuno ricorda piú che le regine facevano parte del mazzo.
– Non sono sicura che giocare senza le regine faccia questa gran differenza, – ho detto. – Le regole sono arbitrarie e cambiano. Ci sono molti giochi che si possono giocare con meno carte del mazzo completo.
Patty annuÃ. – Ma diciamo, tanto per fare un’ipotesi, che il mazzo rappresenti ogni cosa, che rappresenti il...