Non mi sparavano addosso da un po’, e per un mese intero ero persino riuscito a non farmi spaccare la testa, forse addirittura due mesi. Era una specie di record, e cominciavo a sentirmi miracolato.
Io e Brett ce ne stavamo di sopra, nella nostra piccola casa in affitto, a letto, col respiro affannato, appena arrivati al traguardo di una lenta e dolce corsa, che delle volte sembra una competizione sportiva, ma che quando la giochi come si deve ti fa sentire un vincente anche se arrivi ultimo.
In quell’attimo, la vita andava alla grande.
Brett si mise seduta, si aggiustò il cuscino dietro la schiena e, scostando dal viso con una mano i lunghi capelli rosso sangue, spinse il petto in avanti in un modo che mi fece sentire molto fortunato. – Non me la spassavo cosà tanto, – disse, – da quando ho spaccato la testa con la pistola a quel tappetto lentigginoso.
– Non immagini che pensieri romantici mi fai fare, – dissi io. – Credo che il Piccolo Hap sia andato a rintanarsi da qualche parte.
– Pensavo avesse appena smesso di nascondersi, – rispose lei, facendomi l’occhiolino.
Il fatto era che davvero aveva spaccato la testa di quel nanerottolo. C’ero anch’io. Stava cercando di ritrovare sua figlia e di salvarle la vita, ma comunque è stato terribile, io c’ero dentro fino al collo. Devo però dire una cosa a favore del nanerottolo: aveva incassato con dignitoso stoicismo, e prima si era tolto il cappello da cowboy, uno Stetson che costava un sacco di soldi. Le aveva volute prendere dritte sul cranio e cosà era andata.
– Sai, credo che preferiscano essere chiamati solo nani invece di tappetti, o magari anche piccole persone, – dissi io.
– Dici sul serio? Non so che ne pensino gli altri, ma quello a cui ho dato una ripassata io lo chiamo semplicemente «testa spaccata».
– Ci stai male a pensarci?
– Neanche per sogno.
– È morto, lo sai.
– Non perché gli ho spaccato io la testa.
Anche questo era vero. Aveva tirato le cuoia per altre ragioni; ma lei comunque l’aveva ridotto male. Aveva anche dato fuoco alla testa dell’ex marito e poi spento le fiamme a colpi di pala, che non fa proprio lo stesso effetto di quando si usa un tubo con dell’acqua. Il mio tesoro delle volte sapeva come rendere nervoso un uomo.
– A proposito di piccoli uomini, – disse lei, afferrandomi per le palle.
– Piccoli uomini? – risposi. – E mi dovrei eccitare cos�
– No. Ci penso io a eccitarti.
Brett ridacchiò, mi scivolò accanto, la presi tra le braccia e ci accoccolammo un po’. La faccenda era quasi passata alla fase operativa quando bussarono alla porta.
Tipico.
Guardai la sveglia sul comodino. Le undici di sera.
Bussarono di nuovo, piú forte.
Mi alzai, m’infilai la vestaglia e le pantofole a forma di coniglietto e cacciai una bestemmia. – Resta concentrata. Io scendo giú a far fuori questo venditore notturno di Bibbie porta a porta.
– Mi porteresti in dono la sua testa, per piacere?
– Su un vassoio d’argento.
Scesi le scale e mi avvicinai alla finestra, tirai la tendina dando un’occhiata furtiva. Due neri grandi e grossi, uno dei quali appoggiato a un bastone, se ne stavano sui gradini dell’ingresso. Il mio migliore amico, Leonard Pine, insieme a un ex poliziotto di nostra conoscenza, Marvin Hanson.
Aprii la porta.
– Certo non è un gran piacere vederti, – dissi a Leonard.
Lui s’infilò dentro senza troppe cortesie. Era tutto agghindato con gli stivali da cowboy, jeans, una camicia scolorita con i taschini a bottone che gli tirava un po’ sulle spalle massicce e un sorrisetto da stronzo. – Che maniere sono queste, – rispose.
– Il tuo tempismo è impeccabile come sempre, fratello, – dissi io.
– Grazie.
– Cappello e cavallo li hai lasciati al corral?
– Il cappello ce l’ha in testa il cavallo, – disse Leonard. – Dopo essercela spassata insieme mi è sembrato giusto lasciargli un segno della mia gratitudine. Scommettiamo che domani mi richiama?
– Sei piú divertente al mattino presto, – dissi.
Marvin entrò con piú calma, sorreggendosi al bastone.
– Mi piacciono quei conigli che hai ai piedi, – disse, indicando le mie pantofole.
– Vero. Sono i miei amichetti, – risposi. – Be’, vedo che te la cavi ancora piuttosto bene.
– Avresti dovuto vedermi prima che andassimo a ballare. Questi passi hip-hop ti sfiancano.
– Siamo andati a farci qualche taco, – disse Leonard. – Non c’è verso di far fare qualcosa di divertente a questo tipo qui. La sua idea di spassarsela è masticare un chewing gum alla frutta.
– Dov’è l’amore della tua vita? – chiesi a Leonard.
– John?
– No, Winston Churchill.
– È arrabbiato con me.
– Non mi sorprende.
– Niente di che. Ci siamo dati della troia a vicenda mi pare, e io ero cosà incazzato da pensare che gli avrei volentieri cacato proprio in mezzo al letto; e poi l’ho fatto davvero.
– Potevi risparmiarti i dettagli, – dissi io.
– Nessuno dei due si ricorda piú perché abbiamo iniziato, e ci aspettiamo entrambi delle scuse. Io, come al solito, farò il primo passo, e cosà tutto tornerà alla normalità . Hai qualcosa da mangiare?
– Ma non hai appena mangiato dei taco?
– Due ore fa almeno, forse tre.
– Non mi sento tanto ospitale al momento – dissi. – Perché dovrei aver voglia di sfamarti?
– Abbiamo interrotto qualcosa? – chiese Leonard, sgusciando in cucina per aprire il frigorifero.
– Hai indovinato, io e Brett avevamo appena tirato fuori la scacchiera per farci una partita. Marvin, perché ti accompagni a questa gentaglia?
Marvin aveva trovato una poltrona e si era accomodato, allungando la gamba e iniziando a massaggiarsi il ginocchio. – Esco con lui perché un po’ mi fa pena.
– Allora perché lasci che mi rompa i coglioni?
– Leonard dice che ami avere compagnia la sera tardi.
– È un bugiardo figlio di troia.
– Ehi, ragazzi, – disse Brett.
Mi voltai e la vidi scendere le scale. Si era infilata una vestaglia bianca corta; aveva i capelli arruffati dal letto e le sue gambe erano lunghe abbastanza da spingere una giraffa ad annegarsi per la vergogna. Aveva gli occhi semichiusi ed era bellissima.
Leonard rientrò in soggiorno a mani vuote.
Brett arrivò in fondo alle scale e disse: – Ciao, Leonard.
– Ciao, Brett. Hai qualcosa da mangiare?
– John ti lascia uscire per giocare cosà tardi? – rispose lei.
– Con lui metto a posto le cose domani, – disse Leonard. – Sai tesoro che ho imparato qualche nuova posizione, se vuoi posso insegnare a Hap qualcuno dei miei trucchetti. A livello puramente teorico, ovvio.
– Biologicamente proprio non funziona – dissi io. – John. Brett. Tubature tutte diverse.
– Ciao, Marvin, – disse Brett.
Marvin sorrise e accennò appena un saluto con la mano.
– Vado a farmi un po’ di latte e biscotti, – fece lei. – Qualcuno mi segue?
– Io! Io! – rispose Leonard. – I biscotti… non è che sono alla vaniglia?
– Proprio cosÃ, – disse Brett. – Hap li tiene apposta per te, tesoro. Abbiamo anche la tua preferita: la Dr Pepper. Arriva dall’unica fabbrica che usa ancora la ricetta originale. Siamo andati fin là solo per prendertela.
– Passavamo di lÃ, – dissi. – Cosà ho pensato, perché no.
Leonard mi guardò sbattendo le ciglia. – Tra tutti i bastardi che quando si accovacciano per cacare se la fanno sulle scarpe tu sei il piú dolce.
– I biscotti non sono mica solo per te, – dissi. – Piacciono anche a me. E pure la Dr Pepper.
– È un bugiardo, – disse Brett. – La tiene apposta per te. Lui beve quelle stronzate dietetiche. Vatti a sedere. Latte o Dr Pepper con i biscotti?
– C’è bisogno di chiederlo? – rispose Leonard.
– E tu, Marvin? – disse Brett.
– Latte e biscotti vanno bene.
– Fantastico, – disse lei. – Hap, mu...