Chi ha ucciso Palomino Molero?
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Chi ha ucciso Palomino Molero?

  1. 176 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Chi ha ucciso Palomino Molero?

Informazioni su questo libro

La vittima è Palomino Molero, un giovanissimo aviere trovato senza vita e con i segni evidenti di atroci torture. Un caso come molti nel clima di incertezza politica e sociale di quegli anni. Per molti un caso da archiviare senza strepito, un "incidente" senza importanza né conseguenze. Decisi a far luce sull'omicidio, il tenente Silva e il suo aiutante Lituma ricostruiscono i brandelli di una impossibile storia d'amore tra la vittima e la figlia di un colonnello in un mondo in cui dominano reticenze e contraddizioni, e dove il potere e la corruzione riescono a trasformare la verità in tante verità diverse che si rinviano l'un l'altra come in un allucinante gioco di specchi. Nelle mani di uno scrittore attento e sensibile alle vicende del proprio Paese quale Mario Vargas Llosa, lo sfondo giallo di questo avvincente romanzo diventa a poco a poco ricostruzione fedele di un clima e di un'epoca, analisi impietosa e universale denuncia.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806207649

VI.

– Ecco, te l’avevo detto, sta arrivando, – esclamò il tenente Silva, col binocolo ben appiccicato agli occhi. Allungava una testa da giraffa. – Puntuale come un orologio. Benvenuta, mia bella signora. Dài, spogliati, che cosí posso vederti. Chinati, Lituma, basta che si giri per beccarci.
Lituma si acquattò dietro la roccia dov’erano appostati da almeno mezz’ora. Era donna Adriana quella nuvoletta di polvere, laggiú, proveniente da quel settore della costa che chiamavano Punta Arena, oppure il tenente Silva aveva visioni tanto era arrapato? Stavano sullo scoglio dei granchi, osservatorio naturale di una spiaggetta pietrosa, dalle acque tranquille, che un faraglione e diversi magazzini della International Petroleum Company proteggevano dai venti dell’imbrunire. Dietro di loro, dispiegata a ventaglio, c’era la baia, con i suoi due moli, la raffineria irta di tubi, scale e torrette metalliche e il disordine del paese. Come aveva scoperto il tenente che donna Adriana veniva a far il bagno qui, verso sera, quando il sole si arrossava e il caldo si attenuava un poco? Perché, sí, la nuvoletta di polvere era lei; il poliziotto riconosceva adesso le forme compatte e il camminare cadenzato della padrona della piccola taverna.
– Questa è la maggior prova di stima che abbia mai dato a nessuno, Lituma, – mormorò il tenente, senza scostare il binocolo dalla faccia. – Vedrai il culone della mia cicciona, addirittura. E le tette. E, con un po’ di fortuna, anche la passera e i riccetti. Preparati, Lituma, perché creperai. Sarà il regalo per il tuo compleanno, la tua promozione. Che fortunato sei ad avere un capo come me, caro mio!
Il tenente Silva parlava come un pappagallo da quando era lí, ma Lituma lo ascoltava appena. Per il momento stava piú attento ai granchi che agli scherzi del suo capo o all’arrivo di donna Adriana. Lo scoglio meritava il suo nome: ce n’erano centinaia e forse migliaia. Ognuno di quei buchi nel suolo era un nascondiglio. Lituma, affascinato, li vedeva affacciarsi come mobili macchioline terrose e, una volta fuori, tendersi e gonfiarsi fino a riacquistare quell’incomprensibile forma che avevano, e mettersi a correre, di sbieco, in maniera cosí confusa che era impossibile sapere se avanzavano o indietreggiavano. «Proprio come noi nella faccenda di Palomino Molero», pensò.
– Chinati, chinati, che non ti veda, – ordinò il suo capo, a mezza voce. – Che meraviglia, ha già cominciato a spogliarsi!
Gli venne in mente che tutta l’altura era perforata dalle gallerie scavate dai granchi. E se, d’improvviso, avesse ceduto? Il tenente Silva e lui sarebbero caduti in profondità buie, sabbiose, asfissianti, popolate da sciami di quelle croste vive, armate di pinze. Prima di morire, avrebbero avuto un’agonia da incubo. Saggiò il suolo. Durissimo, meno male.
– Su, mi presti ’sto binocolo, – brontolò. – Mi invita a vedere e poi ci sta solo lei a guardare, signor tenente.
– Sono o non sono il tuo capo, pezzo di stronzo? – sorrise il tenente. Ma gli porse il binocolo: – Guarda in fretta. Non voglio che tu prenda il vizio.
Il poliziotto regolò il binocolo secondo la sua vista e guardò. Vide donna Adriana, laggiú, contro il faraglione, che si toglieva i vestiti tutta tranquilla. Sapeva che stavano spiandola? Indugiava cosí per provocare il tenente? No, i suoi gesti avevano la morbidezza e l’abbandono di chi si crede lontano dagli sguardi. Aveva piegato il vestito e si alzava in punta di piedi per posarlo su una roccia dove non arrivavano gli spruzzi del mare. Come aveva detto il suo capo, portava una sottoveste rosa, corta, e Lituma riuscí a vederle le cosce, grosse come tronchi di alloro, e i seni che le traboccavano fin sul bordo del capezzolo.
– Chi l’avrebbe detto che, alla sua età, donna Adriana avesse cosí tante belle cosine? – si stupí.
– Non guardare troppo che me la sciupi, – lo redarguí il tenente, strappandogli via il binocolo. – A dire il vero, il meglio viene adesso, in acqua. Quando la sottoveste le si incolla sul corpo, diventa trasparente. Questo non è uno show per semplici poliziotti, Lituma. È solo da tenenti in su.
Il poliziotto si mise a ridere, per cortesia, non perché le battute del tenente lo divertissero. Si sentiva a disagio e impaziente. Era per colpa di Palomino Molero? Forse. Da quando l’aveva visto impalato, crocefisso e bruciacchiato nella pietraia, aveva la sensazione di non essere riuscito a toglierselo di testa neanche per un momento. Prima credeva che, una volta scoperto chi e perché l’aveva ucciso, se ne sarebbe liberato. Ma adesso, sebbene il mistero si fosse piú o meno chiarito, l’immagine del ragazzo lo seguiva giorno e notte. «Stai rovinandomi la vita, smilzo di merda», pensò. Decise che quel fine settimana avrebbe chiesto un permesso al suo capo per andare a Piura. Era giornata di paga. Avrebbe cercato gli Inconquistabili e avrebbe offerto loro una bella ciucca al bar della Chunga. Avrebbero poi finito la notte alla Casa Verde, con le puttane. Gli avrebbe fatto bene, porco mondo.
– La mia cicciottella appartiene a una razza superiore di donne, – sussurrò il tenente Silva. – Quelle che non portano le mutande. Guarda, Lituma, guarda i vantaggi di una donna che gira senza mutande.
Gli porse il binocolo e, per quanto sforzasse la vista, Lituma non riuscí a vedere granché. Donna Adriana si faceva il bagno sulla riva, sguazzando, buttandosi addosso l’acqua con le mani, e fra quanto spruzzavano lei e la spuma delle onde, era ben poco quello che si poteva scorgere del suo corpo, anche se la sottoveste era diventata trasparente.
– Io non devo avere una buona vista o, meglio, la sua grande immaginazione, signor tenente, – si lamentò, restituendogli il binocolo. – Il fatto è che riesco solo a vedere spruzzi di spuma.
– Vaffanculo, allora, – sussurrò il tenente, portandosi di nuovo il binocolo agli occhi. – Io, invece, sto vedendola come se l’avessi a portata di mano. Dalla testa ai piedi, davanti e dietro. E, se vuoi saperlo, posso dirti che i peli della sua figa sono ricci come quelli di una negretta. E persino quanti ne ha, se me lo domandi. Li vedo cosí bene che potrei contarli uno per uno.
– E cos’altro? – disse, dietro di loro, la voce della ragazza.
Lituma cadde a sedere. Intanto, girò la testa cosí bruscamente che gli si torse il collo. Pur vedendo che non era cosí, gli sembrava che non avesse parlato una donna ma un granchio.
– Che altre sconcezze pensate di dire? – domandò la ragazza. Teneva i piccoli pugni sui fianchi, come un torero in posizione di sfida. – Che altre sudicerie oltre a quelle che avete già detto? Ci sono altre sconcezze nel dizionario? Le ho sentite tutte. E ho pure visto che schifezza state facendo. Fate proprio vomitare.
Il tenente Silva si chinò per prendere il binocolo, che gli era caduto dalle mani quando aveva sentito la ragazza. Lituma, sempre seduto per terra, con la vaga idea di aver schiacciato cadendo il guscio vuoto di un granchio, vide che il suo capo non si riprendeva ancora dalla sorpresa. Si scuoteva la sabbia dai pantaloni, per guadagnar tempo. Lo vide fare un cenno di saluto, lo sentí dire:
– È pericoloso cogliere cosí di sorpresa le autorità nel corso del loro lavoro, signorina. E se girandomi le avessi sparato un colpo?
Solo allora Lituma si rese conto che era la figlia del colonnello Mindreau. Sí, Alicita Mindreau. Il cuore gli batté forte nel petto. Da laggiú arrivava la voce furibonda di donna Adriana. Li aveva scoperti, per via del tafferuglio. Come in sogno la vide uscire a gattoni dal mare e correre china, coprendosi, in cerca dei suoi vestiti, mentre agitava il pugno verso di loro, minacciandoli.
– Siete dei gran villani, oltre che dei porci, – ripeté la ragazza. – Bei poliziotti! Siete ancora peggio di quello che dice la gente dei poliziotti.
– Questo scoglio è un osservatorio naturale, per scoprire le lance che fanno contrabbando dall’Ecuador, – disse il tenente, con una convinzione tale che Lituma si girò a guardarlo, a bocca aperta. – Nel caso che non lo sapesse, signorina. E poi, gli insulti di una dama sono fiori per un gentiluomo. Si sfoghi pure, se ne ha voglia.
Con la coda dell’occhio, Lituma notò che donna Adriana, vestita alla meno peggio, si allontanava attraverso la spiaggia verso Punta Arena. Dimenava i fianchi, con passi energici, e, di schiena, continuava a rivolger loro gesti furibondi. Sicuramente stava pure trattandoli da figli di puttana. La ragazzina era rimasta zitta, a guardarli, come se la sua furia e il suo disgusto fossero improvvisamente svaniti. Era sporca di terra da capo a piedi. Impossibile sapere di che colore fossero la camicetta senza maniche e i blue-jeans che portava, perché entrambi gli indumenti, come i suoi mocassini e il nastro che le serrava i capelli corti, avevano la stessa tonalità fra l’ocra e il grigio degli arenili circostanti. A Lituma sembrò ancora piú magrolina del giorno in cui l’aveva vista irrompere nell’ufficio del colonnello Mindreau. Quasi senza seno e con i fianchi stretti, era quello che il suo capo chiamava, con spregio, una donna piallata. Quel nasino pretenzioso, che sembrava dar voti agli odori della gente, gli sembrò ancora piú superbo di quell’altra volta. Li annusava come se loro non avessero superato l’esame. Aveva sedici anni? Diciotto?
– Cosa ci fa una signorina come lei in mezzo a tutti ’sti granchi? – domandò cortesemente il tenente Silva, dando per concluso l’incidente.
Ripose il binocolo nella custodia e si mise a ripulirsi gli occhiali da sole col fazzoletto.
– Siamo un po’ lontani dalla base aerea per venire fin qui a fare una passeggiata. E se la morde una di queste bestioline? Cosa le è successo? Ha bucato una gomma?
Lituma scoprí la bicicletta di Alicia Mindreau, anche questa incrostata di polvere, venti metri piú sotto, ai piedi dello scoglio. Il poliziotto osservava la ragazza e tentava di vedere, accanto a lei, Palomino Molero. Si tenevano per mano, si dicevano parole tenere guardandosi ammaliati negli occhi. Lei, agitando le ciglia come una farfalla, gli sussurrava all’orecchio: «Canta, su, cantami qualcosa di bello». No, non ce la faceva, era impossibile immaginarseli cosí.
– Mio papà sa che avete fatto dire delle cose a Ricardo, – disse bruscamente, con tono sferzante. Aveva il faccino alzato e i suoi occhi valutavano in loro l’effetto delle sue parole. – Approfittando del fatto che era ubriaco, l’altra notte.
Il tenente non batté ciglio. Si infilò gli occhiali da sole con lentezza e prese a scendere dall’altura, verso il sentiero, lasciandosi scivolare giú come lungo un toboga. Sotto, si scosse con le mani i vestiti.
– Il tenente Dufó si chiama Ricardo? – domandò. – Lo chiamerete Richard, allora.
– Sa pure che siete andati ad Amotape, a fare indagini in casa della signora Lupe, – aggiunse la ragazza, con una specie di scherno. Era piuttosto bassa, minuta, con certe forme appena sbozzate. Non si poteva dire che fosse una bellezza. Palomino Molero si era innamorato di lei solo perché era chi era? – Sa tutto quello che avete fatto.
Perché parlava cosí? Perché diceva le cose in quel modo cosí strano? Perché Alicia Mindreau non sembrava minacciarli, ma, semmai, beffarsi di loro o divertirsi fra sé, quasi stesse compiendo una monelleria. Anche Lituma scendeva dall’altura adesso, a balzelli, dietro la ragazza. Fra i suoi stivali correvano i granchi, in avviluppati zigzag. Tutt’intorno non c’era nessuno. Gli uomini dei magazzini dovevano essersene andati via pure loro da un pezzo, perché le porte erano chiuse e non proveniva nessun rumore da dentro. Laggiú, nella baia, un rimorchiatore solcava il mare, fra i moli, sprigionando un ricciolo di fumo grigio e faceva fischiare la sirena di tanto in tanto. Formicolavano gruppi umani sulla spiaggia.
Avevano raggiunto il sentiero che, dallo scoglio, portava fino al reticolato divisorio fra gli installamenti della International e il paese di Talara. Il tenente prese la bicicletta e cominciò a trascinarsela dietro con una sola mano. Camminavano piano, tutt’e tre in fila. Sotto i loro piedi scricchiolavano i gusci o qualche granchio schiacciato.
– Vi ho seguiti fin dal commissariato e non ve ne siete accorti, – disse, nello stesso modo imprevedibile, fra l’adirato e lo scherzoso. – Al reticolato, non volevano farmi passare, ma li ho minacciati usando il nome di mio papà e mi hanno lasciata. Voi non mi avete neppure sentita. Vi ho ascoltati dire tutte quelle sudicerie e voi neanche foste stati sulla luna. Se non vi avessi parlato, sarei ancora lí a spiarvi.
Il tenente annuí, ridendo piano piano. Muoveva la testa da una parte e dall’altra, come per congratularsi con lei.
– Quando gli uomini sono fra uomini, dicono cose sporche, – si scusò. – Eravamo venuti a fare un’ispezione, a vedere se passavano dei contrabbandieri. Non è colpa nostra se qualche donna di Talara viene qui a fare il bagno a questa stessa ora. Sono le coincidenze della vita. Non è vero, Lituma?
– Sí, signor tenente, – annuí il poliziotto.
– Comunque, noi siamo qui per servirla, signorina Mindreau, – aggiunse l’ufficiale, inzuccherando la voce. – Dica pure. O preferisce che ne parliamo al posto di guardia? All’ombra, bevendo una gassosa, si chiacchiera meglio. Tenga presente, però, che il nostro commissariato non è confortevole come la base aerea del suo papà.
La ragazza non disse nulla. A Lituma sembrava di sentirsi scorrere nelle vene il sangue, rosso scuro, e udiva il polso e le tempie che gli martellavano. Raggiunsero il reticolato e il poliziotto di turno, – Lucio Tinoco, di Huancabamba, – salutò militarmente il tenente. C’erano anche tre sentinelle, del servizio di sicurezza della International. Rimasero a osservare la ragazza, stupiti di vederla con loro. Si era già sparsa la voce, in paese, della faccenda di Amotape? Non per colpa di Lituma, comunque. Lui aveva scrupolosamente osservato l’ordine del suo capo di non dire una parola a nessuno su quanto aveva raccontato loro donna Lupe. Passarono davanti all’ospedale della International, con le sue imposte rilucenti di vernice verde. Nella capitaneria del porto, due marinai montavano di guardia, col fucile sulla spalla. Uno di loro strizzò l’occhio a Lituma, come per dire: «Ma che bella compagnia!» Uno stormo di gabbiani passò lí vicino, con le ali frementi, fra strilli. Iniziava l’imbrunire. Attraverso le scale e le ringhiere dell’Hotel Royal, l’unico albergo del paese, Lituma vide che il sole cominciava ad affondare nel mare. Un tepore piacev...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I.
  4. II.
  5. III.
  6. IV.
  7. V.
  8. VI.
  9. VII.
  10. VIII.
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright