Nel dopoguerra, mentre si andava sistemando a Calasay, McWatt scendeva su Fascaray quasi solo per recarsi alla Finnverinnity Inn, ancora governata da un sempre meno abile Rab McNab al roseo lume delle candele. McNab considerava McWatt un «itto xeno» [persona sui generis] ma era abituato ai clienti intemperanti – certi pescatori sapevano diventare discordiosi dopo qualche giorno in mare – e da buon oste esperto aiutava il poeta quando esagerava nel bere, calmandone gli eccessi senza trattarlo con sufficienza. Piú di una volta McNab, nemmeno lui del tutto sobrio ma consapevole delle maree sulla spiaggia di Calasay, aveva riportato a casa il suo litigioso cliente su un carretto a cui attaccava il palafrippo [cavallo] di Tam Macpherson.
Di rado McWatt si faceva vedere nel negozio del paese, salvo per comprare tabacco, petrolio per le lampade, qualche fetta di bacon o mezzo chilo di carne macinata, o ancora i francobolli allo sportello postale. La commessa era la piccola Effie Morrison, o Effie Negoziante, per distinguerla da Effie Lattaia Maclean, di Balnasaig Farm (dopo essersi sposata con Shuggie Postino, Effie Negoziante è diventata Effie MacLeod). Da quando era stata assunta anche come centralinista per i telefoni di Fascaray, vantava un’approfondita conoscenza di ogni gioia e dolore isolani. McWatt restava invece un enigma.
«Passava solo per i messaggi [compere] e subito se n’andava. Gl’era mica tanto sul pettegolo», sostiene Effie MacLeod, benché i commenti del poeta sul Fascaray Compendium suggeriscano un orecchio bene attento alle notizie del luogo. Durante i suoi primi anni sull’isola, il fatto di non parlare in gaelico rappresentava un problema comunicativo in negozio, dove autoctoni allegramente intenti a parlare scozzese passavano al gaelico non appena entrava uno straniero.
«Era capace d’esser legnosett’assai. Ma aye gentile», afferma Effie MacLeod.
McWatt di tanto in tanto dava una mano per il raccolto a Balnasaig e nella torbiera comunale – gesti di reciproco altruismo di tutti gli isolani, poi ripagati in natura con giornate di lavoro offerto nei piccoli poderi o nelle torbiere di ciascuno, oppure con patate da semina, un po’ di latte d’avena allungato con acqua, e nel caso di McWatt la sicurezza di essere sempre il benvenuto in fattoria per un bicchierino insieme a Tam Macpherson, andando e tornando da Finnverinnity. Piú di una volta partecipò anche alla tradizionale «caccia al guga», in cui gli uomini di Fascaray salpavano verso gli isolotti scogliosi di Plodda e Grodda per scalarne le falesie e catturare, spennare e affumicare i piccoli di sula, anche se, a quanto sembra, durante queste escursioni annuali il poeta non amava l’altitudine e restava sempre in barca.
Usciva con i pescatori solo in caso di «cieli scoperti e mare calmo», secondo Tormud Campbell, capitano del Silver Darling. Il poeta «non serviva né a tanto né a poco, quando si doveva tirar su le reti con le aringhe», sostiene Tormud in una spassosa digressione di Poet in a Landscape. McWatt non sapeva nuotare, alquanto insolitamente per un soldato scelto ma non per un pescatore, e secondo alcuni quando usciva in mare non aiutava abbastanza; una volta, a Roddy McIntosh che lo rimproverava di non dare una mano al resto della ciurma nel recupero delle nasse per le aragoste con un mare forza nove, pare che il poeta abbia risposto di «star qui per osservare, non per partecipare». Tormud e suo figlio Alec dovettero intervenire per evitare la rissa sullo scafo che ballava forte.
I lavori di McWatt sul suo podere a Calasay cominciarono a dare i loro frutti. Ricostruí la fatiscente parete settentrionale della casa, mise i vetri alle finestre, impermeabilizzò al meglio i muri e li riparò dal vento e infine, inserendo in un vecchio albero di nave spuntoni in legno ricavati principalmente da botti, costruí una scala a chiocciola per la camera da letto sul soppalco. Concimò il terreno con alghe e sterco e piantò cavoli e rape, oltre a patate e carote.
Non riceveva molte visite. Secondo Effie MacLeod «a quei tempi stava molto fra sé e sé. Era un solitario. Non un gran chiacchierone; tranne quando beveva. Allora mica lo fermavi. Ma da sobrio ascoltare gli piaceva, se ne andava in giro a raccogliere i fildifuso e le ricette e cosí via. Aveva sempre un minuto per i vecchi, ascoltava le loro lalie, storie di faghe e di fantasmi. Magari a loro sembrava un nillo tocco, ma erano aye contenti di poter laliare assai. Comunque in generale se ne ristava acchiocciolato a Calasay».
Riceveva regolarmente grossi pacchi di libri, la maggior parte di seconda mano, in tali quantità da strappare a Shuggie un lamento quando doveva appendere le sacche alla canna della bici. A capo Ruh doveva scendere e spingere la bicicletta a mano attraverso la lingua di sabbia fino a Calasay. Se non si regolava bene con le maree, correva il rischio di bagnarsi i piedi, rovinare la bici o addirittura restare bloccato con McWatt fino al mattino dopo.
«Un paio di volte è capitato, dopo che ci siamo sposati», sostiene Effie MacLeod nell’intervista rilasciata all’autrice, a Glasgow. «Shuggie tornava aye col mal di testa, la mattina dopo. Cos’altro potevi fare lassú, se mica scrivevi o passeggiavi, se non bere? Per quanto Shuggie sapesse controllarsi, in confronto agli altri».
Alla fine McWatt sistemò i libri nella biblioteca ricavata da un bathach abbandonato, cioè una antica vaccheria riparata da un boschetto di betulle a occidente della casa. Intonacò le pareti interne, costruí scaffali con legname di recupero trovato in spiaggia, coprí bene il tetto con tegole e impermeabilizzò le finestre.
«Tiene piue a illa biblioteca, ch’ alla dimora sua. Su a Calasay preferisco essere libro, ch’ uomo», disse Shuggie a sua moglie, e quando andò in pensione imputava la sua lombaggine invalidante agli anni passati ad accollarsi sacche piene di libri fino alla lontana biblioteca di McWatt.
Quando il poeta non coltivava il podere o costruiva la libreria, quando non mungeva Flora, la sua vacca highlander dal pelo lungo e dalle astruse corna, sedeva alla scrivania con l’affaccio sul retro, o nei rari giorni di bel tempo sistemava una sedia pieghevole nella verandina sul davanti, a leggere, scrivere e a imparare – o rimparare, come diceva lui – il gaelico a fatica.
Gli appunti piú personali del Fascaray Compendium rivelano che durante le ricadute di Morbus era capace di star seduto ore a guardare ingrugnato gli elementi oltre i vetri appannati, finché Luath, il suo collie, non lo molestava costringendolo a uscire per saltabeccare intorno a Calasay, mentre McWatt passava rapido lungo la costa e sui colli, chino a guardare conchiglie e fiori selvatici, a rigirare sassi e a esaminare muschi e licheni «quasi contengano il segreto dell’universo», o fissava lo sguardo in cielo per verificare il passaggio degli uccelli dall’Islanda, dall’Africa e dalla Siberia e osservare il drammatico dipanarsi delle nuvole e gli umori incostanti del mare.
Nei periodi buoni, le sue estati interiori, trascurava il sonno per scrivere versi e lavorare in casa a ulteriori migliorie, come installare una cucina economica, fare una canalizzazione dalla vicina fiumara per avere una maggior riserva d’acqua, «rifigurare» la letteratura mondiale in lingua scozzese.
In questi lassi di tempo produttivi lasciava la penna solo per andare a trovare gli anziani dell’isola, felici che qualcuno, foss’anche un immigrante (vecchie ascendenze con antichi clan non hanno mai impressionato piú di tanto i duri genealogisti dilettanti di Fascaray), li andasse a trovare nelle loro solitarie blackhouses. McWatt appuntava per il Fascaray Compendium, generalmente in scozzese, lingua seconda, le loro memorie della lontana infanzia, di tradizioni e vecchi modi di vivere, di un mondo di spiriti e incantesimi, di cure miracolose al santuario di Teampull Beag a Lusnaharra. Con una tazza di tè rosso carico e uno strupag (brioche fatta in casa), questi bodach e cailleach (anziani uomini e donne) sedicenti cristiani – cattolici o presbiteriani – raccontavano storie isolane di fantasmi come se chiacchierassero dei vicini di casa. «È in questo miscuglio di secolare e ultraterreno che sta l’essenza del realismo gaelico», scrive McWatt.
Gli raccontavano di vedove veggenti capaci di prevedere tempeste e preconizzare morti, di streghe che distruggevano raccolti e rovinavano innamoramenti, di draghi acquatici che rapivano i bambini, di dispettose fate sidhe, di foche sirene che irretivano i pescatori e infine di Seonaidh, il volubile dio del mare, da blandire con un boccale di birra.
Infine, dopo aver staccato, McWatt tornava al pub, assetato di polemiche e canzoni. Condivideva la passione di padre Col per il whisky – «un chrisocalice» – e i mimalterchi [dispute scherzose] su politica e poesia nell’intimità male illuminata della Finnverinnity Inn. Sebbene il poeta non fosse religioso, restava ecumenico nelle frequentazioni; gli piaceva anche giocare a scacchi a casa del padre presbiteriano Ranald Paterson, il quale, astemio e di convinzioni sabbatiche, era disponibile per il «Königsspiel» soltanto sei giorni alla settimana. McWatt pare sia stato visto in compagnia del pastore addirittura al Temperance Hotel, dove non servivano alcolici e la cui anziana proprietaria Miss Geddes, famosa per i dolciumi, preparava una speciale cena fredda del venerdí. Si narra anche, tuttavia, che dopo dieci minuti nella gelida sala dell’albergo il poeta, senza degnare i panini di uno sguardo, abbia ringraziato educatamente la sua ospite, si sia riempito le tasche di scones e sia sgattaiolato alla Finnverinnity Inn.
Mhairi McPhail, Granitica ballata. Rifigurazione di
Grigor McWatt, Thackeray College Press 2016.
15 settembre 2014
Piove fitto quando passo con il quad sopra la lingua di sabbia verso Calasay. Con il giaccone cosí bagnato, tanto valeva arrivarci a nuoto durante l’alta marea. Entro e mi libero veloce di giacca e stivali, che lascio sulla verandina nella speranza vana di farli asciugare. Stavolta il mio giro della casa è piú metodico, apro tutti i cassetti e infilo in cartelline ogni documento di qualche interesse. Il problema è che non sembra esserci granché.
Johanna ha lavorato bene nella sua prima cernita, il cui materiale è tutto al sicuro in due scatoloni nell’ufficio del museo. Dentro i cassetti sono rimaste vecchie penne, biglietti da visita – della Raj Curry House di Auchwinnie; di un elettricista locale che si presenta come Vital Scintilla; di una società di taxi di Edimburgo –, estratti bancari incomprensibili, vecchi libretti di assegni (tre grossi rotoli), pile stilo esauste, una torcia elettrica rotta e un mazzo di fatture di un veterinario di Auchwinnie per cure a Gyp, ultimo collie di McWatt e anche l’ultimo sopravvissuto del suo zoo domestico.
Accanto alla scrivania ci sono due vasetti di marmellata in coccio con l’immagine di guerrieri in kilt – un prodotto industriale anni Cinquanta. La vernice è scrostata e hanno il bordo scheggiato. Varranno sí e no un paio di dollari in una vendi...