Sopruso: istruzioni per l'uso
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Sopruso: istruzioni per l'uso

  1. 136 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Sopruso: istruzioni per l'uso

Informazioni su questo libro

«Cani, antifurto, bimbi, lupi mannari - chi fa rumore è all'oscuro degli altri, figure leggendarie di cui talvolta si favoleggia, ma che evidentemente nessuno ha mai voluto prendere in considerazione. Eppure esistono, cosí come esiste un mondo circostante, e per di piú abitato, che questo libro avrebbe l'ambizione di portare alla luce. Poi c'è la burocrazia».Un medico in camice insulta un paziente sdraiato e in mutande ( La Radiografia ), un intero quartiere insorge contro chi spara musica ( La Rivolta ), un colpo in banca ( La Rapina ), una fila alle poste ( La Raccomandata ). Quattro scene madri per un unico scopo: individuare quelle vessazioni invisibili di cui siamo costantemente oggetto nel corso delle nostre giornate. Come le vittime dei «bravi» manzoniani, Magrelli ha imparato a sue spese fin dall'infanzia la grammatica dell'oltraggio, e la ricorda nell'appendice autobiografica sulla sventurata famiglia dei rosci. Da qui la conclusione: «Tutto conferma che l'Altro rappresenta la fogna dei nostri problemi, la discarica dove sversare ogni difficoltà, il monnezzaro, l'isola ecologica, senza neanche raccolta differenziata». Eppure, dopo la morte di Dio, il suo unico erede è il nostro Prossimo. Ragion per cui, alla fin fine, questo trattatello vuole essere soltanto un grido nel deserto per annunciare la religione del Rispetto.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806240127
Capitolo secondo

La Rivolta

Gli assaltati dalla musica, gli assediati della musica.
PASCAL QUIGNARD

I. I sacerdoti vandalici.

Il che mi porta a parlare di uno fra gli eventi piú straordinari cui abbia mai assistito in vita mia: niente meno che lo scoppio di una rivoluzione, o meglio, per essere meno gradassi, l’insorgere di un germe potenzialmente rivoluzionario. Soltanto in seguito mi sono reso conto di quanto immane fosse lo spettacolo che vidi coi miei occhi, e che potrei definire come l’aurorale formarsi di una «muta da caccia».
Massa e potere, edito in Germania nel 1960, è l’opera cui Elias Canetti lavorò per tutta la sua esistenza. Posto all’incrocio fra antropologia e sociologia, il saggio parte dall’assunto che l’istinto di «formare una massa» sia connaturato nell’uomo. Nasce da qui lo studio delle sue diverse specie di cristallizzazione, dalle «mute da caccia» cui accennavo, alle folle vere e proprie: raggruppamenti venatori (masse di cacciatori), bellici (masse di soldati), sportivi e ricreativi (masse di spettatori), religiosi (masse di credenti o di spiriti). Ebbene, pur essendo vissuto in tempi relativamente tranquilli, posso dire di aver seguito di persona l’improvviso delinearsi di un simile fenomeno.
Il testo di Canetti nacque dalle violente impressioni riportate durante la sua giovinezza, quando partecipò alle manifestazioni popolari organizzate a Francoforte dopo l’assassinio del ministro Walther Rathenau. Quanto alla mia minima, personale esperienza, che non finí nemmeno nelle pagine di cronaca dei giornali cittadini, ricordo che accadde a Roma una quindicina di anni fa, proprio sotto la casa dove abitavo.
Premessa. Un brutto giorno, senza alcun preavviso, comparvero nel quartiere alcuni Hare Krishna, prendendo in affitto un appartamento. Avviso: su indicazione dell’avvocato, dichiaro che tutto quanto segue non è rivolto agli Hare Krishna, bensí esclusivamente al piccolo gruppo in cui ebbi la sfortuna di imbattermi. Fino ad allora avevo nutrito un vero affetto per queste associazioni religiose dedite alla crescita interiore. Come tutte le minoranze, avevano la mia piena comprensione. Non per niente, scopo del movimento era ed è quello di diffondere la «conoscenza spirituale», in particolare la «coscienza di Krishna» tramandata dalle scritture, grazie a uno stile di vita improntato alla sobrietà. Ben presto, però, dovetti ricredermi – su quel piccolo gruppo, dico.
Per prima cosa, appena arrivati, sfondarono la facciata del palazzo, al primo piano, inserendo due enormi condizionatori. Sebbene si trattasse solo di un edificio di inizio Novecento, lo sfregio risultò talmente offensivo che i vigili urbani imposero la rimozione dei macchinari (diciamo meglio: non poterono fare a meno di imporla). Contemporaneamente, quei religiosi aprirono un ristorantino esiziale, ispirato alle loro dottrine latto-vegetariane. Dico esiziale perché, ogni santa notte, lasciavano in mezzo alla strada una marea di immondizia, senza neanche raccoglierla, ma pacificamente sparpagliandola (a mo’ di conoscenza spirituale?)
Era solo il debutto. Da allora, ogni domenica, e talvolta anche durante la settimana, da quei locali cominciarono a salire altissimi canti accompagnati da fiati e percussioni. Il tutto, stupefacente misfatto, amplificato da altoparlanti appositamente collocati sui davanzali, con le finestre spalancate. Strano proselitismo: sebbene finisse per ottenere il risultato opposto, la musica sparata a tutto volume mirava a convertire gli infedeli. D’altronde, tra i sette obiettivi degli Hare Krishna spicca quello di «diffondere il movimento del sankirtana (canto religioso pubblico) fondato dal mistico bengalese del XVI secolo Caitanya».
Per spiegare lo scompenso fra le nobili origini della setta e le spaventose azioni di quei componenti, pensai alla loro possibile estrazione sociale. Alcuni di quei membri, infatti, sembravano provenire dalla piccola criminalità romana, e davano l’idea di aver sostituito un tipo di dipendenza con un altro. Da tossici che avrebbero potuto essere, parevano essersi trasformati in fanatici, intolleranti, fondamentalisti, addirittura piú violenti di prima. Avresti detto – ma io, si badi bene, non lo dissi mai – che ora avevano un dio pronto a giustificare qualsiasi atto di sopraffazione (quanta delicatezza devo usare per non incorrere in querele, ma quanta poca ne usavano loro senza rischiare nulla…) E per la prima volta, mi ritrovai a simpatizzare con i grandi persecutori del passato… Nerone, certo, e dopo, lo stesso Valeriano. Hare, Hare… perché, voi del piccolo gruppo, non vi dedicate a pratiche meno nocive, come scippare i passanti, vendere droga, e, soprattutto, drogarvi, lasciando in pace i poveri vicini?
Se dico questo, è perché posso affermare con buona approssimazione di essere fra i massimi esperti di aggressività mimetica – e qui il pensiero va alla piú buona delle mie amiche, in realtà una sadica sanguinaria che nasconde la sua sconfinata efferatezza dietro un passato trascorso nelle file delle coccinelle (variante femminile degli scouts). Né è un caso che la sua scelta fosse caduta proprio su tale associazione del guidismo italiano.
Come si sa, questi coleotteri dalle vistose livree inducono «un atteggiamento di simpatia anche in chi prova repulsione verso gli insetti in generale, tanto che alcuni li considerano dei portafortuna». Giusto, ma proseguiamo nella wikipedica citazione: «A dispetto dell’apparente inoffensività e dell’aspetto simpatico, quasi tutti i Coccinellidi sono in realtà attivi predatori dotati di una notevole voracità, al punto che sono frequenti i casi di cannibalismo e comportamenti predatori alquanto sofisticati. Per tali motivi, sono tra i piú interessanti predatori impiegati nella lotta biologica» (corsivi miei). Hai capito, la coccinella? Idem la mia amichetta travestita da scout: un leggiadrissimo squalo, ma rosso, e a pallini neri.
Fatto sta che ormai mi oriento bene davanti ad atteggiamenti in apparenza contraddittori quali l’amore del prossimo e la sua sistematica vessazione. Siamo nel grande mondo della «mimicry», ossia del mimetismo animale, basato sulla «capacità di un organismo di imitarne un altro, allo scopo di trarne vantaggio». A questo e a nient’altro equivalgono la dolce coccinella e la buona scout. Perciò, lo devo ammettere, fui sfiorato (ma solo sfiorato) dall’idea di ricondurre quegli Hare Krishna alla categoria dei carnivori camuffati. Se mai avessi accettato tale congettura (subito rigettata), non mi sarei piú chiesto perché alcune persone teoricamente benigne importunassero con tanta acredine il circondario, ma avrei potuto pensare che creature depravate e fameliche avessero assunto l’aspetto di individui pacifici appunto al fine di meglio molestare, con tutta l’acredine possibile, il quartiere. Ipotesi ovviamente campata in aria.
Chiarito questo, però, la situazione rimaneva drammatica. Come uscirne? Provai a parlare con loro. Inutilmente. Mi facevano accomodare, mi offrivano yogurt e succhi, sorridevano guardandomi con un misto di compatimento e compiacimento. Alle mie educatissime richieste di abbassare il volume, rispondevano quieti che, al contrario, avrei «dovuto» amare le loro melodie, oppure, eventualmente, andarmene in campagna. Mai, mai e poi mai, per mia somma fortuna, avevo visto un simile disprezzo per i bisogni, anzi, per l’esistenza altrui (dovevo ancora incontrare i tre suonatori-scimmiette di cui dirò altrove). Il tutto espresso con la massima comprensione, amichevolmente, affettuosamente.
Atroce miscela di soavità e sopruso. Con una serafica grazia, mi esortavano a subire la loro prepotenza, mentre, rivolti ai loro numi di ascendenza sanscrita, intonavano sí, fervide preghiere, ma in un dialetto romano da galera, un gergo in cui rimbombavano minacce e insulti da rissa, con tutte quelle vocali al vocativo da cui sale l’orrore di una lingua che sa essere orrenda come poche – Aoh! Ma va’! Eh? Naaa! See! Mo’! Vabbè…
Capii che era inutile insistere. Allora mi rivolsi alla polizia. Nuova scoperta. Arrivò uno squisito commissario, che mi spiegò come in Italia i culti minoritari godano di un’assoluta (a mio parere talvolta immotivata) impunità rispetto ai rumori molesti. Il rappresentante dell’ordine, figura realmente ammirevole, si offrí addirittura di pagare di tasca propria (sic!) l’installazione di una finestra con doppi vetri – mentre io mi domandavo perché mai gente del genere non fosse di servizio a Bolzaneto… mentre io mi domandavo perché mai quelli di Bolzaneto non fossero di servizio adesso, a Roma… Ma dove siete, perfidi sbirri tremendi, quando c’è da colpire? Mistero. Naturalmente condanno le violenze sotto ogni aspetto, ma visto che molte di esse accadono comunque, che almeno prendano di mira altri violenti! Pie illusioni. Purtroppo l’ingenuo funzionario non aveva capito che quegli Hare-de’-noantri agivano come Hitler al Patto di Monaco, e una volta sistemati gli infissi anti-rumore, li avrebbero immediatamente spalancati per infastidire, purdi infastidire, il circondario e cacciarmi in campagna.
Infine, mi arresi. Partii davvero, in corrispondenza dei loro (ossia di quegli Hare) riti tribali e criminali, toto-nazisti, basati sulla totale, sistemica indifferenza verso gli altri. Finché un bel giorno…

II. Dio c’è, e non ama alcuni Hare Krishna.

Avevano cominciato alle cinque di pomeriggio, e contemporaneamente l’intero rione aveva cessato di vivere, sommerso da una spaventosa risacca di suoni. Quella volta, rimasto a Roma per la febbre, ero alle prese con le lamentele di mia figlia, che non riusciva a studiare per il caos. Furibondo, avvilito, disperato, non sapevo piú cosa fare. Le invocazioni proseguivano come al solito, con gli altoparlanti a tutto volume. Intanto, però, andava accadendo qualcosa; nella rassegnazione generale, si preparava un evento inatteso, inverosimile – l’unico miracolo cui abbia assistito in vita mia.
Senza dare nell’occhio, senza che nessuno ci facesse caso, un uomo anziano si era piantato davanti alla sede dei mostri, a braccia conserte. Era un signore semplice, composto, che iniziò a urlare (no, piuttosto a scandire), un’unica parola: «Basta. Basta. Basta» – lentamente, inesorabilmente, senza fermarsi piú. Se ho tolto il punto esclamativo, è appunto perché, di esclamativo, quell’unico vocabolo non aveva nulla. A rigore, non era neanche un grido, bensí un’asserzione, proferita quasi sottovoce, meglio: una comunicazione di servizio.
Dopo pochi minuti fu raggiunto da una coppia, poi da un gruppo di ragazzi. Il tempo passava e la folla per strada cresceva. Mi affacciai.
In breve, alcuni passanti, fermatisi, avevano cominciato a spalleggiare l’eroe, ma aumentavano, aumentavano sempre piú, e tutti quanti, come per un segreto accordo, andavano cadenzando lo stesso, martellante invito. Il coro, ormai, aveva sopraffatto l’infame musica, anche perché, da innumerevoli finestre, gente di ogni età inveiva sempre piú accesamente. Io restavo affacciato incredulo, stupito. Non riuscivo a capire cosa stava accadendo – in effetti, era impossibile capire cosa stava accadendo. La strada era già piena, la muta minacciava di entrare nel palazzo, magari, chissà, sfondando il portone.
Fu bellissimo. Stavo assistendo alla nascita di quella che Canetti definisce una «massa da capovolgimento»:
Un gran numero di uomini si riuniscono insieme e insieme si rivolgono contro il gruppo di quegli altri in cui riconoscono coloro che per lungo tempo li hanno comandati [nel nostro caso, afflitti, torturati impunemente grazie alla protezione dello Stato]. Se si tratta di soldati, l’avversario sarà l’ufficiale. Se si tratta di lavoratori, l’avversario sarà il padrone. [Se si tratta di quegli Hare Krishna, l’avversario saranno indistintamente tutti i loro componenti]. In quei momenti, classi e caste divengono vere, e agiscono come se fossero composte da eguali. La classe inferiore che è insorta costituisce una massa ovunque congiunta, la classe superiore che si trova minacciata, circondata dalla maggioranza, forma una serie di mute piene d’angoscia e pronte alla fuga [E noi godevamo, storditi, ebbri, felici come i grandi rivoluzionari sulle barricate!]
Una breve precisazione, e il testo prosegue:
Nei casi piú concentrati, quando il capovolgimento si compie a spese di un singolo capo, di un re, è chiarissimo ciò che prova la massa. La fonte ultima di ogni comando era il re [qui sostituito da quel boss sacerdotale]; dignitari e nobili della sua corte erano interessati alla trasmissione e all’esecuzione dei suoi comandi [diretti a molestare l’abitato]. I singoli, di cui si compone la massa insorta, furono per anni tenuti a distanza con la minaccia e costretti all’obbedienza con i divieti. [Non che la nostra situazione fosse poi cosí diversa: l’intera zona doveva accettare, senza fiatare, le prepotenze sonore di quei rappresentanti della minoranza religiosa, magari subendo anche il loro scherno, in caso di rimostranze]. Con una sorta di movimento all’indietro, essi ora eliminano le distanze, penetrano nel palazzo che era loro proibito, considerano da vicino tutto ciò che il palazzo contiene: le sue sale, i suoi mobili, i suoi abitanti. [Peccato davvero, essersi fermati un attimo prima di devastare quel merdificio].
E qui immaginiamo tutti quanti la Reggia di Versailles «penetrata» dai rivoluzionari. Perché tanta violenza? Semplice:
Bisogna pensare a quanto è stato fatto per costringere gli uomini all’obbedienza, a quante spine si sono accumulate in essi per anni e anni [a quanti suoni abbiamo dovuto subire, vomitati dalle loro finestre appositamente spalancate per sommergerci, distruggerci, anzi, convertirci, nazisti maledetti! – ma su questo si veda piú in là la scena di Primo Levi nel Lager].
La vera e propria minaccia che pendeva costantemente sul capo dei sudditi, era una minaccia di morte, rinnovata di tanto in tanto dalle esecuzioni che ne mostravano in modo inequivocabile la gravità. [Sí, esecuzioni, anche se solo musicali. Sto esagerando, ma figuratevi questa minima tortura ripetuta per mesi, per anni, e senza poter fare niente, e nella totale impunità, e con il commissario di polizia che vi invita a pazientare…] C’è un solo modo di rimediare a una simile minaccia: il re che faceva decapitare, verrà a sua volta decapitato. Cosí, la spina suprema, quella che sembra riassumere in sé tutte le altre, viene allontanata da coloro che insieme dovettero portarla in sé [Parole sante].
Il senso del capovolgimento non è sempre cosí chiaro: non sempre il capovolgimento giunge cosí radicalmente all’estremo [Per questo mi ritengo fortunato, e posso dire: «Io c’ero». Benché sia stato solo un coitus interruptus, ci siamo andati davvero vicinissimi]. Ma anche se l’insurrezione fallisce e gli uomini non riescono ad emanciparsi dalle loro spine, essi conserveranno il ricordo del tempo in cui erano massa [Oh sí, che lo conserveranno, e vividissimo]. Quando si trovavano in quella condizione erano, perlomeno, liberi da spine: perciò continueranno sempre ad anelarvi.
Il libro di Canetti prosegue con un capitolo intitolato Il boia soddisfatto. Ciò che conta, però, è che, in queste pagine, la massa rappresenta la possibilità di uscire dalla chiusura nella propria individualità, e liberarsi, sia pure temporaneamente, dei dolori accumulati. Ecco perché, termina l’autore, «il principale avvenimento all’interno della massa è la scarica. Prima non si può dire che la massa davvero esista: essa si costituisce mediante la scarica. All’istante della scarica, i componenti della massa si liberano delle loro differenze e si sentono uguali». Perciò, io posso dire d’aver visto la scarica, la scarica e il suo Santo, come un intrepido monaco tibetano capace di sfidare l’invasore.
E poi? Poi che successe? Purtroppo non lo so. Non so nemmeno se la chiamarono, la polizia. Nemmeno scesi. Ricordo solo che non durò molto: nient’altro. Me ne disinteressai, anche perché non avrei mai potuto immaginare l’esito di quell’incontrollabile scatenamento di energie: nel giro di poche settimane, o addirittura pochi giorni, non solo quegli Hare Krishna smisero di fare rumore, ma se ne andarono, abbandonarono il quartiere – a riprova di come i violenti conoscano soltanto il linguaggio della violenza.
Ah, se lo avessi potuto prevedere! Mi sarei precipitato in basso per abbracciare l’uomo che aveva acceso la miccia, per festeggiare coi miei fratelli di pena, per esultare davanti alla cacciata del tiranno acustico. Perché trascurai cosí colpevolmente un fatto del genere? Semplice: perché non seppi calcolarne la portata. Fu come assistere a un’aurora boreale senza saperlo. Immense forze psico-politiche si squadernarono sotto i miei occhi. Come in un esperimento di f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sopruso: istruzioni per l’uso
  4. Capitolo primo. La Radiografia
  5. Capitolo secondo. La Rivolta
  6. Capitolo terzo. La Rapina
  7. Capitolo quarto. La Raccomandata
  8. Capitolo quinto. Il Rimedio: follia musicale alla maniera di Corelli
  9. Conclusione
  10. Appendice. De roscitudine
  11. Congedo
  12. Riferimenti
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright