Fate come se non ci fossi
eBook - ePub

Fate come se non ci fossi

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Fate come se non ci fossi

Informazioni su questo libro

Zio Michele ride. Non c'è una ragione precisa, col tempo è diventato riso-autonomo.
MARGHERITA... PERCHÉ?: questa la drammatica scritta apparsa su un muro di quartiere, che in pochi giorni fa nascere un serrato dibattito. Lungi dal pensare che si tratti di un dubbio amletico sulla scelta della pizza, tutti indagano sul grido inascoltato, chiedendosi quale disperazione sentimentale possa mai celare. Piero vive nell'attesa spasmodica di fare la battuta giusta, «vuole renderti felice fino ad ammazzarti». Alfonso si presenta ogni giorno in uno studio radiofonico, siede al suo posto, accende il microfono e comincia a parlare. Non va piú in onda da anni, ormai, ma lui parla lo stesso. Sono solo alcuni dei personaggi di questo libro, memorabili, comici, malinconici, alcuni deliberatamente sopra le righe, altri simili al nostro vicino di casa, ma tutti accomunati dal tentativo di vivere e sopravvivere tra i relitti di un mondo ridicolo, sminuzzato, che non può fare a meno di cercare ostinato il suo senso. Uno sguardo caustico e perplesso, profondamente partecipe, quello di Marco Presta, che si tuffa tra gli altri con un triplo carpiato restituendoci un'umanità che ci fa sorridere e pensare, senza giudizio, sí, ma anche senza facili vie di fuga. E nel susseguirsi di episodi esilaranti, pensieri «gradassi», storie e idee di storie, riflessioni ironiche, dinamitarde, luminose, viene fuori il libro di un misantropo gentile, di un uomo che si è buttato nel mondo a modo suo, per raccontarcelo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
Print ISBN
9788806243067
eBook ISBN
9788858432280

Fate come se non ci fossi

Al mio caro papà,
pesce fritto e baccalà.
Mettere in ordine le cose, ecco la chimera.
Gli affetti nell’anima, i pensieri nella testa, i mocassini nella scarpiera.
«È tutto a posto», questa la frase piú potente che troviamo per tranquillizzare una persona cara in un momento difficile.
Ci provo anch’io, come tutti, a dare un’aggiustatina, ad assestare, a tenere in equilibrio. Questo taccuino serve a disporre tutto per bene sugli scaffali.
Alla fine di queste pagine, è evidente, non avremo risolto nulla.
Oggi sono andato a correre al parco. Il sole splendeva, mi ritrovavo un’ora completamente libera, niente dolori alla schiena. Avevo tutto contro, insomma.
Ho cominciato piano, cercando di non passare vicino a nessuno. È un’operazione piú difficile di quanto si pensi: anche in uno spazio grande come piazza San Marco ci sarà sempre qualcuno in grado di pestarti i piedi.
Arrivato a pochi metri dall’area cani, mi sono fermato a riprendere fiato. Nel recinto i quadrupedi fraternizzavano tra loro, giocavano, inseguivano pigne e bastoni lanciati dai padroni.
Isolati dagli altri, calati dentro tute da ginnastica scure, due uomini tenevano al guinzaglio bestie di grossa taglia. Gli animali tiravano, smaniosi di raggiungere gli altri, non si capiva se per ruzzare o per mangiarli.
Mi sono chiesto che appartamenti abbiano quei due, e quali siano i motivi che li hanno spinti a scegliere cani di quel genere, ingombranti come credenze provenzali.
Trent’anni fa ignoravamo certe razze, oggi sono diffuse e rappresentano uno status symbol.
I padroni dei due molossi parlavano gesticolando come vigili urbani in mezzo a un incrocio.
Ho provato a immaginare cosa si dicevano.
TUTA NERA Bello, che razza è?
TUTA BLU Un bovaro antropofago… e il tuo?
TUTA NERA È un mastino sodomita del Caucaso.
TUTA BLU I ciclisti te li mangia?
TUTA NERA Sí, ma io preferisco evitare… portano quelle tutine in acrilico pericolosissime… potrebbero farlo strozzare…
TUTA BLU Hai ragione, è robaccia… del resto, c’è tanta gente in giro che non ama i cani, purtroppo.
TUTA NERA Purtroppo.
Il bovaro dà uno strappo, staccando quasi un braccio al suo padrone.
TUTA BLU L’altro giorno Killer giocava con un bassotto e a un certo punto l’ha inghiottito, ma cosí, per fare amicizia… dovevi vedere la padrona: è impazzita, ha minacciato di chiamare le guardie… insomma, ho dovuto cacciare una mano in gola al cane e tirargli fuori il bassotto!
TUTA NERA Ma dimmi te… è pazzesco: ti fai un cane-preda e poi te la prendi con me che ho un cane-dominio? Ma allora sei scema! È la natura, no? Il pesce grande mangia il pesce piccolo.
TUTA BLU Cani piccoli e bambini sanno solo creare problemi… non puoi girare liberamente, ti rompono le scatole di continuo… «gli metta la museruola», «lo porti al guinzaglio», «non lo faccia avvicinare»… ma se ti dico che il cane è buono! Se è buono è buono, no? Certo, quando parte non si riesce a fermarlo… è come tirare giú un boiler dal quinto piano!
TUTA NERA Bravo! Anche i bambini, per dire… vengono al prato e si mettono a giocare a pallone… è chiaro che il cane si sente provocato. Vede ’sto pallone che rimbalza, gli monta il sangue alla testa, è normale… mah… il vero problema è che non c’è piú amore per le bestie, siamo diventati un popolo d’insensibili… a me quando guardo Attila mi si stringe il cuore… vedo questi occhietti piccoli, iniettati di sangue, che mi fissano… ma come si fa a non volergli bene?
Sarà, ma io, nel dubbio che le due bestiole non abbiano ancora fatto merenda, riprendo a correre.
Non so perché camminare per la strada con un mazzo di fiori in mano mi crei tanto imbarazzo.
Se portassi in spalla un barile di vodka o una lancia watussa, mi sentirei piú a mio agio.
Temo il giudizio delle persone che incontro, specie quando si tratta di conoscenti.
Un mazzo di fiori portato a passeggio è un controsenso, perché rende pubblica una cosa che vorremmo tenere solo per noi, un sentimento per sua natura esclusivo. Quelle rose dicono al mondo: «Sí, io amo e c’è un motivo per il quale ho affrontato questa spesa, però preferirei non dirvelo».
E la leziosità delle confezioni?
Ho l’impressione che tutti mi osservino e percorro la distanza che separa il garage dal mio portone con il passo di un soldato esposto al fuoco nemico. Un povero disgraziato, travolto da una ricorrenza amorosa. I fiori sono rivolti verso il basso, quasi occultati: portarli spavaldamente in giro mi farebbe sentire un buffo, attempato Romeo.
Se ci penso, è assurdo: non mi vergogno di inveire contro un altro automobilista né di dire sciocchezze – alcune sanguinose – davanti a un microfono. Però mi vergogno di portare in mano un bouquet di rose.
Forse perché gli altri, da una certa età in poi, valutano crudelmente la nostra credibilità come amanti. Mentre un ragazzo con un fascio di tulipani suscita sorrisi di tenerezza, un cinquantenne nelle stesse condizioni appare sempre un po’ ridicolo.
Anni fa, il tragico giorno di San Valentino, incontrai il tizio del piano di sopra, un signore che ha una decina d’anni piú di me. Entrambi giravamo armati, lui un mazzo di rose bianche, io camelie, quindi un calibro piú grande. Ci guardammo a vicenda, come due guardie che stanno per darsi il cambio. Eravamo nell’androne del palazzo, tutti e due pensavamo di averla fatta franca.
– Certo, all’età nostra… – disse lui, promuovendomi a suo coetaneo. Poi ci salutammo furtivi e svicolammo verso le rispettive porte di casa.
Si dice che l’amore non abbia età. I formalismi che ne derivano invece sí.
La soluzione consiste nel fregarsene, regalare con tranquillità mazzolini alla propria bella e farle romantiche serenate accompagnati da altri due babbioni con chitarra e mandolino.
Se poi proprio non ce la fate, ricordatevi che si possono sempre mandare i fiori a domicilio.
Qualche giorno fa stavo andando al mare con mia moglie, i sabati invernali hanno un altro sapore quando li trascorri facendo due passi sulla spiaggia e combattendo con un sauté di cozze e vongole.
Guidavo senza fretta sulla statale, il meschino timore degli autovelox aveva lasciato il posto al piú nobile spirito contemplativo, che mi spingeva ad ammirare i monti brulli e scontrosi col sole che si rifletteva sulle pareti delle serre.
A un tratto, sulla mia destra, una grande distesa di fiori gialli. Un mare di testoline dorate che mi accompagnava ammiccando dolcemente con la complicità del vento.
«Bellissimi», ho pensato, ma non ho detto nulla, per non sbriciolare con la banalità di un commento quel piccolo miracolo.
Grazia ed eleganza, ecco le sensazioni che quella vista suscitava in me. Una quiete interiore. Insomma, quello stato d’animo che t’induce a considerare con magnanimità te stesso, i tuoi errori, una visita domenicale di tua suocera.
Mentre la statale mi veniva incontro deserta pensavo ai versi del Poeta.
– Sono ginestre, vero? – ho domandato a mia moglie, incantato.
– È un campo di broccoletti, – ha risposto lei.
Ho schiacciato l’acceleratore e taciuto sino all’arrivo. I fiori, carogne ingannatrici.
Il barbiere Genesio è un mistico, ha piú interrogativi spirituali lui che capelli sulla testa io.
Ieri, mentre lavorava veloce, mi ha chiarito il suo punto di vista sulle grandi religioni e sui loro tentativi di garantire agli esseri umani che non diventeranno semplice terra per i ceci, dopo la morte.
– Allora… una religione ti dice che puoi fare un po’ come ti pare, puoi rubare, puoi mentire, puoi ingroppare la moglie di tuo cugino, basta che alla fine ti penti. Un’altra ti dice che devi darti una ripulita al karma, sennò invece che essere umano rinasci bacherozzo. Un’altra ancora ti dice che quelli che credono nelle altre due sono degli zozzoni infami traditori e bisognerebbe ammazzarli tutti.
Un’analisi teologica lucida, mentre spazza da terra capelli miei e altrui. Soprattutto altrui, purtroppo.
Seduto alle mie spalle, c’è un padre che contempla la testa del figlio, un bambino sui cinque anni. Il piccolo è caduto vittima di un taglio di capelli mortificante, un’imboscata culminata in una cresta che lo fa sembrare un galletto troppo precoce. È un abuso bello e buono: pettinature, orecchini e abbigliamento frutto dell’imbecillità dei genitori, alla quale i piccoli non possono opporsi. Quando avranno l’età della ragione, sarà loro sacrosanto diritto tatuarsi testicoli di toro sulla fronte e vestirsi come Pippi Calzelunghe. Ma durante l’infanzia no, durante l’infanzia vanno salvaguardati. All’uomo seduto dietro di me andrebbe tolta la patria potestà.
Non devo fare cosí, lo so, voglio essere piú tollerante, almeno sforzarmi, è tutta una vita che ci provo.
– Che simpatico taglio di capelli! – dico.
Che le chiome dei padri non ricadano sui figli.
Chi è il vero, grande nemico della specie umana? La sete di potere, l’inquinamento, la guerra, le malattie?
No, è la caldaia.
Un avversario temibile, sempre in agguato. Chiusa nel suo sarcofago metallico sul terrazzo, aspetta. Sa bene che è solo questione di tempo. Prima o poi la battaglia contro l’Umanità avrà luogo.
Mentre leggo disteso sul letto, la voce di mia moglie mi raggiunge dal bagno.
– La caldaia s’è spenta!
La frase è agghiacciante, quasi quanto il getto d’acqua che l’avrà travolta. In casa ci siamo soltanto io e lei, non posso delegare nessuno, sperare in un qualche aiuto risolutivo.
Infilo un maglione ed esco sul terrazzo.
L’antica rivale fa finta di niente, per lei è un giorno come un altro. Apro lo sportello stridente e me la trovo davanti, non ha paura di me e sa dimostrarlo.
Una luce lampeggia, una minuscola spia palpitante che sembra l’unico segno di vita in questa creatura malvagia. Premo il pulsante lí vicino ma non succede niente, il mio esorcismo non procura nessun effetto alla piccola indemoniata meccanica. Giro la manopolina blu che ha sotto, sfruttando una competenza approfondita: l’ho visto fare una volta a un tecnico dell’assistenza.
Nelle viscere della Bestia non avverto reazioni. La mia insofferenza per ogni forma di tecnologia sta per sbaragliarmi, sento forte la voglia di gettare la spugna e fare docce fredde per il resto della mia esistenza. Tutto sommato, tonificano. Ma lei sta aspettando che il cavaliere sconfigga il drago e che l’acqua calda torni a sgorgare da quella cipolla maledetta.
Tocco un piccolo tasto sul display, una luce verde si accende per spegnersi immediatamente. Una vita breve ma inutile.
Sono già dieci minuti che armeggio intorno a questo moloch irriducibile, ma il mio assedio non ha aperto neanche una breccia.
Allora premo a casaccio tutto quello che ho davanti: tasti, interruttori, pulsanti. La caldaia ha un sussulto, non se l’aspettava. S’illuminano due indicatori, Dio solo sa di cosa.
O esplode o riparte, mi dico.
Sento un flusso d’acqua che scorre all’interno della Creatura, un altro sussulto la scuote e io resto istupidito a guardarla.
Poi rientro in casa.
Dopo qualche minuto, mia moglie esce dal bagno in accappatoio.
– Meno male che c’eri tu. Io non ci capisco niente!
Un incapace centrato da un colpo di fortuna. In fin dei conti, sono un simbolo dei tempi che viviamo.
Mi hanno invitato alla festa per i centocinquant’anni di un quotidiano. Io, immediatamente, sono stato assalito dalla gratitudine del diseredato: non lo merito ma parteciperò, grazie, grazie a tutti. La serata si svolge a Cinecittà. Per raggiungere il grande studio che ospiterà la manifestazione attraverso un villaggio western, poi un piccolo spiazzo pieno di colonne e ruderi in polistirolo. L’informazione, come il cinema, in fondo è il frutto di un allestimento. Il rispetto della realtà, in entrambi i settori, non è un obbligo assoluto. Arrivo a destinazione. Nell’enorme studio, che un tempo ha ospitato le riprese dei film, sono state disposte sette file di sedie, destinate ad accogliere gli invitati secondo una rigida gerarchia. Sette file che esprimono con barbara schiettezza la crudele divisione in caste della nostra democrazia. In prima fila ci sono le cariche istituzionali, un paio di ministri e una manciata d’onorevoli. In seconda, ufficiali dei Carabinieri, dell’Esercito, della Finanza e qualche prelato sfuso. In terza riconosco personaggi dello spettacolo, attori, un regista che si autocelebra. Intorno a me c’è un movimento continuo, sembra che tutti ricordino proprio adesso di dover fare qualcosa d’importante. Molti si salutano con cordialità trattenuta, una veloce stretta di mano e un sorriso provvisorio. In quarta fila individuo giornalisti, opinionisti, portatori sani di punti di vista e di analisi approfondite. Dietro, personaggi che non saprei classificare, esemplari di specie che non ho ancora scoperto, u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Fate come se non ci fossi
  4. Il libro
  5. L’autore
  6. Dello stesso autore
  7. Copyright