La Finlandia è un paese della Penisola scandinava posto fra la Svezia a occidente e la Russia a oriente, abitato da sei milioni di persone. All’inizio dell’Ottocento non era ancora una nazione indipendente bensí una semplice (e per giunta povera) provincia autonoma dell’Impero russo, assai marginale nel contesto politico europeo e praticamente invisibile in quello mondiale. Piú di un secolo dopo, all’inizio del secondo conflitto mondiale, era ancora povera ma era diventata indipendente, con un’economia imperniata sulle produzioni agricole e forestali. Oggi invece la Finlandia è uno dei paesi piú ricchi del mondo, con un reddito pro capite paragonabile a quelli della Germania e della Svezia e un’economia all’avanguardia nel settore industriale e tecnologico. La sua sicurezza poggia su un evidente paradosso: quello di una socialdemocrazia liberale che per decenni ha intrattenuto cordialissime relazioni con l’Unione Sovietica comunista e ora fa altrettanto con la Russia autocratica. L’insieme di questi elementi è l’eccellente risultato di un cambiamento selettivo.
Se visitando la Finlandia per la prima volta voleste farvi un’idea del popolo finlandese e della sua storia, un buon punto di partenza sarebbe senza dubbio il cimitero di Hietaniemi, il piú grande di Helsinki. A differenza degli Stati Uniti, dove le spoglie dei soldati sono custodite poco lontano dalla Casa Bianca nel cimitero militare di Arlington e in altri cimiteri militari sparsi nel paese, la Finlandia non seppellisce i suoi combattenti in luoghi appositi: le salme dei caduti vengono infatti tumulate nei camposanti delle rispettive città o parrocchie di appartenenza. L’ampia sezione del cimitero di Hietaniemi che ospita le tombe dei militari di Helsinki occupa un posto di riguardo sulla stessa altura ove sono sepolti i presidenti della repubblica e altri importanti leader politici, nelle immediate vicinanze del monumento funebre al generale Carl Gustaf Mannerheim (1867-1951).
La prima cosa che noterete mentre andate verso il cimitero è che i nomi delle vie e le scritte sui cartelloni pubblicitari sono del tutto incomprensibili (tav. 2). La maggior parte delle lingue del Vecchio Continente ha una comune origine indoeuropea che, ovunque voi andiate in Europa, vi permette quasi sempre di identificare qualche parola anche se non conoscete affatto la lingua locale. Persino in Lituania, in Polonia e in Islanda sareste in grado di decifrare alcuni segnali stradali o scritte pubblicitarie, ma in Finlandia no: il finlandese, infatti, è una delle pochissime lingue europee non imparentate con la famiglia indoeuropea.
Appena giungerete a destinazione, la seconda cosa che vi colpirà sarà la sobria bellezza del luogo. La Finlandia è famosa nel mondo per la maestria dei suoi architetti e designer, che sanno produrre effetti meravigliosi con i mezzi piú semplici. Ricordo che durante la mia prima visita laggiú venni accolto nel salotto di una delle famiglie che mi ospitavano e d’istinto pensai: «È la stanza piú bella che io abbia mai visto!» Mi chiesi in seguito da dove fosse scaturita quell’impressione: a parte un paio di mobili molto essenziali, il salotto era in effetti alquanto spoglio, ma la bellezza dello stile finlandese risiede precisamente nella semplicità dei materiali e nella pulizia delle linee.
La sezione del cimitero di Hietaniemi dedicata ai militari ospita moltissime tombe: ne ho contate piú di tremila, disposte in file parallele che seguono un tracciato curvilineo. Le circonda una parete alta circa un metro e venti, lunga svariate decine di metri e suddivisa in cinquantacinque pannelli, ognuno dei quali riporta i nomi – piú di settecento in tutto – dei dispersi i cui corpi non sono mai stati ritrovati; poco lontano sorge un altro monumento in ricordo degli innumerevoli combattenti morti nelle prigioni nemiche. Ma i soldati che riposano nel cimitero di Hietaniemi, come già detto, sono soltanto quelli residenti a Helsinki: per farsi un’idea di quanti finlandesi abbiano sacrificato la vita per la patria bisogna considerare che tutti i cimiteri delle altre città e parrocchie hanno una parte dedicata ai caduti in guerra.
Proseguendo nella vostra visita, vi soffermerete a osservare le iscrizioni sulle lapidi. La difficoltà della lingua vi impedirà di decifrare gli epitaffi, ma se non altro potrete riconoscere nomi, cognomi, luoghi e date. Scoprirete cosí che tutti quei soldati sono morti fra il 1939 e il 1944, durante la seconda guerra mondiale; e dal momento che parecchi di loro erano nati tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, ne dedurrete che la maggior parte dei militari sepolti nel cimitero di Hietaniemi ha perso la vita intorno ai venti o trent’anni. Se tuttavia continuerete ad aggirarvi fra le tombe, vi accorgerete con stupore che tra i caduti in guerra vi sono anche molti cinquantenni e adolescenti. Per esempio, la lapide sulla tomba di Johan Viktor Pahlsten, nato il 4 agosto del 1885, ci dice che fu ucciso pochi giorni dopo il suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 agosto del 1941; e Klara Lappalainen, nata il 30 luglio del 1888, morí il 19 ottobre del 1943 a cinquantacinque anni compiuti. All’estremità opposta della scala anagrafica, il soldato volontario Lauri Martti Hämäläinen, nato il 22 luglio del 1929, perse la vita a cinque settimane dal suo quattordicesimo compleanno, il 15 giugno del 1943. Ma perché, vi domanderete, la Finlandia chiamava alle armi non soltanto i ventenni come sarebbe normale, ma anche uomini e donne sulla cinquantina, per non parlare degli adolescenti (tav. 3)?
Osservando ancora le lapidi noterete poi che le morti si concentrano in tempi e luoghi ben definiti: tanti di quei soldati caddero in combattimento tra la fine di febbraio e i primi di marzo del 1940, oppure nell’agosto del 1941, e ancora tra giugno e agosto del 1944, quasi tutti a Viipuri o in località che un finlandese potrà indicarvi come vicine: Syväri, Kannas, Ihantola. A quel punto non potrete fare a meno di domandarvi cosa sia successo di tanto grave nei dintorni di Viipuri, e perché moltissimi soldati finlandesi siano rimasti uccisi laggiú in quei brevi lassi di tempo.
La spiegazione è questa: Viipuri, in passato la seconda città della Finlandia, fu ceduta all’Unione Sovietica insieme a una parte di territorio finlandese (circa un decimo del totale) a seguito di due sanguinose guerre combattute prima nell’inverno del 1939-40, poi tra il 1941 e il 1944. Tutto ebbe inizio nell’ottobre del 1939, quando il governo di Mosca avanzò pretese territoriali su quattro paesi baltici: Estonia, Lettonia, Lituania e, per l’appunto, Finlandia. Quest’ultima, pur consapevole che il suo arrogante vicino aveva una potenza bellica smisurata e una popolazione cinquanta volte piú numerosa, fu l’unica a non sottomettersi. Malgrado l’evidente disparità delle forze in campo, resisté al nemico con una tenacia che le permise infine di restare indipendente, anche se la sua stessa esistenza fu a lungo minacciata da una serie di crisi che si protrassero per un decennio. Le forze armate finlandesi subirono le perdite piú ingenti proprio nelle date che avrete visto comparire con maggiore frequenza sulle lapidi di Hietaniemi: tra febbraio e marzo 1940, cioè quando l’esercito sovietico diede l’assalto a Viipuri; poi nell’agosto del 1941, quando i finlandesi riconquistarono la città; e infine nell’estate del 1944, quando Viipuri venne travolta da una nuova avanzata dell’Armata Rossa (tavv. 4 e 5).
Quasi centomila finlandesi, in gran parte uomini, persero la vita combattendo contro l’Unione Sovietica. Agli americani dei nostri giorni, ai giapponesi e agli europei che ben ricordano le centomila vittime prodotte in poche ore dai bombardamenti di Hiroshima, Amburgo e Tōkyō e gli oltre venti milioni di perdite subite dall’Unione Sovietica e dalla Cina durante l’intero secondo conflitto mondiale, centomila caduti in cinque anni di guerra sembreranno tutto sommato pochi. Bisogna però considerare che all’epoca la Finlandia aveva una popolazione di 3 700 000 persone: quei centomila morti equivalgono quindi al 2,5% dei suoi abitanti di allora e al 5% della popolazione maschile. Fatte le debite proporzioni, è come se al giorno d’oggi nove milioni di americani fossero uccisi in un conflitto, quando in realtà tutte le guerre combattute dagli Usa nei duecentoquaranta anni della loro storia hanno causato un numero di vittime di quasi dieci volte inferiore. L’ultima volta che sono stato a Hietaniemi era il 14 maggio 2017, una domenica. A piú di settant’anni dalla sepoltura dell’ultimo soldato il cimitero delle vittime di guerra era tutt’altro che deserto, e c’erano fiori freschi su molte tombe. Mentre scambiavo qualche parola con un gruppetto di quattro persone ho avuto modo di constatare che il piú anziano di loro aveva all’incirca una quarantina d’anni: il soldato a cui era venuto a rendere omaggio non poteva quindi essere un padre, ma piú probabilmente un nonno, se non addirittura un bisnonno. Alle mie osservazioni su quanto fosse frequentato il cimitero e sull’intensità del ricordo di chi veniva lí a posare un fiore, mi sentii rispondere: «Non c’è una sola famiglia in Finlandia che non abbia perduto qualcuno, a quei tempi».
La mia prima visita in Finlandia risale all’estate del 1959, cioè a soli quindici anni dalla fine della guerra contro l’Unione Sovietica e a quattro dallo smantellamento della base militare che i sovietici avevano insediato in territorio finlandese a poca distanza da Helsinki. Gli amici che mi ospitavano avevano vicende personali legate a filo doppio con la storia del loro paese: erano reduci, vedove e figli di quella guerra, oppure militari ancora in servizio attivo. Dopo qualche tempo dal mio arrivo riuscii a padroneggiare il finlandese quanto bastava per cavarmi d’impaccio come turista, per capire in che modo quella lingua meravigliosa contribuisse a plasmare il senso dell’unicità di quel popolo e a far esplodere la crisi esistenziale che ho raccontato nel capitolo precedente. Ai miei lettori che invece non abbiano la fortuna di conoscere direttamente la realtà della Finlandia raccomando di leggere le prossime pagine nella prospettiva di alcuni fattori che nei capitoli precedenti ho indicato come essenziali per il superamento delle crisi: forte senso dell’identità nazionale, valutazione spietatamente realistica della situazione geopolitica, capacità di attuare cambiamenti selettivi (che nel caso specifico, come già detto, furono solo in apparenza paradossali). Un altro dato da non perdere di vista è la capacità dimostrata dalla Finlandia di volgere a proprio favore alcuni indubbi svantaggi: l’assenza di alternative realistiche, la mancanza di alleati disposti a correre in aiuto nei momenti decisivi e la carenza di modelli positivi da cui trarre insegnamento.
La Finlandia ha forti legami con la Scandinavia ed è considerata parte integrante di quella regione. Come i loro vicini svedesi e norvegesi, in effetti, molti finlandesi sono biondi e hanno gli occhi azzurri, ed è vero che dal punto di vista genetico la popolazione è composta per il 75% da persone di origine scandinava e solo per il 25% da discendenti degli invasori venuti dall’Est. Ciononostante la Finlandia è orgogliosamente diversa dai vicini scandinavi tanto sul piano geografico quanto su quello linguistico e culturale. Quando descrivono il territorio del loro paese i finlandesi insistono soprattutto su due elementi: «Siamo un paese piccolo, – dicono, – e la nostra geografia non cambierà mai». La seconda asserzione allude al fatto che il confine di terra tra Finlandia e Russia, rimasto immutato anche dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, è piú lungo di qualunque frontiera che separi la Russia dalle altre nazioni europee. In effetti la Finlandia è una sorta di zona cuscinetto tra gli altri paesi della Penisola scandinava e il suo potente vicino dell’Est.
In Europa si parlano quasi cento lingue, perlopiú imparentate fra loro tramite la grande famiglia delle lingue indoeuropee, a eccezione del basco, che fa parte per sé stesso, e di altre quattro: il finlandese e l’estone, molto simili tra loro; l’ungherese, e infine il gruppo delle lingue sami o lapponi. Finlandese, estone, ungherese e lingue sami fanno parte della famiglia ugro-finnica. Il finlandese è una lingua bellissima, ed è il nucleo dell’orgoglio e dell’identità della Finlandia. Il poema epico Kalevala ha, nella letteratura di quel paese, un’importanza ancora maggiore di quella delle opere di Shakespeare nella letteratura anglosassone. Alle orecchie di uno straniero la lingua finlandese suona non solo bellissima e molto melodica, ma anche molto, molto difficile. Uno degli aspetti che la rendono impervia è il lessico: poiché non è una lingua indoeuropea, le radici delle sue parole non hanno proprio nulla di familiare e chi vuole imparare la lingua non ha altra scelta fuorché memorizzarle una a una.
Anche i suoni e la grammatica del finlandese non sono affatto semplici. La consonante k è frequentissima, al punto che nel mio dizionario finlandese-inglese ben trentuno pagine su duecento sono riservate a parole che iniziano con quella lettera. Un altro ottimo esempio sono questi versi tratti dal Kalevala:
Kullervo, Kalervon poika,
sinisukka äijön lapsi,
hivus keltainen, korea,
kengän kauto kaunokainen1.
Personalmente non ho nulla contro le k: il problema è che nel finlandese, a differenza dell’inglese, certe consonanti hanno un suono diverso a seconda che siano doppie (come kk) o singole. Ricordo bene l’imbarazzo dei miei pazientissimi ospiti e la fatica con cui decifravano i miei brevi e per fortuna rari discorsetti nella loro lingua. Le conseguenze di una pronuncia errata potrebbero addirittura essere spiacevoli: per esempio il verbo che significa «darsi appuntamento» è tapaa, con una sola p, mentre il verbo tappaa (con due p) significa «uccidere». Se mai doveste chiedere a un finlandese di darvi appuntamento in un certo luogo, il mio consiglio è di fare attenzione a come pronunciate il verbo.
Come le consonanti, anche le vocali possono essere lunghe o corte. La parola raja, per esempio, ha la prima a breve e significa «confine», mentre raaja, con la prima a lunga, significa «arto»: me ne ricordo bene perché un giorno, sul limitare di un parco finlandese, un mio errore di pronuncia ha generato un equivoco divertente. Inoltre la a, la o e la u hanno varianti anteriori o posteriori, cioè si possono articolare con il davanti o il retro della bocca; la pronuncia anteriore della a e della o è indicata da un segno diacritico (ä, ö), mentre il suono anteriore della u corrisponde alla consonante y. In base alla regola dell’armonia vocalica, poi, all’interno di una stessa parola possono esserci soltanto vocali di un tipo o dell’altro: per esempio una parola molto usata come yötä, che significa «sera», ha soltanto vocali anteriori, mentre uoma («alveo del fiume») ha solo vocali posteriori.
Ma non è finita qui: se i quattro casi grammaticali del tedesco o i sei del latino vi gettano nello sconforto, sappiate che il finlandese ne ha addirittura quindici, molti dei quali esprimono concetti che in inglese o nelle altre lingue europee piú comuni sono veicolati dalle preposizioni. Uno dei momenti piú divertenti della mia prima visita in Finlandia fu quando un militare che non parlava inglese mi insegnò i sei casi locativi corrispondenti alle preposizioni sopra (con e senza contatto), sotto, dentro (stato in luogo e moto a luogo) e fuori da indicandomi per prima cosa un tavolo (pöytä) sul quale (pöydällä: osservate l’armonia vocalica!) era posata una tazza, quindi mostrandomi un chiodo con la punta infilata dentro il tavolo (pöydässä), muovendo la tazza sopra (pöydälle) o sotto (pöydältä) il tavolo, e infine affondando il chiodo nel tavolo (pöytään) o tirandolo fuori (pöydästä).
Degli altri nove casi grammaticali, quelli di piú difficile comprensione per gli stranieri sono l’accusativo e il partitivo. Poiché il latino e il tedesco non hanno un caso grammaticale a parte per esprimere il complemento oggetto partitivo, tutti i complementi diretti si esprimono con l’accusativo: per esempio «Io colpisco la palla» diventerà, in tedesco, Ich schlage den Ball. Il finlandese, invece, distingue tra verbi che «fanno qualcosa» a un oggetto nella sua interezza (accusativo semplice) o soltanto a una parte (caso partitivo). Tornando all’esempio di prima, non è difficile stabilire se si colpisce tutta la palla o soltanto una parte; ma le cose si fanno piú complicate se l’oggetto del verbo è un nome astratto. Per esempio, se avete avuto un’idea e volete dirlo in finlandese, dovrete innanzitutto stabilire se si tratta di un’idea completamente nuova o se invece è un’aggiunta a qualcosa che avevate già pensato e, in questo secondo caso, declinare la parola «idea» al caso partitivo. Durante il mio primo soggiorno fui ospite di un signore di origine svedese che parlava benissimo tanto la sua lingua madre quanto il finlandese. Il mio gentile amico mi raccontò che, nonostante i ripetuti tentativi, non era mai riuscito a trovare impiego in un ente pubblico finlandese perché all’epoca tutti i concorsi includevano una prova di lingua svedese e una di finlandese, e una sola scelta sbagliata tra accusativo e partitivo bastava a compromettere l’esito dell’esame e dell’intero concorso.
Malgrado la sua indubbia difficoltà il finlandese resta comunque una lingua bellissima e molto particolare, anche se pochissimo parlata al di fuori dei confini nazionali. Gli abitanti della penisola ne vanno orgogliosi e la considerano elemento fondante di un’identità nazionale in nome della quale tantissimi compatrioti hanno sacrificato la vita nelle guerre contro l’Unione Sovietica.
Il senso di comune appartenenza di questo popolo si fonda anche sull’eredità di alcuni personaggi illustri: musicisti, architetti, disegnatori, atleti. Jean Sibelius, autore dell’inno nazionale e di molte altre opere musicali, è considerato uno dei maggiori compositori del XX secolo, e tutto il mondo conosce gli architetti e i disegnatori finlandesi. Ai miei lettori americani, per esempio, saranno certamente familiari la Porta verso l’Ovest di St. Louis, l’aerostazione principale dell’aeroporto Dulles di Washington e il terminal Twa dell’aeroporto Kennedy di New York, tutti progettati dall’architetto di origine finlandese Eero Saarinen. La Finlandia è solo uno dei tanti piccoli stati nati all’indomani della prima guerra mondiale per volere degli alleati vittoriosi, eppure ha vantato fin dall’inizio un’identità ben precisa: era la patria di Sibelius e del famoso Paavo Nurmi, soprannominato «il finlandese volante» per i molti record conquistati nella corsa. Alle olimpiadi del 1924 Nurmi vinse due medaglie d’oro nello stesso giorno e ad appena un’ora di distanza, nelle specialità dei 1500 e dei 5000 metri, registrando in entrambi i casi nuovi record olimpici; due giorni dopo conquistò l’oro nella corsa campestre sui 10 000 metri, e il giorno successivo vinse ancora nei 3000 metri. Il suo record mondiale sulla distanza del miglio rimase imbattuto per otto anni. Oltre alle opere dei musicisti, degli architetti e dei disegnatori, anche le imprese sportive di Paavo Nurmi e di altri famosi atleti hanno dunque contribuito a «portare la Finlandia sulla mappa mondiale», rafforzando il senso dell’identità e l’orgoglio nazionale degli abitanti: un popolo talmente orgoglioso della propria individualità da opporsi alla soverchiante potenza militare dell’Unione Sovietica.
Le popolazioni preistoriche che svariate migliaia di anni or sono si insediarono sul suolo dell’attuale Finlandia parlavano già una lingua proto-finnica. Fin dall’inizio dell’epoca storica (cioè dopo la redazione del primo documento in finlandese, intorno al 1100) la regione fu lungamente contesa tra Svezia e Russia: gli svedesi ebbero la meglio per alcuni secoli, dopodiché nel 1809 la Finlandia fu annessa all’Impero russo. Per gran parte del XIX secolo gli zar le concessero ampia autonomia: i finlandesi poterono conservare la loro lingua nazionale, un parlamento e una moneta propri. Le cose cambiarono qu...