Luogo e momento ci lasciarono perplessi. In pieno giorno, nella parte piú ricca di Manhattan. Non in un posto del cazzo come il Queens, con la partecipazione di Alvin Mitchell detto «il Mostro».
Era successo un mese prima. E vai con il «Daily News»: Adolescente confessa omicidio di ragazza del Queens.
Il Mostro apparteneva a una gang giovanile. Venerdà sera, e niente rissa. Allora andò in cerca di fica e restò al verde. Si ubriacò con un amico. Si introdussero nella scuola pubblica 177 e rubarono palloni da pallavolo e da football, e un paio di forbici. L’amico rubò una Chevy del ’61. Il Mostro sapeva di una ragazza che era andata a casa con un’amica. 140ma Avenue. Barbara Kralik e un’altra, una quindicenne.
Rimosse una porta a zanzariera e salà al piano di sopra. Barbara si svegliò e si mise a urlare. Il Mostro la pugnalò a morte con le forbici e fuggÃ.
Stupido e prevedibile. Ma non era successo all’angolo tra l’88ma e Park, in un palazzo con il portiere. Le vittime non erano della media borghesia.
Janice ed Emily avevano tutto un pedigree. Cosà come Pat Tolles, la compagna di stanza superstite. Janice lavorava a «Newsweek». Pat alla sezione ricerche della Time-Life. Emily doveva cominciare un lavoro da insegnante in autunno.
Janice aveva ventun anni. Pat ed Emily ventitre. «Ragazze in carriera», almeno per il momento. Il pedigree è un destino. Si sarebbero sposate presto e bene, di sicuro. Matrimoni di alto livello.
Mercoledà 28 agosto 1963.
La data era memorabile: la marcia per i diritti civili a Washington, al grido di «Freedom now!» e «We shall overcome!» La capitale stipata di idealisti. Copertura televisiva ininterrotta per tutto il giorno.
Ci andarono cinquantamila «manhattanesi». La grande città diventò una città fantasma. Le ragazze in carriera restarono a casa.
Pat scarpinò fino alla Time-Life. Emily uscà per commissioni. Janice aveva scambiato il turno con una collega. Doveva timbrare alle 11.00.
Ma non si fece vedere. Agitazione in ufficio. Un’assistente chiamò l’appartamento delle tre ragazze ma non rispose nessuno. Allora telefonò alla madre di Janice. La signora Wylie e il marito vivevano in due appartamenti adiacenti.
La signora restò perplessa. Non sapeva dove fosse la figlia. Diede all’assistente il numero dell’ufficio di Pat Tolles e la chiamò subito anche lei.
Pat restò perplessa. Chiamò Susan Rothenberg, un’amica di Emily che aveva appuntamento a pranzo con lei. Ma Susan rispose che Emily non si era fatta vedere. Pat le disse che stava cercando Janice Wylie, e le chiese di dire a Emily di chiamarla, se avesse avuto notizie.
La giornata fu un susseguirsi di telefonate contrariate e di linee che cadevano. Pat Tolles tornò a casa in metropolitana e arrivò alle 18.25. Venerdà sarebbe stata materiale da prima pagina. E vai con il «Daily News»: Caccia al pazzo che ha ucciso due ragazze. La foto di Pat, addolorata, appena sotto la metà pagina. Condivide lo spazio con Alvin Mitchell. Il Mostro è in chiaroscuro ed emana vibrazioni da maniaco sessuale adolescente.
Pat entrò nel palazzo e salà in ascensore al terzo piano. Aprà la porta del 3C. L’appartamento era silenzioso, l’unica luce era quella del crepuscolo, una luce da «nessuno in casa».
Una porta di servizio della cucina era socchiusa. Pat ricordava di averla chiusa prima di uscire. Sul corridoio centrale si aprivano due camere da letto. Una era quella di Emily, con due letti. L’altra era quella che Pat condivideva con Janice. Dalla stanza di Emily usciva una striscia di luce. Pat entrò e vide questo:
Vestiti, libri, carte e lettere sul pavimento. Due valigie aperte sul letto vicino al corridoio. Niente lenzuola sul letto accanto alla finestra.
Cassetti aperti e il contenuto per terra: monete, pacchetti di sigarette, bigodini.
Pat indietreggiò. Entrò in bagno, proprio di fronte. E vide questo:
Un coltello sulla mensola sopra il lavandino. Manico di legno / lama di trenta centimetri / striscia di sangue.
Corse in cucina. Chiamò il suo ragazzo e gli disse cosa aveva visto. Lui le assicurò che sarebbe arrivato al piú presto. Pat riappese e chiamò il Ventitreesimo distretto. Le passarono il detective Martin Zinkand. Gli disse cosa aveva visto. Il detective le assicurò che sarebbero arrivati immediatamente. Pat allora chiamò la famiglia Wylie.
Il signor Wylie disse che sarebbe arrivato subito. Pat riappese e corse di sotto.
Attese fuori dall’edificio, poi s’innervosà e tornò dentro. Si mise ad aspettare davanti alla porta dell’appartamento 3C.
Arrivarono i Wylie. Max Wylie prese il comando della situazione. Era quel tipo di persona.
Perquisà la stanza di Emily, senza fare una piega.
Saremmo dovuti arrivare noi per primi. Avremmo potuto impedirgli di entrare. Max Wylie si suicidò dodici anni dopo. Avremmo potuto evitargli quei ricordi fin dall’inizio.
Convergemmo tutti sull’appartamento. L’annuncio fu diramato via radio e presto nel 3C ci furono solo posti in piedi.
Arrivarono i poliziotti di pattuglia. Arrivarono Marty Zinkand e John Lynch. Arrivò il capo dei detective Larry McKearney. Altri poliziotti di rilievo si presentarono in massa.
Arrivarono anche i fotografi e i tecnici della polizia. La camera di Emily era l’epicentro. Il detective Lynch fece l’inventario. E notò questo:
I due letti, i vestiti sul pavimento, insieme a libri e carte. Le valigie sul letto. I cassetti aperti e rovesciati.
Esattamente ciò che aveva visto Pat. Ora a quello aggiungete questo:
Nello stretto spazio tra il letto piú lontano e il muro esterno. Due corpi, sotto una coperta di lana blu. Era stato Max Wylie a coprirli e poi si era dimenticato di averlo fatto.
Il detective Lynch sollevò la coperta. Emily era vestita. Janice era supina. Le caviglie erano strette da un tessuto bianco. Le cosce erano striate di sangue secco. Era stata sventrata. L’intestino era sparso sull’addome.
Anche i polsi erano legati con un tessuto. C’era sangue su viso e collo. Sul petto, una ferita da taglio.
Emily indossava una gonna verde. Gli indumenti che coprivano il torso erano inzuppati di sangue. Il viso era voltato verso Janice. Anche lei aveva polsi e caviglie legati con pezzi di tessuto bianco. E le due ragazze erano unite da strisce di copriletto verde, annodate agli avambracci e ai polsi.
Sopra il termosifone là accanto: due coltelli da carne, con le lame spezzate.
Sul pavimento:
La punta di un coltello. Un barattolo aperto di crema per la pelle Noxzema. Poco piú in là , il coperchio del barattolo.
Aggiungete questo a quello:
Il collo spezzato di una Pepsi. Un copriletto verde. Un assorbente. Un paio di mutandine nere. Strisce di lenzuolo inzuppate di sangue. Gli occhiali insanguinati di Emily. Un altro pezzo di lama di coltello.
Schegge di vetro. Una radiosveglia con la spina staccata, ferma sulle 10.37.
Arrivò l’assistente del medico legale. Esaminò i cadaveri e notò questo:
Sette pugnalate al cuore di Janice. Noxzema spalmata sui genitali.
La gola tagliata di Emily. Ferite da difesa su polsi e mani, che indicavano aggressione e lotta.
Il medico legale scrisse tutto. I tecnici rilevarono impronte. I fotografi scattarono foto.
Max Wylie chiamò i genitori di Emily a Edina, in Minnesota. Arrivò un’ambulanza. Quattro uomini caricarono i cadaveri e li portarono all’obitorio.
È l’una e trenta del mattino. GiovedÃ, 29/8/63.
Il «Post» si avventò sulla storia. Il titolo di giovedÃ: Sentiti gli amici delle ragazze massacrate. A pagina 3, due note biografiche romanzate. Quella di Janice era piú lunga.
Emily non era né carne, né pesce, «il suo sogno era insegnare». Janice era il piatto forte. L’artistoide con il lavoro figo a «Newsweek».
Anche l’articolo dedicava a Janice il doppio dello spazio. E dava il la a tutta la faccenda. Lodi a Janice da parte di Max Wylie e sua sorella Pamela. Era una ragazza con stile e talento. Era la star delle recite scolastiche e degli spettacoli teatrali estivi. Faceva un po’ di teatro.
È l’imprimatur artistico dei Wylie. Max Wylie, romanziere, commediografo, pubblicitario. Fratello di Philip, critico letterario e autore di Generazione di vipere. Max Wylie dava l’impressione di essere devastato dal dolore e poco sincero. Ma una frase suonava vera: «Lei non si stancava mai, nulla poteva sfinirla, continuava ad andare avanti, tutto il tempo».
TILT.
NOI ci comportammo nello stesso modo: ci mettemmo subito dietro a Janice e al bastardo malvagio che l’aveva uccisa. Janice sembrava la vittima principale, Emily sembrava secondaria.
La vibrazione era quella di un caso in cui lavorare all’indietro, partendo dalle ragazze e controllando i loro amici, rivali, amanti accettati o rifiutati, persone con eventuali rancori verso di loro.
Facemmo un porta a porta, cominciando dai vicini di casa. Passammo al pettine tutti i nove piani del numero 57 della 88ma Est. Nessuna pista decente. Il cortile posteriore confinava con alcuni palazzi sulla 89ma. Ci fornirono delle piste, ma era tutta fuffa. Risultato: nessuno aveva visto o sentito un cazzo.
Esaminammo l’edificio. Il detective Lynch perlustrò tutta l’area. Pat Tolles al mattino aveva lasciato chiusa a chiave la porta di servizio della cucina e l’aveva trovata socchiusa al ritorno.
Una scala di servizio fuori da quella porta scendeva nell’atrio e in cantina. La porta di servizio dell’atrio non aveva la maniglia esterna e impediva l’accesso ai piani superiori. Due porte nel seminterrato conducevano in cortile. Erano tutte e due aperte. Dalla cucina del 3C al pianterreno c’erano almeno dodici metri. Perciò la finestra come via d’entrata o d’uscita era fuori questione.
Restava la porta. Janice e/o Emily avevano fatto entrare l’assassino. O un ladro aveva forzato la serratura.
La facemmo esaminare da un detective specializzato in case e casseforti, il quale con un microscopio trovò graffi sul bordo inferiore e superiore della molla.
Eppure…
Nulla faceva pensare a uno scassinatore, ma a una FURIA PASSIONALE.
L’edificio aveva una portineria, con turni dal mattino presto fino alle dieci di sera. Torchiammo i portieri del primo e dell’ultimo turno, ma zero. Quindi passammo ai garzoni delle consegne, ai tuttofare che lavoravano nel palazzo. Forse uno di loro aveva fatto qualche riparazi...