Giovani donne ferite da Amore
che della mente cercate la cura
per lenire qualche interno dolore
ascoltate di Sofia l’avventura.
In forma di romanzo e di ballata
Sofia si prova a vincere la morte.
Chi è l’amore? Che cos’è la morte?
D’amore e vita inizia la cantata.
1
Avendo gusto Ercole e Sofia a inventarsi giochi e avventure – verso Aprile del 1939 fecero la prova di fingersi mendicanti.
Acquattati sull’argine – là dove s’incrociano i fiumi e la città comincia – quasi invisibili fra le erbe si posero in attesa di qualche passante.
Finalmente apparve in bicicletta un omone dal viso vaioloso – e loro quando fu vicino gridarono: – Carità ! Carità !
Il ciclista era nientepopodimeno che il tabaccaio Tito – dalla voce rauca.
Si fermò e disse cavernosamente:
– Quasi quasi chiamo l’acchiappacani che vi porti via.
Al che i due bambini fuggirono terrorizzati.
Era poco tempo prima che l’Italia entrasse in guerra.
A quel tempo molto si cantava per strada, nei cortili, ai balconi – come ancor oggi gli uccelli. Ogni mattina da tutte le scuole saliva nell’aria l’inno trionfale del fascismo
Giovinezza, giovinezza,
primavera di bellezza…
Venuta la guerra tutti gli studenti si innamorarono di un’adolescente bruna, ricciuta – di nome Rita – che interpretava una specie di musical intitolato Le rose d’Albania. Lo spettacolo – che esaltava le virtú fasciste e nazionali contro i nemici albanesi (l’Italia aveva da un anno invaso l’Albania) era recitato dagli studenti – era di propaganda – era entusiasmante. Rita cantava e ballava – c’erano cori, tanta musica. Si vedeva (nello spettacolo) la gioventú italiana che stanava i perfidi nemici nascosti fra i monti. Un ritornello continuamente ripetuto diceva:
Dove sono
i perfidi nemici?
I perfidi nemici
son nascosti là .
Tutto sembrava bello, facile, Rita veniva accolta con le rose dal popolo albanese, per mesi tutti parlarono della straordinaria Rita, della sua voce fresca, dei suoi capelli neri. Anche Sofia ed Ercole erano rimasti affascinati dalle rose d’Albania.
Ma la realtà , invece, aveva piú spine che rose.
Ora dalla radio si sentivano le canzoni della famosa guerra.
Era anche coi canti che i grandi credevano di vincere, nel deserto e sul mare. Ercole e Sofia sognavano di andare in capo al mondo suggestionati dalla canzone del sommergibilista:
Andar
pel vasto mar
ridendo in faccia a Monna Morte ed al Destino!
Una sera di luglio verso le 23 si udà nel buio una voce da matto che cantò:
Vincere! Vincere! Vincere!
E vinceremo in cielo in terra in mare!
Lorenzo – che era al balcone, in canottiera per il gran caldo – rivolto verso l’aria disse:
– Cosa vuoi che vinciamo contro tutto il mondo.
E quell’altro – l’arcangelo – non udito da Cecilia e dai bambini disse:
– Fanno un gran illudersi, come te quella volta del lontano Oriente.
Poi cominciarono i bombardamenti – da cui venne la catastrofe delle macerie e dei morti.
Quasi tutti andarono sfollati in campagna – come a un’avventura. Lorenzo e Cecilia trovarono una cameretta nella canonica del paesetto di A. I bambini erano frastornati – ma curiosi di tanto straordinari avvenimenti.
2
In campagna Ercole e Sofia cominciarono ad accorgersi di un altro mondo – dei giochi, delle bestie, delle piante – a partire dal prodigio dei girini, che una mattina videro in un fosso, neri, scodinzolare.
Ercole disse:
– Sono pesci?
– No, – disse Ampelio, un ragazzo contadino. – Sono narabòtoli.
Passarono alcuni giorni e i girini sparirono.
– Dove sono andati? – disse Ercole.
– Sotto acqua e sulle rive. Ormai sono rane, – disse Ampelio.
Infatti si sentiva qua e là gracidare.
Poi scoprirono l’andare a nidi – che i ragazzi contadini chiamavano gnari.
Si arrampicavano sugli alberi e trovavano i nidi con le uova o con gli uccellini appena nati, soprattutto usignoli. Era emozionante. I ragazzi rubavano i nidi e rompevano le uova.
Sofia si accorse che quel mondo dei contadini sapeva sulla natura cose ignote a loro cittadini.
«Ma guarda, – pensò. – Noi di città ci diamo tante arie e invece per esempio di rane e usignoli non sappiamo niente».
In quel mondo di rane e usignoli Sofia si innamorò di un bambino che le parve meraviglioso, di nome Guido. Gli altri bambini li prendevano in giro con tiritere cosÃ: GuÃ-do e So-fÃa / só-no mo-rósi. GuÃ-do e So-fÃa / fan-no l’a-móre.
Loro due un po’ si vergognavano – ma avevano la simpatia naturale e quando giocavano insieme erano felici.
Sofia non dimenticò mai quel bambino – che fu per sempre la sua fonte d’amore. Col tempo infatti capà che l’amore è essere felici di stare insieme a giocare – e non aver pensiero della morte.
Ma quel pensiero, prima o poi, viene.
Un giorno di Marzo in cui Lorenzo suonava un minuetto di Boccherini in camera da letto e Sofia giocava con Ercole in cucina, e si vedevano dalle finestre le nuvole e i colli blu scuri lei, sbirciando, ebbe per un momento la visione di due che ascoltavano la musica, di statura uguale, alti, snelli – cosà attenti da sembrare imatonÃti. Fu forse una traveggola perché subito dopo, quando tornò a sbirciare, quei due non c’erano piú.
Accadde un mese prima della morte di Lorenzo.
3
Quando ebbe otto anni – e Lorenzo era da poco partito per quel famoso viaggio che lo portò fino ai violoncellisti in cielo – un pomeriggio di Settembre Sofia scese di corsa le scale della canonica – per andare a giocare.
Attraversò l’atrio scuro. Nella penombra, in un angolo, sedeva un signore anziano di nome Umberto leggendo il giornale – in bocca aveva la pipa, spenta.
Sofia uscà fuori – guardò la vigna dell’orto, se ci fosse Ercole. Proprio allora sentà scampanellare. Corse al cancello. Il cielo era velato.
Al cancello c’era un uomo ricciuto, biondo, giovane, con la fronte ampia e gli occhi celesti. Indossava una camicia color kaki molto aperta sul petto. Aveva i pantaloni corti. Accanto a lui, appoggiata al muretto, c’era una bicicletta da donna.
– È in casa il parroco? – disse il giovane con gentilezza.
– SÃ, – disse Sofia.
– Puoi chiamarlo?
Sofia tornò indietro, attraversò l’atrio di corsa, giunse alla porta della cucina, l’aperse: seduti c’erano il parroco (un uomo alto, di circa 35 anni), suo padre, vecchio e magro, la sorella con le due figlie e un ragazzo coetaneo di Ercole. Sofia disse:
– Signor parroco, c’è uno che vuole parlare con lei.
– Vengo subito, – disse il parroco.
Sofia tornò fuori e corse verso i campi. Quando fu nel frutteto incontrò la madre del parroco – vecchia e maestosa, vestita di nero, con la sottana ampia lunga fino a terra.
– Le galline hanno fatto cinque uova, – disse la madre del parroco.
Si sentà un fruscÃo. In quel tempo in campagna le vecchie non portavano mutande e facevano pipà allargando le gambe. Sofia vide un rivolo che usciva da sotto la gonna – come un serpentino.
Proprio in quell’istante scoppiarono tre colpi fortissimi, secchi.
– Sarà Giovanni il bovaro che spara ai gatti rabbiosi, – disse la madre del parroco.
Ma non aveva finito la frase che si levò un urlo – pareva il maiale quando lo scannano. Sofia si mise a correre, entrò nell’atrio.
Il parroco era disteso per terra – enorme – in una pozza di sangue. La sorella urlava piegata su di lui, nera e grigia. Il signor Umberto, in piedi, guardava sbalordito. Sofia gli andò vicino e lui disse:
– Ho sentito che l’uomo ha domandato: «È lei il parroco?» «Sû, ha detto il parroco. «Allora legga questo biglietto». Mentre il parroco leggeva l’assassino ha estratto la pistola dalla camicia e ha sparato tre colpi. Mentre andava giú il parroco ha detto: «Mi hanno ammazzato».
Intanto arrivava la gente del paese, chi gridava, chi stava muto, quasi tutti piangevano. Dissero che l’assassino era stato visto fuggire attraverso la piazza in bicicletta da donna pedalando veloce.
Il funerale fu con tutto il popolo, il vescovo, il podestà , il segretario del fascio.
La gente si domandava perché il parroco era stato ucciso. Un paesano disse che forse aveva denunciato dei piloti inglesi di aerei abbattuti, nascosti nei fossi. Un altro che aveva predicato contro certe persone che andavano a ballare in una casa losca sperduta in mezzo ai campi.
Passò un po’ di tempo e fu annunciato che l’assassino era stato preso. Era un partigiano. Fu condannato a morte per fucilazione.
In quei giorni Sofia scivolò su uno scalino e si ruppe una gamba. Fu ingessata e non poteva camminare.
A vedere la fucilazione, in piazza, andò tutto il paese – ma Sofia no, per via dell’ingessatura.
Verso le quattro del pomeriggio si sentà un gran silenzio e poi la scarica. Piú tardi i ragazzi raccontarono a Sofia che le pallottole avevano aperto un buco nella gola del fucilato. Fu contenta di non essere andata a vedere.
Alla sera, parlando da sola sottovoce, disse:
– Come mai non me l’hanno mostrato? Ero l’unica che l’aveva visto in...