La notte di Roma
eBook - ePub

La notte di Roma

  1. 320 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Dove è Suburra, comincia la notte di Roma. Il giovane Sebastiano ci prova, a reggere le fila di un regno del crimine. Ma se il re è lontano, gli incidenti capitano. E il Samurai è molto lontano. Chiara ci prova, a ben governare. Ma se il cuore è troppo scoperto, magari ti innamori di chi nemmeno vorresti guardare in faccia. E gli incidenti capitano. Adriano Polimeni ci prova, con un monsignore di buona volontà, a guardare in faccia il pericolo. Troppo da vicino, forse. Si accende la guerra che tutti vedono, continua quella che non vede nessuno, la piú feroce. La lotta stavolta è per salvare l'anima.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806227777
eBook ISBN
9788858420904

Un mese prima

I.

12 marzo 2015, giovedí

san Gregorio I

VIA SANNIO. BASILICA DI SAN GIOVANNI. ORE 6.00.

Il cartello recitava: «Stazione appaltante Società Roma Metropolitane. Impresa appaltatrice Mariani Costruzioni s.p.a. del Consorzio Metro C. Lavori per la realizzazione della linea C. Lotto T3. Tratta San Giovanni-Fori Imperiali».
L’uomo si calò lo zuccotto di lana sulle orecchie, si strinse nel bomber nero lucido e osservò impaziente i semafori lampeggianti che illuminavano il deserto di piazza San Giovanni. Accanto a lui, il compare, una montagna di muscoli dal collo incassato nelle spalle, scosse la testa. Sfilò dal giaccone lo smartphone, guardò l’ora. Le 6.00. Dello stronzo non si sentiva ancora neppure la puzza. Almeno aveva smesso di piovere.
L’arrivo della Panda rossa del geometra Lucio Manetti venne coperto dallo sferragliare di un tram vuoto. Parcheggiò al solito posto. E, come ogni mattina, non si congedò dall’auto prima di una curiosa e nevrotica danza intorno all’abitacolo. Porte chiuse, sí. Fari spenti, sí. Luci di cortesia spente, sí. Quindi, con una leggera pressione dell’indice, spinse la montatura degli spessi occhiali da miope sul setto nasale, controllò la cartellina portadocumenti e sistemò sull’avambraccio il lungo ombrello ad ago. Era in ritardo. Non ebbe bisogno di guardare l’orologio per capirlo. Gli fu sufficiente notare le prime fessure di luce di quell’alba livida che si apriva sulla basilica di San Giovanni e sulla prospettiva che aveva imparato a odiare in quegli anni di cantiere. La vista della cupola era impallata dalla gigantesca struttura di sostegno della talpa posata a trenta metri di profondità da Dio solo sa quanto. Mesi? No, anni. Aveva perso il conto. Prima i resti di una villa romana. Poi polle d’acqua che neanche stessero sul Carso. Poi i soldi che non erano arrivati piú. Le ruspe si erano fermate. Gli operai calabresi e napoletani delle ditte in subappalto erano spariti. A fare la guardia al Grande Buco era rimasto solo lui. Direttore di un cantiere fantasma. Anche per questo – pensò – sarebbe stato mica un problema farsi un bel caffè prima di cominciare a far nulla. Al diavolo il ritardo. Che saranno mai cinque minuti di fronte all’eternità di quell’Incompiuta.
Entrò nel bar.
Cinque minuti dopo i due, appoggiati al bandone del cantiere, lo videro finalmente comparire.
Con calma, merda, tanto dove vai?
Il geometra attraversò la strada a passo svelto cercando nella tasca dell’impermeabile le chiavi del cantiere. La mattina era densa di impegni. Per prima cosa, telefonare in Prefettura. Bisognava rinnovare i certificati antimafia di due nuove ditte in subappalto. Il dottor Danilo Mariani aveva insistito per farle entrare nel movimento terra. Già, i certificati antimafia. Bella parola. Quei tipi «camorra» ce l’avevano scritto in fronte. Ma il «dottore» non sentiva ragioni. Era stato anche un po’ brusco, a dire il vero.
«Si faccia i cazzi suoi, geometra. La pago per fare quello che dico io. Il capo impresa sono io. E se non le sta bene, di geometri ho la fila fuori dalla porta. Quindi lei alzi quel telefono e chieda in Prefettura della signora Giada. Sa già tutto».
Aprí il cancello del cantiere. E non ebbe neppure il tempo di sentirli arrivare.
Gli furono addosso con la furia di due cani rabbiosi.
Il primo colpo lo raggiunse alla tempia facendogli volare gli occhiali.
Il secondo gli spaccò gli incisivi allagandogli la bocca di sangue.
Il terzo arrivò dritto al bulbo dell’occhio sinistro facendoglielo quasi esplodere.
Il dolore fu cosí lancinante che non riuscí neanche a gridare. I due lo sollevarono di peso e lo trascinarono verso la grande ruspa gialla al centro del cantiere.
Lo legarono alla benna di quel bestione come un Cristo in croce. Fu allora che con il solo occhio destro il geometra Manetti riuscí a distinguere le sagome dei suoi aggressori. Frugavano in terra.
E, Dio mio… No, non a me. Perché? Perché?
Il piú tarchiato dei due aveva afferrato un fascio di tondini di ferro. Li stringeva nella destra come agitasse un pacco di spaghetti. Rideva. E si avvicinava. Sempre di piú. Fino a quando il geometra non ne avvertí il pestilenziale alito di nicotina e parole che tradivano un lieve accento slavo.
– Allora, dottore… Non hai niente per noi? Perché lo sai, brutto rotto in culo, che sono soldi nostri, vero?
Sputando sangue riuscí a bofonchiare qualcosa che somigliava a un’ultima, disperata, quanto inutile preghiera.
– Vi prego… Vi prego… La cassa… Nel gabbiotto… Ma c’è poco…
L’orco strinse il fascio di tondini di ferro con entrambe le mani portandole all’altezza del suo naso.
E fu solo allora che il geometra Manetti notò i tatuaggi bluastri che le segnavano. Una lettera per ciascuna delle dieci dita.
N-O-N-H-O-A-M-I-C-I.
Reclinò la testa all’indietro e quindi verso l’alto. Il solo occhio rimasto mise a fuoco la talpa.
La misericordiosa cupola della basilica.
Il chiarore grigio dell’alba.
Il colpo arrivò con tutta la violenza del mondo.
Smise di sentire le gambe. Ma riuscí ad afferrare le parole dell’animale.
– Con i saluti di Fabio.

ROMA, VIA LUDOVISI. UFFICI DELLA FUTURE CONSULTING S.R.L. ORE 9-10.00.

Sebastiano era nauseato. Il palazzinaro non la finiva di tirare su col naso e gli stava rigando di sudore il piano del tavolo in onice arcobaleno. Brutta bestia, la roba. Sebastiano spalancò l’ampia finestra che affacciava sulla terrazza dalla quale si dominava l’elegante rione Ludovisi. Intorno al gazebo bianco era un tripudio di mimose in fiore. Con studiata lentezza, andò a sedersi dall’altro lato del grande tavolo ovale. E si mise a fissare Danilo Mariani. Le sue mani si spostavano dalla tazzina del caffè all’iPhone. Il rossore affaticato contrastava con il livore giallognolo del volto. L’abito di lana secca stentava a contenere una massa corporea inflaccidita dagli abusi. Il volto gonfio era incorniciato da capelli precocemente grigi che, a dispetto dei suoi quaranta, lo invecchiavano di almeno dieci anni. Eccolo lí, l’erede di una delle piú antiche dinastie di costruttori romani. Un debosciato. Qualcuno, tre ore prima, aveva massacrato il suo capocantiere a San Giovanni.
Sebastiano voleva capire perché.
– Sebastia’, io…
L’attesa era durata abbastanza. Con un cenno estenuato, Sebastiano lo autorizzò a vuotare il sacco.
– È tutta colpa de quer fijo de na mignotta der Tedesco…
Il giovane Mariani era nel consorzio di imprese che, nel 2006, aveva vinto il bando di gara da tre miliardi di euro per la costruzione della linea C della metropolitana. La piú grande opera infrastrutturale del secondo millennio. «General contractor», lo definiva la «Legge obiettivo». Obbligato alla consegna dell’Opera «chiavi in mano». Cazzate buone per i gonzi che se le volevano bere. In nove anni, il progetto era dimagrito, passando da quaranta a venti stazioni, e i costi, naturalmente, erano andati in orbita. Da tre miliardi sino all’infinito, e oltre. Come in quel film sui giocattoli che c’hanno l’anima. E che era la metro se non un grosso gioco? Lo sapevano tutti come funzionava. Non si chiamava certo Mariani per caso, lui. Vinci la gara senza avere il becco di un quattrino di prefinanziamento con cui far partire i cantieri. E il giorno dopo averla vinta cominci a fare casino con un bell’arbitrato. Strilli con quei coglioni del Comune che il contratto di appalto diceva altro. Che neanche hai cominciato e già ci sono delle varianti. Che il sottosuolo de ‘sta benedetta Roma è tutto un coccio e chissà quale fregno di reperto archeologico. Insomma spieghi che devono mettere mano alla saccoccia. E chiedi, chiedi, chiedi. Che tanto ti verrà dato. Perché se non ti viene dato, tu non lavori. I romani bestemmiano e il Grande Buco non si riempie mai.
Aveva funzionato sempre. Finché non era arrivato quel mentecatto del sindaco. Martin Giardino, detto «er Tedesco».
«Non accetto ricatti», aveva proclamato.
Tanto per cominciare aveva bloccato i pagamenti per i «saldi di avanzamento lavori». Cosí si era raggiunto, a denti stretti, un accordo tombale. In pratica, li avevano liquidati con qualche spicciolo. Ma, mortacci sua, il Tedesco non pagava.
– Il Tedesco non c’entra piú niente. La questione è passata al Governo.
– Vabbè, è uguale. Io comunque sto sotto.
– Di quanto?
– Roba de poco. Un cinquecento, – esalò Mariani.
Sebastiano si fece di ghiaccio. Poi scandí.
– Cinque. Cento. Mila. Euro. Bravo!
Danilo si abbandonò a un profluvio di giustificazioni. Frasi smozzicate, filo di bava all’angolo della bocca, sudore copioso, autocommiserazione a fiumi.
– La paga delle ditte in subappalto. Degli operai, della roba dei fornitori, ‘tacci loro, l’aumento dell’Iva che ce sta’ a strozza’… C’ho avuto ‘na crisi de liquidità, capisci, so’ cose che capitano…
– Io parlerei piuttosto di crisi respiratoria, – sussurrò Sebastiano, gelido. E tirò provocatoriamente su col naso.
Mariani allargò le braccia.
– E vabbè, se sa, ogni tanto me pippo un po’ de roba, ma che sarà mai, ‘o fanno tutti, Sebastia’, non mi dire che tu…
– No. Io no, Danilo. Io, no.
Ah, la coca! La Regina della Notte, con la sua appendice di fica! L’eterno baccanale petroniano dell’irredimibile Suburra. La Triade Capitolina: coca-fica-gioco… parappappà… da farci una canzonetta, l’inno di Roma Capitale… Tutto cosí scontato, tutto cosí prevedibile. Nello scegliere Sebastiano fra i tanti che gli scodinzolavano alle coste, il Samurai era stato categorico: il vizio agli altri, a noi il controllo. Il vizio fa perdere il controllo, e se ha mai avuto un senso la distinzione fra l’uomo e il superuomo, be’, il vizio ne costituisce la linea di confine. Non c’era stato bisogno di insistere, d’altronde. Il senso del limite Sebastiano se lo portava dentro da sempre. Era stato suo padre a inculcarglielo. Il suo povero, onesto padre morto di onestà.
– Sebastia’, me senti?
– Non mi hai ancora spiegato perché hanno massacrato il tuo direttore dei lavori. Soprattutto, non mi hai detto chi l’ha fatto. Perché tu, e solo tu, puoi dirmelo, Danilo. Tu sai bene che toccare quel cantiere significa toccare te, e toccare te significa toccare me, e toccare me significa toccare il Samurai. Quindi…
– Fabio Desideri, – esalò Danilo. Tuffò la mano nel taschino ed estrasse un blister d’argento.
– Non a casa mia, – lo gelò Sebastiano.
– Annamo, un tiretto… me ser...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La notte di Roma
  4. Prologo
  5. Un mese prima
  6. Il libro
  7. Gli autori
  8. Degli stessi autori
  9. Copyright