Idea di sceneggiatura #2: Un killer attempato con problemi di cuore è costretto a ritirarsi dopo aver mancato l’ultimo colpo. È l’unico fiasco della sua carriera, per cui quando gli si presenta l’occasione di rifarlo e ripristinare l’impeccabilità del suo stato di servizio non può rifiutare, anche se rischia l’infarto. Poi però si innamora della figlia adolescente del bersaglio. Titolo: Un cuore in extremis
Idea #7: Un cieco e una cieca, attratti l’uno dall’odore dell’altra. Al primo appuntamento, si ritrovano sulla scena di un omicidio e intercettano il particolare profumo dell’assassino. Nessuno gli crede, e adesso hanno l’assassino profumato alle calcagna. Titolo: Dove si va partendo dal nulla
Idea #12: DJ Spinoza è un disadattato che nessuno capisce: né i compagni di scuola, né gli amici, né gli insegnanti. Il suo unico sogno è suonare al ballo della scuola e lasciare di stucco tutti quegli stronzi. Dopo che il suo radicale DJ set si risolve in un party catastrofico a casa della ragazza (Rise) che punta a rimorchiare, Spinoza finisce a bocca asciutta. Che cosa ci vorrà per far ballare tutti e conquistare Rise? Titolo: Questione spinosa
Dunque, cosa potrei fare col ragazzo?, si chiese Joshua. Tutte le sensazioni umane discendono da piacere, dolore e desiderio – ma soprattutto, potrebbe dire Spin a Rise, dal beat. E se invece non dicesse niente? Se fosse il tipo forte e silenzioso? Perché cosí e non colà? Scrivere non è altro che portare il tremendo, massacrante fardello di decisioni prive di conseguenze.
Al Coffee Shoppe il pomeriggio scivolò nella sera giusto nell’istante in cui la caffeinizzazione di Joshua raggiungeva le quote delle piantagioni ruandesi dove la bevanda aveva origine. Perciò Joshua fremeva dalla voglia di googlare il Ruanda, acquisire qualche nozione interessante su altre culture e permettere ai dilemmi creativi in corso di risolversi da soli. Ai vecchi tempi, prima del worldwide web della tentazione, esisteva quella cosa chiamata ispirazione. Poi l’anima era stata per sempre soppiantata dalla ricerca di banalità e frivolezze. Grazie a Dio, al Coffee Shoppe non c’era la connessione internet.
Pertanto, Joshua aprí un file con un’altra sceneggiatura in perpetuo sviluppo (titolo: Il blues di Snakeman), in cui un fanatico di fumetti e un supereroe in pensione (Snakeman), insegnante d’inglese sottopagato in una scuola pubblica, si associano per combattere il perfido sindaco di Chicago. Joshua non riusciva a decidere se Snakeman alla fine dovesse morire o vivere per tornare all’insegnamento – un’attività davvero eroica nella città di Chicago – e, in tal caso, se dovesse farlo nelle sue sembianze umane o di serpente. L’happy end era stucchevole, ma la morte era deprimente, e Joshua non riusciva a immaginare una terza via. E poi, come avrebbe fatto un rettile a combattere contro la polizia di Chicago e il subdolo sindaco, esattamente?
Troppo ipoglicemico per battere anche solo una parola, la quale avrebbe forse condotto alla successiva, Joshua riusciva a vedere soltanto lo spazio bianco sotto l’ultima cosa scritta. (Snakeman: Aspetta! Sistemiamo il boss, prima). Baruch lo Spinatore aveva ragione: l’infinità svuota di senso qualsiasi realtà. Ma la finitudine fa lo stesso, suppergiú. Joshua fissava le strisce pedonali fuori dal Coffee Shoppe, dove non accadeva nulla, finché non trovò un certo conforto nel concepire battute per un pubblico immaginario a qualche futura cena mondana: In cosa uno shoppe si distingue da uno shop? La Donna di Bath beveva latte di soia, chai, cappuccino? In genere, i baristi parlanti Medio inglese vengono colpiti dalla morte nera, eccetera?
Stava per aprire un nuovo file e registrarci tutte le freddure sullo shoppe quando un branco di cadetti della Rotc comparve all’orizzonte di Olive Street in un fatidico ralenti, ricordandogli quel campo lungo in Lawrence d’Arabia in cui nell’orizzontalità del deserto una macchiolina cresce fino a diventare un cavaliere. I cadetti guadarono la strada fingendo di fare a botte, schiaffeggiandosi le nuche rasate, una vita spensierata, se non per la paura di essere espulsi dal branco. E poi li vide nel deserto, ricoperti da uno spesso strato di polvere, la lingua penzoloni per la sete, in marcia verso una battaglia dove sarebbero maturati e/o morti da eroi, con gli abominevoli indigeni che offrivano loro acqua contaminata calda come piscio dentro tazze di latta. I cadetti non potevano manco immaginare le tempeste di sabbia del loro futuro; cosí come non potevano autocommiserarsi anzitempo. In realtà riuscivano appena a vedere oltre il loro prossimo pasto, oltre lo sfoggio della loro forza infantile, oltre i finti corpo a corpo durante la pausa pranzo. Colui che ha una mente atta a molteplici cose, ha un corpo la cui maggior parte è eterna, ha scritto Baruch. E la triste noncuranza della Rotc gli riportò alla mente la scena di Zombi in cui i morti viventi barcollano a vuoto intorno a un centro commerciale spopolato, incapaci di dimenticare la loro vita prima della non morte, con gli avanzi dei felici ricordi di Natale ancora trattenuti dal cervello infetto. Mentre il resto del corpo si trascinava verso l’adiacente paninoteca, un cadetto grassoccio avvertí l’intensità dello sguardo ispirato di Joshua e si fermò per fargli un gran sorriso dall’altra parte della vetrina. Aveva una faccia larga, le guance arrossate, i denti davanti di grandezza ineguale come uno skyline, gli occhi accesi dall’arrogante innocenza della gioventú. In un paradisiaco battito di ciglia, Joshua vide il paesaggio narrativo spiegarglisi nitidamente davanti: tutte le innumerevoli possibilità, tutte le inquadrature dall’alto e i campi lunghi, tutte le suggestive traiettorie dei personaggi che solcavano lo splendore del firmamento, tutta quell’immensità che avrebbe finito col condurre a una storia d’amore; Joshua non aveva che da passeggiare per quell’edenica simmetria e metterla per iscritto. Stavolta, era determinato, la sua visione non si sarebbe decomposta nella memoria del computer insieme agli scheletri degli altri spunti; aprí ipso facto un nuovo documento di Final Draft e creò la pagina del titolo per poi rimanere a fissarla:
Guerre zombi
di Joshua Levin
Chicago, 31 marzo 2003
E la fissò.
Ahimè, a meno che tu non sia Dio in persona, alla creazione non si comanda: prima di mettersi all’opera Joshua aveva bisogno di mangiare un boccone, per cui si mise in fila dietro un coglione supertatuato che non riusciva a decidersi tra il cake alla banana e quello alla zucca, mentre il barista con berretto da Che Guevara (seppur presumibilmente con un’impeccabile padronanza di quel Medio inglese del cazzo) stava a guardare indifferente. Nel tempo morto Joshua poté immaginare uno zombi che azzannava il collo tatuato del coglione, il sangue che macchiava i cappuccini rendendoli rosa, lo zombi incurante della macchina dell’espresso che fischiava come un’isterica. Il barista chaucerian-rivoluzionario, impegnato in un’artistica battaglia per la schiuma perfetta, impiegò un’eternità a scaldare il latte per il cappuccino di Joshua, dando all’apocalisse zombi il tempo necessario a esaurire gradualmente la propria rovinosa realtà e scomparire negli abissi della sua mente. Di ritorno al suo tavolo traballante, Joshua si sedette masticando un cake alla carota finché raggiunse livelli zen di vuoto da astinenza da caffeina. Chiuse il file, poi il programma, e poi, infine, il computer, che ripose nella custodia, in stand by.
Della vita di Joshua, porzioni considerevoli erano già state sprecate in precedenza, senza lasciare traccia di trauma o rimpianto. Ma il problema impellente, in quello specifico lunedí, era che doveva presentare qualche pagina al workshop(pe?) Scrivere per il cinema II, che quella sera per la prima volta si sarebbe tenuto a casa di Graham. Quei succhiacazzi in Birkenstock del Film Collective ti succhiavano pure il sangue (parole di Graham), prendendosi una vergognosa fetta della quota d’iscrizione senza degnarsi di fornire carta da cesso sufficiente. Lui l’aveva pagata di tasca propria, dopodiché era giunto alla conclusione che tanto valeva che i suoi devoti workshopper si pulissero il culo nella sua umile dimora, e lui si tenesse i soldi per sé.
Un Joshua senza pagine, dotato soltanto dei piú vaghi ricordi di zombi, fu quindi fatto accomodare su una poltronasacco viola sul pavimento del salotto di Graham. Sul tavolino basso campeggiavano pretzel e una gran bottiglia di Diet Coke sgasata. Coi testicoli strizzati dalle mutande torte, Joshua evitò ogni contatto visivo col Dillon in flanella che, sprofondato fino ai fianchi nel futon scolorito e infossato, stava esponendo uno dei suoi spunti. C’era anche Bega, in maglietta dei Motörhead, curvo sulla scrivania a contemplare il Wrigley Field fulgidamente illuminato oltre la finestra di Graham. I tifosi produssero un boato da fuoricampo e Bega grugní malinconico, con i suoi capelli grigi e folti, divisi da un’approssimativa scriminatura, spiccatamente intonati al cespuglio grigiastro che gli cresceva sul volto. Graham interruppe i vaneggiamenti di Dillon per fare una riflessione a partire da un frammento pertinente della sceneggiatura che aveva appena ultimato.
– «Benedetti siano i dilettanti! – Graham parlava con la voce tronfia di uno dei suoi personaggi. – I perseveranti, i falliti, i mangiatori di merda! Lasciateci lodare coloro che sognano in grande e non concludono niente, coloro che non si lasciano scoraggiare dall’impossibile, irretiti dal possibile! Sono gli stercorari del Sogno Americano, i piccoli fertilizzatori dimenticati della terra d’America».
Passandosi pensoso il pollice sulla fossetta del mento, Graham alzò lo sguardo sul suo pubblico per spiarne la reazione: ricurvo su un quaderno che teneva aperto in grembo, Dillon annotava qualcosa con furia; Bega annuiva, mangiucchiando la sua Bic; Joshua era concentrato su Graham, ma solo perché, strizzate com’erano, le palle gli si stavano gonfiando dolorosamente. Affrontare il problema significava alzarsi e infilarsi la mano nei pantaloni per liberare i testicoli dalla morsa delle mutande. Joshua non era pronto per un simile gesto, quindi sopportava. La mente non può immaginare nulla se non finché dura il corpo.
– Giusto perché non stiate lí a chiedervi cosa succede dopo, – proseguí Graham, – il mio ragazzino continua a mietere successi. Alla fine del secondo atto tocca il fondo, ma poi nel terzo torna in pista e vince un Golden Globe.
Joshua cercò di afferrare il proprio zaino, ma il dolore all’inguine lo fece rantolare e desistere. Il salotto di Graham era sommerso di tascabili – sui ripiani, sul pavimento, sui davanzali –, tutti coperti di polvere e dedicati alla magia del cinema e alla scienza della sceneggiatura. Sull’unica parete senza libri campeggiava un enorme poster del Padrino: Parte II, con Al Pacino che incombeva su di loro come Gesú da una pala d’altare.
– Tutto ciò è interamente basato su una storia vera, signori. I pezzi grossi di Hollywood si sciroppavano una fila fino in cima alle Hills per farsi una bibita dietetica con me, ma io non avevo nessuna intenzione di farmi fregare! Nossignore! – Graham mostrò il medio alla summenzionata fila di pezzi grossi. – Andate pure a farvi fottere, branco di Weinstein!
Graham si dondolava avanti e indietro alla cassidica, e intanto sproloquiava, con la pelata che si arrossava a chiazze come una lava lamp. Bega sembrava apprezzare lo sproloquio, giacché interruppe la masticazione della Bic per ridere di gusto. Nel frattempo, Joshua rotolò giú dalla poltronasacco e si alzò, producendosi in smorfie per un dolore che prevaleva sulle insinuazioni antisemite di Graham.
– Sta di fatto – continuò Graham – che avete voglia di imparare, e questo è indubbiamente fantastico. Quindi, Dillon, per essere completamente e costruttivamente onesto, il tuo non è certo lo spunto piú brillante che mi sia capitato di sentire. Ma abbiamo tutta la giornata per lavorarci, e ne faremo qualcosa di buono.
Dillon prese un appunto, poi girò la pagina e continuò a scrivere. Finalmente Joshua si abbassò i pantaloni per liberare le palle, e nel movimento il suo ombelico ammiccò agli astanti dal folto di un ciuffo di peli.
– Cosa diavolo stai facendo? – chiese Graham.
– Sparticulo involontario, – spiegò Joshua.
Graham batté le mani facendo trasalire Dillon. – L’hai sentito, Dillon? Sparticulo involontario! Segnatelo! È roba cosí che devono dire i tuoi personaggi, non quelle cazzate soporifere sull’avidità aziendale.
Il piacere di districarsi le palle fu intensificato da...