
- 152 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Vuoto d'amore
Informazioni su questo libro
La Merini scrive in momenti di una sua speciale lucidità benché i fantasmi che recitano da protagonisti nel teatro della mente provengano spesso da luoghi frequentati durante la follia. In altre parole, vi è una prima realtà tragica vissuta in modo allucinato e in cui lei è vinta; poi la stessa realtà irrompe nell'universo della memoria e viene proiettata in una visione poetica in cui è lei con la penna in mano a vincere.
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Informazioni
Print ISBN
9788806122294eBook ISBN
9788858422366La Terra Santa
Manicomio è parola assai piú grande
delle oscure voragini del sogno,
eppur veniva qualche volta al tempo
filamento di azzurro o una canzone
lontana di usignolo o si schiudeva
la tua bocca mordendo nell’azzurro
la menzogna feroce della vita.
O una mano impietosa di malato
saliva piano sulla tua finestra
sillabando il tuo nome e finalmente
sciolto il numero immondo ritrovavi
tutta la serietà della tua vita.
Il manicomio è una grande cassa
di risonanza
e il delirio diventa eco
l’anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai,
maledetto, su cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta.
Al cancello si aggrumano le vittime
volti nudi e perfetti
chiusi nell’ignoranza,
paradossali mani
avvinghiate ad un ferro,
e fuori il treno che passa
assolato leggero,
uno schianto di luce propria
sopra il mio margine offeso.
Pensiero, io non ho piú parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero, dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei cosí ardito vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice,
e cosí possa perderti
nell’antro della follia.
Un’armonia mi suona nelle vene,
allora simile a Dafne
mi trasmuto in un albero alto,
Apollo, perché tu non mi fermi.
Ma sono una Dafne
accecata dal fumo della follia,
non ho foglie né fiori;
eppure mentre mi trasmigro
nasce profonda la luce
e nella solitudine arborea
volgo una triade di Dei.
Affori, paese lontano
immerso nell’immondezza,
qui si conoscono travi
e chiavistelli e domande
e tante tante paure,
Affori, posto nuovo
che quando si conviene
ti manda il suo raggio nudo
dentro la cella muta.
Vicino al Giordano
Ore perdute invano
nei giardini del manicomio,
su e giú per quelle barriere
inferocite dai fiori,
persi tutti in un sogno
di realtà che fuggiva
buttata dietro le nostre spalle
da non so quale chimera.
E dopo un incontro
qualche malato sorride
alle false feste.
Tempo perduto in vorticosi pensieri,
assiepati dietro le sbarre
come rondini nude.
Allora abbiamo ascoltato sermoni,
abbiamo moltiplicato i pesci,
laggiú vicino al Giordano,
ma il Cristo non c’era:
dal mondo ci aveva divelti
come erbaccia obbrobriosa.
Il dottore agguerrito nella notte
viene con passi felpati alla tua sorte,
e sogghignando guarda i volti tristi
degli ammalati, quindi ti ammannisce
una pesante dose sedativa
per colmare il tuo sonno e dentro il braccio
attacca una flebo che sommuova
il tuo sangue irruente di poeta.
Poi se ne va sicuro, devastato
dalla sua incredibile follia
il dottore di guardia, e tu le sbarre
guardi nel sonno come allucinato
e ti canti le nenie del martirio.
Gli inguini sono la forza dell’anima,
tacita, oscura,
un germoglio di foglie
da cui esce il seme del vivere.
Gli inguini sono tormento,
sono poesia e paranoia,
delirio di uomini.
Perdersi nella giungla dei sensi,
asfaltare l’anima di veleno,
ma dagli inguini può germogliare Dio
e sant’Agostino e Abelardo,
allora il miscuglio delle voci
scenderà fino alle nostre carni
a strapparci il gemito oscuro
delle nascite ultraterrestri.
Io ero un uccello
dal bianco ventre gentile,
qualcuno mi ha tagliato la gola
per riderci sopra,
non so.
Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te
le mie canzoni d’amore.
Sono caduta in un profondo tranello
come dentro ad un pozzo acquitrinoso.
O chi potrà salvarmi da questa immagine scaltra
che adombra un mobile amore?
In fondo al pozzo stanno giunchiglie di ombre
e il mio urlo sovrasta le acque.
Il camaleonte gagliardo guarda dalle orride piante
questo mio precipizio segreto.
Io ho scritto per te ardue sentenze,
ho scritto per te tutto il mio declino;
ora mi anniento, e niente può salvare
la mia voce devota; solo un canto
può trasparirmi adesso dalla pelle
ed è un canto d’amore che matura
questa mia eternità senza confini.
Il nostro trionfo
Il piede della follia
è macchiato di azzurro,
con esso abbiamo migrato
sui monti dell’ascensione,
il piede della follia
non ha nulla di divino
ma la mente ci porta
lungo le ascese bianche
dove fiotta la neve
cresce il sambuco,
geme l’agnello;
abbiamo attraversato ponti
esaminato misure,
e quando l’ombra cupa
del delirio incombeva
sulla nuca profonda
noi chinavamo il capo
come sotto una legge,
e la legge mosaica
noi l’abbiamo composta
ricavando spezzoni
dagli altipiani chiusi;
ecco, il nostro trionfo
viene giú dalle montagne
come larga cascata;
noi siamo restati
angeli uguali a quelli
che in un giorno d’aurora
hanno messo le ali.
Le piú belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le piú belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Cosí, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sí, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.
Quiètati erba dolce
che sali dalla terra,
non suonare la tenera armonia
delle cose viventi,
mordi la tua misura
perché il mio cuore è triste
non può dare armonia.
Quiètati erba verde
non salire sui fossi
col tuo canto di luce,
oh rimani sotterra
nuda dentro il tuo seme
com’io faccio e non do
erba di una parola.
Indice dei contenuti
- Copertina
- Vuoto d'amore
- Introduzione di Maria Corti
- Bibliografia delle opere di Alda Merini
- Vuoto d’amore
- Lo sguardo del poeta
- Il volume del canto
- Da Vuoto d’amore – Poesie per Charles (1982)
- La gazza ladra – Venti ritratti (1985)
- Per Michele Pierri
- Da Poesie per Marina (1987-90)
- La Terra Santa
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
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