La mia relazione con Anabel era cominciata appena avevamo ricevuto la sentenza di divorzio. In cambio di aver riconosciuto che ero stato io ad abbandonarla – l’«abbandono» era uno dei pochi motivi di divorzio ammessi dallo stato di New York, e quello che secondo Anabel descriveva meglio il torto da lei subÃto – avevo potuto riprendere possesso del nostro prezioso appartamento ad affitto bloccato in un caseggiato di East Harlem, mentre lei andava a vivere da sola tra i boschi del New Jersey. Poiché non c’era verso di infliggerle Manhattan, dovevo essere io a prendere l’autobus che percorreva tutta 125th Street, poi la metropolitana fino alla 168th, seguita da un altro tragitto in autobus molto piú lungo e invariabilmente nauseante oltre l’Hudson e attraverso agglomerati urbani sempre piú squallidi fino alle colline a nordovest di Netcong.
Avevo fatto quel viaggio due volte in febbraio, due in marzo e una volta in aprile. L’ultimo sabato di maggio il telefono squillò verso le sette del mattino, non molto dopo che ero andato a letto ubriaco. Risposi solo per farlo smettere.
– Oh, – disse Anabel. – Credevo di trovare la segreteria.
– Metto giú, cosà puoi lasciarmi un messaggio, – dissi.
– No, ci vorranno solo trenta secondi. Giuro che non mi faccio invischiare un’altra volta.
– Anabel.
– Volevo solo dirti che rifiuto la tua versione di noi due. La rifiuto in pieno. Questo è il mio messaggio.
– Non potevi rifiutare la mia versione non chiamandomi piú?
– Non voglio farmi invischiare, – disse Anabel, – ma conosco il tuo modo di agire. Tu interpreti il silenzio come una resa.
– Non ricordi che ho promesso di non interpretare il tuo silenzio in quel modo. L’ultima volta che ci siamo parlati.
– Ora riattacco, – disse Anabel, – ma almeno sii sincero, Tom, e ammetti che la tua promessa era un colpo basso. Un modo per avere l’ultima parola.
Appoggiai il telefono sul materasso, vicino a orecchio e bocca. – Siamo già arrivati a quando diventa colpa mia se la conversazione sta durando piú di trenta secondi? Oppure posso ancora pregustare quel momento?
– No, sto per riattaccare, – mi rispose. – Volevo solo dire, per la cronaca, che ti sbagli di grosso su di noi. Ma è tutto qui. Ecco. Ora riattacco.
– Okay, allora. Ciao.
Ma non riusciva mai a riattaccare, e io non sopportavo di farlo al posto suo.
– Non sto dando la colpa a te, – disse Anabel. – È vero che hai consumato la mia giovinezza e poi mi hai abbandonata, ma so che non sei responsabile della mia felicità quaggiú, anche se in effetti mi sto divertendo e le cose vanno abbastanza bene, per quanto possa sembrare incredibile a una persona che mi considera, cito testualmente, «impreparata» ad affrontare, cito di nuovo, «il mondo reale».
– «Hai consumato la mia giovinezza e poi mi hai abbandonata», – citai a mia volta. – Ma questa non è una provocazione. Volevi solo lasciare un messaggio di trenta secondi.
– E lo avrei fatto! Ma tu hai reagito…
– Ho reagito, Anabel… devo spiegartelo? Ho reagito al tuo prendere il telefono e chiamare il mio numero.
– SÃ, lo so, per via del mio bisogno di attenzione. Giusto? Del mio patetico bisogno di attenzione.
Non sarei riuscito a menzionare un solo istante di gioia o serenità nella nostra ultima frenesia di intimità , quattro settimane prima. Emergevo da quelle frenesie ammaccato e straziato, con preoccupanti voragini nella memoria ma anche con un vago, morboso desiderio di riprovarci.
– Senti, – dissi. – Vuoi che ci vediamo? Vuoi che venga da te? È per questo che hai chiamato?
– No! Non voglio che ci vediamo! Voglio mettere giú il telefono, se me lo permetti!
– Di solito, però, le altre volte che hai chiamato, – dissi, – hai cominciato dicendo che non volevi vedermi, e poi, dopo un paio d’ore di telefonata, si è scoperto che invece fin dall’inizio, sotto sotto, volevi solo quello.
– Se tu vuoi venire a trovarmi, – disse Anabel, – dovresti avere la decenza di dirlo chiaro e tondo…
– E a quel punto, naturalmente…
– Come un uomo educato che vuole passare del tempo con una donna che rispetta, invece di trasformare la tua offerta in una specie di viscida accusa…
– A quel punto, naturalmente, – proseguii, – si è fatto tardi, e ciò significa che quando infine ci vediamo, come tu in realtà volevi fin dall’inizio, è molto tardi, e quando poi, inevitabilmente, andiamo a letto insieme…
– Invece di travisare i fatti cosà subdolamente, – replicò Anabel. – Per farlo sembrare il mio bisogno di attenzione e non il tuo, la mia vita mediocre e non la tua…
– Quando inevitabilmente andiamo a letto insieme…
– Non voglio venire a letto con te! Non voglio vederti! Non ti ho chiamato per questo! Ho chiamato solo per dire che…
– Sono le tre o le quattro del mattino prima che ci mettiamo effettivamente a dormire, cosa che, con tre ore di viaggio e un giorno di lavoro davanti a me, in passato si è rivelata un’esperienza piuttosto sgradevole. Volevo solo ricordartelo.
– Se vuoi venire a fare una passeggiata con me, – disse Anabel, – sarebbe molto carino. Mi farebbe piacere. Ma devi dire che sei tu a volerlo.
– Ma non ti ho chiamato io, – risposi.
– Ma sei tu che hai parlato di vederci. Perciò ora cerca di essere sincero.
– Tu lo vuoi?
– Solo se lo vuoi anche tu e lo dici come un essere umano.
– Ma questo vale anche per me. Perciò.
– Senti, io ho chiamato, – disse Anabel. – Tu potresti almeno…
– Potrei cosa?
– Credi che ti farò del male se abbasserai le difese per un millesimo di secondo? Cioè, cosa credi che ti faccia? Che ti schiavizzi? Che ti costringa a risposarmi? È una passeggiata, santo Dio, solo una passeggiata!
Al solo scopo di evitare una versione di questa conversazione della durata di due ore – in cui A cercava di dimostrare che B aveva pronunciato la frase fatale che aveva protratto la conversazione, e B metteva in dubbio la versione dei fatti di A, e ciò a sua volta, in mancanza di una trascrizione, costringeva A a ricostruire a memoria l’inizio della conversazione e B a proporre una ricostruzione diversa da quella di A sotto certi aspetti fondamentali, il che poi richiedeva un laborioso sforzo congiunto per confrontare e riconciliare le due ricostruzioni – accettai di andare a fare una passeggiata in New Jersey.
Anabel si stava purificando lo spirito in una proprietà appartenente ai genitori della sua amica Suzanne, piú giovane di lei e sua unica sostenitrice. Una delle mie prime azioni dopo aver chiesto il divorzio era stato andare a letto con Suzanne. Mi aveva invitato fuori a cena in qualità di ambasciatrice di Anabel, con l’intenzione di farmi cambiare idea sul divorzio, ma era cosà spossata dalle lamentele di Anabel su di me e sul mondo artistico newyorkese, esposte in telefonate notturne di due ore, che si era lasciata convincere a tradirla. Probabilmente intendevo spingere Anabel a desiderare il divorzio tanto quanto me, ma le cose non erano andate cosÃ. Aveva troncato l’amicizia con Suzanne e mi aveva accusato di voler rubare o corrompere tutto ciò che aveva. Ma il risultato, secondo il suo curioso calcolo morale, era che io e Suzanne le eravamo debitori. Io continuavo a risponderle al telefono e a vederla, e Suzanne le permetteva di vivere nella proprietà del New Jersey che i suoi genitori, trasferitisi in New Mexico, stavano cercando di vendere a un prezzo spropositato.
L’autobus gelido mi scaricò all’altezza di un piccolo incrocio sperduto tra i boschi. Per una frazione di secondo l’umidità mi appannò gli occhi. Il caldo aveva imposto una specie di coprifuoco atmosferico: tutto sembrava vicino e rigoglioso. Una serra. Vidi Anabel uscire da dietro alcuni alberi dove si era nascosta, con un sorriso ampio e, tutto considerato, inopportuno. La mia faccia le rispose con una smorfia grottesca e inopportuna.
– «Ciao, Tom».
– «Ciao, Anabel».
La sua straordinaria chioma scura, oggetto di trattamenti elaborati e tinture sempre piú frequenti che probabilmente la tenevano occupata piú di ogni altra cosa tranne dormire e meditare, era ancora piú folta e splendida nell’afa estiva. Tra i pantaloni di velluto a coste senza cintura e l’aderente camicetta a scacchi con le maniche corte spuntava una striscia di pancia nuda che poteva appartenere a una tredicenne. Anabel aveva trentasei anni. Io ne avrei compiuti trentaquattro due mesi dopo.
– Hai il permesso di avvicinarti, – disse, nel momento in cui stavo per avvicinarmi.
– Oppure no, – aggiunse, nel momento in cui stavo decidendo di non farlo.
I gas di scarico dell’autobus indugiavano sulla strada infossata, piena d’insetti.
– Siamo quasi perfettamente fuori sincrono, – dissi.
– Davvero? – ribatté Anabel. – O lo sei solo tu? Io non mi sento fuori sincrono.
Volevo farle notare che, per definizione, una persona non poteva essere in sincrono con un’altra che era fuori sincrono con lei; tuttavia bisognava tenere conto dell’albero delle decisioni. Ogni sua affermazione mi forniva svariate alternative di risposta, ciascuna delle quali avrebbe provocato un’affermazione diversa, alla quale, di nuovo, avrei potuto rispondere in svariati modi, e sapevo con quale rapidità potevo venire spinto a percorrere otto o dieci passi sopra un ramo pericoloso, e che lavoro disperatamente lento sarebbe stato ripercorrere i miei passi sul ramo fino a un punto di partenza neutrale, poiché anche il lavoro di ripercorrere i miei passi avrebbe prodotto affermazioni alle quali avrei inevitabilmente fornito una certa percentuale di risposte problematiche; e cosà avevo imparato a stare attentissimo a quel che dicevo nei nostri primi momenti insieme.
– Ti dico subito – dissi – che stasera devo assolutamente tornare in città con l’ultimo autobus. Parte molto presto, tipo alle otto.
Anabel fece una faccia triste. – Non ti fermerò.
Nel minuto trascorso da quando ero sceso dall’autobus, il cielo era diventato sempre meno grigio. Grondavo sudore da tutti i pori, come se qualcuno avesse acceso una griglia.
– Pensi sempre che voglia trattenerti, – disse Anabel. – Prima ti faccio venire qui quando non hai intenzione di venirci. Poi ti costringo a rimanere quando vorresti andartene. Sei sempre tu quello che va e viene, ma chissà perché sei convinto che sia io a tirare i fili. E se tu ti senti impotente, immagina come mi sento io.
– Volevo che fosse chiaro, – dissi con cautela. – Prima o poi dovevo dirlo, e se l’avessi detto piú tardi, forse avresti pensato che cercassi di nascondertelo.
Anabel scosse la chioma con aria scontenta. – Perché ovviamente ci resterei male. Ovviamente mi si spezzerebbe il cuore se tu dovessi prendere l’autobus delle otto e undici. E tu ti stai chiedendo: quale sarà il momento migliore per comunicare questa notizia straziante alla tua appiccicosa, soffocante, ex chissà cosa?
– Be’, come stai dimostrando proprio ora, – le feci notare, – in entrambi i casi si corrono dei rischi.
– Non so perché mi consideri tua nemica.
Sulla strada principale arrivavano delle macchine. Mi avvicinai ad Anabel sulla strada secondaria, e lei mi chiese se credevo che ci sarebbe rimasta male se non mi fossi fermato a dormire.
– Forse un pochino, – risposi. – Ma solo perché avevi detto di non avere niente in programma per domani.
– Quando mai ho qualcosa in programma?
– È proprio questo il punto. Perciò il fatto stesso che tu lo abbia detto…
– Si è subito tradotto nella tua mente in una minaccia di ritorsione se avessi deciso di non stare con me anche domani.
Sospirai. – In questo c’è una parte di verità .
– Ottimo, – disse Anabel. – E all’improvviso non sono piú sicura di volerti vedere, perciò.
– Va bene, – risposi, – anche se avrei preferito che me lo dicessi prima di invitarmi qui e farmi passare mezza giornata in autobus.
– Non ti ho invitato. Ho accettato la tua offerta di venire a trovarmi. C’è una bella differenza. Soprattutto quando ti presenti cosà carico di ostilità , e la prima frase che ti esce di bocca è che devi andartene presto. La prima frase che ti esce di bocca.
– Anabel.
– Tu sei stato in autobus tutto il giorno. Io sono stata qui ad aspettarti. A chi è andata peggio? Chi è piú patetico?
Era umiliante fare l’albero delle decisioni con lei. Umiliante la prontezza con cui le contestavo ogni minimo punto, umiliante che continuassi a farlo dopo l’infernale quantità di volte in cui lo avevo fatto negli ultimi dodici anni. Era come contemplare la mia dipendenza da una sostanza che ormai da tempo non mi dava piú un briciolo di piacere. ...