Quel giorno Lila sarebbe andata al mercato di Thul. Doveva comprare del riso, e forse zucchero e tè. Hari aveva raccolto sei grappoli di noci di cocco e le aveva vendute ai malabari che venivano con il camion da Bombay, perciò aveva un po’ di denaro da spendere. Dopo che Bela e Kamal furono uscite per andare a scuola, Lila tolse il suo sari piú bello dal baule metallico nell’angolo della stanza che condivideva con le sorelle e lo indossò. Era di semplice cotonina rosa, con un motivo a fiori marroni e un orlo viola, ma lo portava cosí di rado che pareva nuovo e la faceva sembrare piú giovane e graziosa degli altri giorni, quando indossava il sari in tinta unita, verde o rosso scuro, di stoffa spessa e resistente. Anche lei si sentiva piú giovane e felice: prese la sacca di tela appesa al chiodo dietro la porta, salutò sua madre, che sembrava addormentata e non rispose, poi si incamminò lungo la spiaggia che brillava, già calda nella luce del mattino.
Anche altre donne si stavano avviando al mercato con grandi ombrelli per proteggersi dal sole rovente. La superficie del mare era tutta un luccichio, sembrava uno specchio in frantumi, tutti rilucenti. In mezzo a quello splendore, le uniche chiazze scure erano i due isolotti di Undheri e Kundheri. Su uno c’era una piccola fortezza costruita molti secoli prima, ora abitata solo dalle lucertole. Spinti dalla brezza, i grossi dhow e i catamarani scivolavano veloci sull’acqua, trasportando le merci lungo la costa verso il Gujarat e Saurashtra.
C’era un po’ di confusione sulla riva, dove un camion venuto a scaricare legname si era insabbiato. L’autista imprecava e i ragazzi del villaggio che non andavano a scuola vennero a dare una mano. Sparsero sulla sabbia grosse foglie di palma e altre ne infilarono sotto le ruote per farle scivolare fuori dai solchi.
Proprio mentre Lila passava, le ruote cominciarono a mordere e il camion, schizzando sabbia in tutte le direzioni, si rimise in moto ruggendo.
– La prossima volta, porta il legname con un carro, – gridò all’autista uno dei ragazzi, e gli altri scoppiarono a ridere.
– Pensate che sarei disposto a guidare un carro tirato dai buoi? – ribatté quello sporgendosi dal finestrino.
– I buoi non affondano nella sabbia come il tuo bel camion… – urlarono i ragazzi, ma quello se n’era già andato.
Lila affrettò il passo, le piante dei piedi bruciavano sulla sabbia arroventata. Poi raggiunse i grossi baniani e le palme slanciate la cui folta chioma gettava un po’ d’ombra sul terreno piatto e rinsecchito intorno al villaggio. Lí faceva piú fresco.
La viuzza che conduceva al mercato era fiancheggiata da case, alcune di solidi mattoni intonacati di bianco, con luminosi motivi floreali sulle pareti delle verande, altre di fango, con malandate foglie di palma come copertura. Ma tutte, piccole o grandi, ricche o povere, avevano una sacra pianta di basilico in un vaso accanto all’ingresso. Bambini e cagnetti bastardi giocavano nella polvere, le donne pulivano il riso o gettavano secchiate di acqua sporca sul sentiero.
In fondo alla stradina c’era il tempio, non molto vecchio né particolarmente bello: solo una tettoia di tegole sostenuta da quattro pilastri di mattoni, un cortile non cinto da mura e una nicchia che ospitava un idolo. Ma sui gradini erano seduti parecchi uomini che cantavano accompagnandosi con i tamburi.
Lila non poté fare a meno di fermarsi a guardarli e una ragazzina, affacciandosi da una delle case di mattoni sull’altro lato della viuzza, le gridò: – Hai visto, Lila, sono arrivati gli attori. Stasera c’è spettacolo.
Era Mina, la sua amica. Lila le si avvicinò sorridendo. – Che cosa fanno? Lo sai?
– Non lo so, ma sarà sempre il solito spettacolo, – disse Mina che li vedeva tutti, dal momento che abitava proprio davanti al tempio dove si tenevano le recite. – Sarà la storia di Radha e Krishna, o quella di Rama e Sita, o quella di Nala e Damayanti. Fanno sempre le stesse cose, lo sai.
Lila ne aveva viste pochissime. – Ci andrai? – s’informò con una certa invidia.
– Basta che mi sieda qui in veranda a guardare!
– Sei fortunata ad abitare qui nel villaggio.
– Vieni da me, stasera!
– Non posso uscire di sera.
– Perché no? Fatti accompagnare da Hari.
– Non possiamo uscire tutti e due e lasciare sole le bambine.
– Ma cosa vuoi che succeda? Ci sono tuo padre e tua madre.
Ma Lila scosse il capo senza dare spiegazioni. – Adesso devo andare al mercato. Vieni con me?
A quanto sembrava, Mina non aveva nulla da fare – i suoi genitori le stavano cercando un marito – cosí andò con lei. Percorsero insieme l’intera viuzza, passando accanto alle donne sedute ai lati, ognuna con la sua mercanzia ordinatamente disposta su foglie di banana, di solito qualche melanzana dal cupo colore violetto, qualche mazzo di spinaci, qualche banana, magari una noce di cocco ancora verde, e sempre manciate di fiori, rosa, bianchi e gialli, raccolti da cespugli e siepi. Mina ne comprò alcuni per farsi una ghirlanda per i capelli. Con pochi spiccioli in piú se ne poteva comprare una già fatta.
Lila proseguí fino ai due empori della piazza del mercato, dove si poteva comprare un po’ di tutto: riso, patate, uova, zucchero, olio, tè, anche dolci. Dopo aver esaminato tutte le varietà che il negozio offriva, comprò il riso che sembrava migliore tra quelli che costavano poco. C’erano molte altre persone che aspettavano di essere servite, e mentre si aggiravano nel negozio vagliando il riso o tastando le patate, spettegolavano a piú non posso. Cosí Lila e Mina scoprirono a cosa sarebbe servito il legname scaricato giú alla spiaggia.
– Hai visto, è arrivato il legno per Biju, da Alibagh.
– Oh, è per la barca di Biju?
– E il motore diesel, è arrivato anche quello? – ridacchiò qualcuno.
– Arriverà anche quello, vedrai. Biju non ci prende in giro. Ne può comprare due di motori diesel, con tutti i soldi che ha.
– Vedremo.
Lila e Mina uscirono; la borsa di Mina era piena e pesante.
– Mio padre dice che Biju si fa tutti quei soldi con il contrabbando.
– Contrabbando? – Lila non era cosí sorpresa, aveva già sentito quella storia. – E tu ci credi?
– Certo che ci credo, come farebbe altrimenti ad avere la televisione?
– Hari dice che non funziona, siamo troppo lontani da Bombay.
– Forse andranno a stare a Bombay, quando avranno ancora piú soldi.
Lila e Mina non erano mai andate piú in là di Alibagh, il capoluogo distrettuale. Ma avevano sentito parlare di persone piú avventurose che erano salite su un autobus o sul traghetto a Rewas, ed erano andati fino alla grande città dall’altra parte del mare. Da piccole facevano spesso il gioco di «andare a Bombay», ma ora non piú.
Lila lasciò la viuzza e svoltò verso la spiaggia, ancora piú deserta e rovente di prima.
– Vieni a vedere lo spettacolo, stasera, – le gridò Mina.
– Forse, – rispose Lila, già sapendo che non l’avrebbe fatto.
Adesso la barca di Biju era in costruzione. I ragazzi del villaggio – tra i quali spesso c’era anche Hari – venivano a curiosare. Biju aveva fatto venire degli uomini da Alibagh perché non aveva fiducia in quelli di Thul, che pure non avevano fatto altro che costruire barche per tutta la vita. Perciò gli abitanti di Thul venivano a guardare e prendevano in giro quelli di Alibagh. E certe volte Biju si infuriava e gli urlava dietro con tutto il fiato che aveva in gola. Biju veniva a controllare l’andamento dei lavori. Un ragazzino portava un seggiolino pieghevole, lo sistemava sulla sabbia e Biju ci si sedeva con cautela, ripiegando con cura il suo dhoti di cotone e sedendosi in modo palesemente scomodo. Sarebbe stato molto piú a suo agio se si fosse accoccolato sui talloni come facevano tutti, ma adesso era un grande armatore e si sentiva in dovere di sedersi su una sedia, un gradino piú in alto degli altri. Talvolta veniva anche sua moglie, ma non aveva un seggiolino pieghevole, perciò se ne stava lí in piedi e quando era stanca se ne tornava a casa. Era una grande casa di mattoni a due piani, in mezzo a una piantagione di palme da cocco e da betel, con un fogliame cosí fitto che quasi non filtrava la luce. Dovunque c’erano segni della loro ricchezza: pozzi profondi da cui attingere l’acqua, molti carri e molti buoi, galline e anatre, grandi cataste di legna da ardere, una piccionaia e il famoso televisore – l’unica antenna di Thul, appollaiata sul tetto di lamiera blu della casa. Il cui nome campeggiava su una targa di metallo in cubitali lettere rosse: «Anand Bhavan», la casa della gioia. Ma a causa degli alberi cosí fitti, della scarsa luce e dell’incuria con cui era tenuto il grande giardino, la casa era tutt’altro che gioiosa, tetra piuttosto. Quel che è certo è che la moglie di Biju, quando tornava dalle passeggiate sulla spiaggia, non aveva mai un’espressione felice. Sapeva che al villaggio spettegolavano sul loro conto e le dispiaceva.
L’intero villaggio, a turno, veniva a vedere la grande barca in costruzione. Nessuno ne possedeva una eguale, e nessuno aveva mai lavorato su una barca cosí grande. Forse erano invidiosi e perciò non avevano mai una parola di ammirazione. O forse erano davvero convinti che in mare non si sarebbe portata bene, grossa e tozza com’era. E poi, la costruivano quelli di Alibagh. Ma in un certo senso erano anche orgogliosi che uno di Thul si potesse permettere una barca del genere, anche se quell’uno era Biju che, tutti lo sapevano, faceva il contrabbandiere.
– Contrabbandiere, contrabbandiere, contrabbandiere, – bisbigliavano i bambini senza farsi vedere, e ridacchiavano fino a quando Biju non li cacciava via con un urlo.
– Biju andrà in prigione! Biju andrà in prigione! – cantilenavano dandosela a gambe, e Biju era troppo grasso e vecchio per acchiapparli e pestarli come meritavano.
– Credi che ci siano dei contrabbandieri, qui al villaggio? – chiesero Bela e Kamal al fratello quella sera, prima di addormentarsi.
– Certo che ce ne sono.
– Ma di cosa fanno contrabbando?
– Oro e argento.
– Noo!
– Sí invece. È cosí che diventano ricchi.
– E dove li pigliano… l’oro e l’argento, dal mare?
– Ma no, stupide, li portano dall’estero, dove ci sono le miniere e costano meno. Ci sono dei dhow che arrivano dall’Africa, dall’Arabia, poi li scaricano sulle barche da pesca dei contrabbandieri che vanno loro incontro in alto mare. Poi li portano a riva e li rivendono a caro prezzo.
– Ma tu hai mai visto niente di tutto ciò?
– No, – ammise Hari, – ma ne ho sentito parlare. Voi ragazze andate pazze per i gioielli, e comprate cosí tanto oro e argento che i contrabbandieri fanno un sacco di soldi. A quanto pare Biju si è arricchito cosí.
– Dicono che costruirà il peschereccio piú grosso di Thul.
– E sarà il migliore. Mi piacerebbe lavorare su quella barca.
– Come, sulla barca di Biju?
– E perché no?
Per favore, non andare a lavorare per Biju! Un minuto fa hai detto che è un contrabbandiere. Potresti diventare un contrabbandiere anche tu.
– Allora diventerò ricco come lui, – rise Hari, – e potrò comprarvi collane d’oro e anelli d’argento per le dita dei piedi…
– Ma no, Hari! – Le due bambine erano allarmate. – Vi scopriranno e vi metteranno in prigione.
– In tal caso mi porteranno a Bombay. Almeno riuscirò ad andarci.
– Vuoi andartene via? – sussurrarono, spaventate dall’amarezza che sentivano nella sua voce.
– Certo che ci voglio andare. E voi no?
Si misero a bisbigliare tra loro, e poco dopo, quando udirono un gemito dal letto della madre, Hari le zittí. Si addormentarono quasi subito, mentre Hari rimase sveglio, ascoltando il loro respiro profondo e regolare, che faceva da contrappunto al respiro piú profondo e piú forte del mare là fuori; fantasticando sulle navi che lo solcavano libere, dirette a Bombay, in Africa, in Arabia. Se solo fosse riuscito a imbarcarsi su una nave, almeno fino a Bombay.
Bombay! Guardò le stelle fuori dalla finestra, chiedendosi se le luci della città fossero cosí luminose, o di piú. Era una città ricca, se fosse riuscito ad andarci avrebbe potuto far soldi, portare a casa ori e argenti con cui abbagliare le sue sorelle.
No, disse a se stesso, chiudendo gli occhi. Che sogno stupido. Non poteva permettersi di sognare, doveva essere pratico e fare un piano preciso. Non era facile, e presto si addormentò per la stanchezza.
Invece di pescare lungo riva o di lavorare il loro campo arido, Hari passava sempre piú tempo con gli altri ragazzi a guardare come procedevano i lavori sulla barca. Il legname grezzo veniva piallato – le tavole rosso oro spiccavano nel sole. Era legno vero, molto bello, non ricavato dai tronchi delle palme come si faceva al villaggio. Non aveva odore di mare e di pesce, ma di legno, di segatura, di foreste, di cose lontane e meravigliose – un legno asciutto, durevole, prezioso. Quell’odore gli faceva pizzicare il naso.
Biju era come al solito scomodamente seduto sul suo seggiolino e stava a guardare. Quando qualcuno gli si avvicinava abbastanza per parlare, si vantava: – Ci metterò un motore diesel e un frigorifero. Un congelatore, – pronunciava lentamente quelle parole poco familiari, piú impressionato lui dei suoi uditori. – Cosí la barca potrà restare in mare per giorni e il pesce non andrà a male. Arriverà ancora fresco a Bombay.
– Congelato, non fresco, – mormorò Hari, ma Biju non l’udí.
– Quanto ti costerà? – chiese sbalordito uno del villaggio che possedeva solo due capre e una pentola e non riusciva neppure a immaginare la quantità di denaro che Biju possedeva.
– Oh, due lack, forse due e mezzo, – disse Biju con l’aria indifferente, ma roteando gli occhi spaventato all’idea di quell’enorme cifra, duecentocinquantamila rupie!
– Cosí tanto?
– Non importa. Una volta in mare mi farà guadagnare almeno cinquantamila rupie al giorno, – disse Biju con orgoglio.
Hari continuava a tracciare segni sulla sabbia, ma non perdeva una parola di quella conversazione. Sebbene per qualche anno fosse andato a scuola, anche lui, come quel povero pastore, non riusciva a immaginare una simile somma di denaro. Era abbagliato dal modo in cui Biju dipingeva il futuro, anche se non ci credeva del tutto. In mare i pericoli erano molti. Hari sapeva benissimo quanta gente si era persa in mare, quanti erano annegati nella stagione dei monsoni, quante barche erano naufragate. Nello stesso tempo pensava ai viaggi lontani, al mare immenso, ad andarsene per sempre, oppure tornare incredibilmente ricco… e questo lo allettava, molto.
Quando Ramu gli passò accanto in bicicletta e gli disse: – Dài, vieni con me, – Hari acconsentí di buon grado e s’incamminò affondando nella sabbia, chiedendosi se prendere le parti di Biju, o di quelli che lo denigravano.
Ramu di sicuro non gli credeva: – È solo una barca da pesca, anche se ha un freezer. Sai benissimo cos’è un monsone, basta una tempesta e la barca va a fondo come una scatola di fiammiferi, esattamente come tutte le altre barche. Non può essere cosí robusta da navigare anche durante il monsone, perciò a cosa serve? È una pagliacciata!
– Comunque durante la stagione di pesca farà un sacco di soldi, – disse Hari.
– E cosa farà quando la stagione di pesca finisce? Si siederà sulla riva a riparare le reti come tutti gli altri? No, molto meglio avere un lavoro, guadagnarsi un salario giorno per giorno. E poi ci sono tutti gli altri vantaggi, la mensa, il dottore che ti visita se hai qualcosa che non va, ferie pagate, è questo che voglio –. Ramu scampanellò allegramente.
– E tu credi di trovare un lavoro cosí qui a Thul? – Hari era ancora piú dubbioso di quando pensava al...