Neanche mezz’ora dopo che la Irace e l’avvocato Capone erano andati via, Ricciardi sentà bussare alla porta dell’ufficio. Dallo spiraglio spuntò la testa di Maione.
– Che faccio, commissa’, ve lo porto un poco di caffè?
– Raffaele, perché sei qua? Ti avevo dato un ordine.
Maione sorrise, furbo.
– Commissa’, voi mi avete ordinato di andare a casa, non di rimanerci. Io ci sono andato, mi sono lavato, mi sono fatto la barba e sono tornato di corsa. Per carità , quella pare un ospedale, casa mia. I bambini che piagnucolano, Lucia e le figlie piú grandi che corrono da un letto all’altro: credetemi, sto meglio qua. E poi il pensiero di quel poveretto morto a terra non se ne andava dalla testa. Che è successo nel frattempo?
Ricciardi lo informò in merito al colloquio che aveva avuto con la vedova e il cugino. Maione ascoltò, assorto, infine mormorò:
– Sannino. La faccenda si fa seria. Voi lo sapete chi è, vero, commissa’?
La risposta di Ricciardi fu un po’ incerta.
– Mi pare sia un pugile, no? Uno bravo, un campione. Ne ho letto da qualche parte. E ricordo che una volta trasmettevano una cronaca con gli altoparlanti a largo Carità ; c’era un sacco di gente. Credevo stesse in America, però.
Maione alzò gli occhi al soffitto, sconsolato.
– Ho capito, è meglio che vi ragguaglio un poco. Sannino è di qui. È emigrato in America anni fa ed è diventato campione del mondo, categoria mediomassimi; non ha mai perso. Lo chiamano il Serpente, perché colpisce all’improvviso, proprio come quei rettili velenosi, avete presente? Non vi dico il regime: il maschio italiano invincibile, la forza latina… Lo hanno trasformato in una specie di ambasciatore sportivo. Ne ha parlato pure il duce: un esempio per tutti eccetera. Poi, un anno fa piú o meno, doveva difendere il titolo contro un negro. Lo ha mandato al tappeto con un colpo alla tempia e quello, non ricordo come si chiamava, non si è svegliato piú. Dopo un mese è morto.
Ricciardi si era fatto attento.
– Be’, è stato durante l’incontro. Un incidente, insomma. Succede, nel pugilato.
Maione assentÃ.
– SÃ, commissa’. Però da allora Sannino ha smesso di combattere. È rimasto, come vi devo dire?, impressionato assai. E da eroe è diventato una specie di vergogna nazionale. Ma come?, ha detto Mussolini o chi per lui: tu vinci, sei fortissimo, sei tanto forte che addirittura ammazzi un avversario, che peraltro è solo un negro, e voi sapete come la pensano questi, e ti ritiri? Allora sei un vigliacco, sei. Cosà è andato in disgrazia.
– Continuo a non comprendere. Va bene, non ha combattuto piú, ha fatto questa scelta. Ma perché se ne discute ancora?
– Se ne discute perché la gente è divisa, commissa’. Ci sta chi dice che ha fatto bene e chi dice che se ne doveva fregare e continuare a combattere, magari ammazzando altri avversari. Lo sapete come funziona la pubblica opinione, no? Ma la cosa rilevante, per noi, è che Sannino è tornato piú o meno da una decina di giorni. La notizia è uscita su tutti i giornali.
Ricciardi rifletteva.
– Be’, a quanto pare il pugile che non è piú un pugile si è messo a cantare serenate e ha minacciato di morte Irace. Dobbiamo scoprire perché.
– Quindi andiamo a prendere Sannino e lo interroghiamo, commissa’? – domandò Maione.
– Non subito, Raffaele. Procediamo per gradi. Prima raccogliamo maggiori informazioni sull’affare che ha portato la vittima nella zona del porto di mattina presto. Voglio capire come funziona questo mestiere del commerciante di tessuti e voglio vedere il negozio. Facciamo una chiacchierata con chi lavorava con lui. E appena possibile sentiamo che ci dice il dottore dell’esame sul cadavere.
La popolazione della città non teneva in gran conto, almeno per quanto riguardava le strade piú note, la toponomastica ufficiale. Una volta che aveva battezzato una via con un nome, si rifiutava di riconoscergliene un altro, anche se attribuito dopo pompose cerimonie con scoperture di targhe e concerti di bande. Ragion per cui corso Umberto I, la lunga via che correva parallela al mare, un po’ all’interno, legando i grandi palazzi del centro alla stazione dei treni, era per tutti il Rettifilo, e cosà si sarebbe chiamata per sempre, re o non re.
Una specie di piccola, beffarda resistenza alle imposizioni dei tanti dominatori che si erano susseguiti.
Il premiato negozio di tessuti Irace & Taliercio era collocato in un’ottima posizione, nella parte iniziale dell’arteria, quasi di fronte alla sede dell’Università . Aveva un bell’ingresso e tre ampie vetrine, davanti alle quali ogni giorno si soffermavano coppie e signore incantate dalle morbide stoffe esposte con maestria.
Dato ciò che era accaduto, Ricciardi e Maione si aspettavano che l’esercizio fosse stato chiuso in tutta fretta; erano convinti che, nel migliore dei casi, per parlare con un commesso avrebbero dovuto bussare alla serranda, magari abbassata a metà . Invece era aperto, e per di piú preso d’assalto da una piccola folla che sperava di carpire informazioni in merito all’assassinio.
Il brigadiere si fece strada, sfruttando la divisa. La gente lo lasciò passare, ma nessuno se ne andò: la curiosità era forte. All’interno, dietro al lungo banco, c’erano quattro persone, due uomini e due donne. Uno degli uomini si avvicinò, pallido e visibilmente agitato. Sia Ricciardi sia Maione notarono che somigliava alla vedova Irace.
Si presentò.
– Buongiorno. Sono Michelangelo Taliercio, proprietario del negozio.
Maione si toccò la visiera del berretto.
– Brigadiere Maione, della questura. Questo è il commissario Ricciardi, il mio superiore.
Scese il silenzio. Ricciardi disse:
– Credevo che il proprietario fosse il signor Irace.
Maione gli lanciò una mezza occhiata sorpresa: a volte il commissario esagerava con la durezza.
Taliercio arrossÃ, poi rispose:
– Siamo soci. O meglio… lo eravamo.
Ricciardi annuÃ.
– Già . Ci aspettavamo di trovare il negozio chiuso, abbiamo solo provato a passare.
– In genere era Costantino ad aprire, ma oggi aveva una commissione da fare, perciò sono venuto io. Quando è arrivata la notizia stavamo già tutti qua, ed è stata subito una processione di clienti che volevano sapere. Non abbiamo piú potuto andarcene.
Il commissario si guardò attorno; ad assistere alla conversazione c’era un vero e proprio pubblico, come a uno spettacolo di prosa.
– Non c’è un posto dove possiamo parlare in privato?
L’uomo seguà lo sguardo di Ricciardi e rispose:
– SÃ, certo. Prego, accomodatevi.
Guidò i poliziotti in un ufficio sul retro, al quale si accedeva da una porta tra due scaffali alle spalle del bancone. All’interno c’era una scrivania con il piano ingombro di ritagli di stoffa, registri e libri contabili, fatture e documenti, oltre a forbici e aghi di ogni misura.
Taliercio cercò goffamente di mettere un po’ d’ordine.
– Scusate, commissario. Non ci aspettavamo visite, stamattina. Non ci aspettavamo proprio niente, per la verità .
Maione lo squadrò. Non poteva avere piú di trent’anni, anche se mal portati. Il volto era segnato dalle rughe, aveva le occhiaie, i capelli erano pettinati all’indietro con la brillantina. Indossava una giacca sportiva marrone con la martingala e un paio di pantaloni di una tinta appena piú chiara. La camicia aveva il colletto inamidato, che però sembrava un po’ sgualcito, sotto la cravatta larga, a righe, fermata da una spilla d’oro.
Il brigadiere domandò:
– Come vi è arrivata la notizia?
– Un’ora fa è venuto il figlio del portiere di mia sorella. Sarei corso subito da lei, ma vedete quanta gente c’è, non era pensabile lasciare il negozio in mano ai commessi. Per carità , è gente fidata, ma potete immaginare: se uno si allontana, in questa situazione, qua è tutto un piglia piglia.
Taliercio, rifletté Ricciardi, era uno di quegli uomini che pensano ad alta voce.
– Prima avete accennato al fatto che vostro cognato aveva un impegno, stamattina. Avete idea di che cosa si trattasse?
– Sicuro, commissario. Costantino doveva andare al porto per incontrare un mediatore con cui abbiamo trattato una partita di pettinato di lana, un acquisto piuttosto grosso.
– SÃ, vostra sorella ci ha anticipato qualcosa, ma vorremmo avere maggiori dettagli.
Taliercio sospirò.
– Cettina sarà straziata. La vita non è stata generosa, con lei. Ditemi, comunque. Che volete sapere, esattamente?
– Quando avete visto vostro cognato per l’ultima volta?
– Ieri sera. Sono stato a cena a casa sua.
– Avete parlato di quello che doveva fare? Era nervoso o…
Taliercio scosse il capo, con un sorriso triste.
– Mio cognato? Come si vede che non lo conoscevate. Lui è… era uno spavaldo, non teneva paura di niente e di nessuno. E l’accordo che doveva siglare stamattina era importantissimo. Ci avrebbe messo a posto per almeno due stagioni invernali a un prezzo bassissimo. Avremmo spazzato via la concorrenza. Lui pensava a questo. Figuriamoci se era spaventato.
Maione tossicchiò.
– E però ci hanno detto che proprio ieri, a teatro, aveva ricevuto delle minacce.
Taliercio indurà l’espressione.
– SÃ, me l’hanno raccontato. E sapevo già del ritorno di quell’infame di Sannino. Ma Costantino si è fatto una risata, diceva che se se lo ritrovava davanti ai piedi lo pigliava a calci.
Ricciardi intervenne.
– Eppure sono volate parole grosse, e in pubblico. Vostro cugino ci ha raccontato che…
Taliercio fece una smorfia.
– Mio cugino ha sempre paura di qualcosa o...