Io, Agamennone
eBook - ePub

Io, Agamennone

Gli eroi di Omero

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Io, Agamennone

Gli eroi di Omero

Informazioni su questo libro

Uomo di potere, abituato a decidere le sorti della sua gente, orgoglioso, superbo, duro, Agamennone è solo nel buio della notte mentre, oltre la prua, scruta l'orizzonte. E ricorda i dieci anni di una guerra sanguinosa che ha visto cadere sul campo di battaglia uomini valorosi e forti, sprezzanti del nemico e del destino. Con uno sguardo meno affascinante di quello di Ulisse e Achille ma piú complesso e obiettivo, il re di Micene ci porta dritti al centro del mondo omerico: i suoi eroi, i suoi valori, il suo senso della gloria e della vendetta, dell'amore e della morte. Spinto dal gusto e dal piacere del racconto, e guidato dal rigore filologico, Guidorizzi, attraverso una forma saggistica di tipo narrativo, ricostruisce la storia di una società tribale, in cui ogni uomo agisce dietro l'impulso di una sfida continua con le grandi forze dell'esistere e ci restituisce, dall'interno, il fascino di una cultura che parla a noi di noi.«Ma chi sono gli eroi? Molte delle loro vite sono finite nella pianura di Troia; i loro corpi sbranati da cani e avvoltoi. Da allora non hanno piú abbandonato la memoria della nostra civiltà. Erano comandati da un uomo che regnava su una città difesa da mura gigantesche, Micene, un nido d'aquila in cui avvennero crudeli vicende. Nessun altro portò a Troia tante navi come lui, tanti soldati e carri da guerra. Cento navi piene dei guerrieri piú forti, scelti dalle sue molte città; che Agamennone guidava combattendo, avvolto nella sua armatura di bronzo rilucente nel sole. I cantori ricordano ciò che è accaduto, il bello e il brutto insieme. E ricordano il re Agamennone».

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Io, Agamennone di Giulio Guidorizzi in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
Print ISBN
9788806225933
eBook ISBN
9788858422908

Psyché

La sottile materia dell’anima

Achille cammina sulla riva del mare, inquieto, passeggiando avanti e indietro, in attesa che Patroclo torni, come gli ha raccomandato. Il sole intanto cala su quella giornata funesta. Ha sentito le urla e le ondate dei rumori della battaglia allontanarsi nella direzione della pianura e ha capito che i Troiani si stanno ritirando; l’armata è salva, perché Patroclo non si vede ancora?
Ha mandato uno dopo l’altro tre scudieri a richiamarlo, e nessuno è tornato. Allora gli si è spalancato davanti il momento orribile che tocca a tutti prima o poi, e che ognuno ricorderà finché avrà un soffio di vita: quello in cui il dolore si svela e ti sta accanto come se avesse un corpo.
Arriva sul carro, al galoppo, Antiloco, il giovane figlio di Nestore. Piange. «Achille, Patroclo è morto, Ettore l’ha ucciso in battaglia e gli ha tolto le tue armi; ora sul suo corpo nudo ci si massacra, perché gli Achei non vogliono lasciarlo come trofeo dei Troiani».
La mente di Achille diventa nera, come se una nube di tempesta gli fosse caduta sugli occhi. Impossibile, impossibile, impossibile, Patroclo non c’è piú! Afferra una manciata di cenere dal focolare e se la sparge sul capo urlando, rovescia altre manciate su tutto il corpo, si getta tra la polvere, rotolandosi e singhiozzando, stracciandosi le vesti sinché non rimane quasi nudo. Gli scudieri lo guardano sconvolti, ma cosí deve essere perché ciò che è orribile nell’anima deve essere reso orribile agli occhi di tutti, in modo che chi assiste allo strazio possa capire quanto profondo è l’abisso di male in cui un uomo è precipitato, perché non si può provare sino in fondo il lutto se non rendendolo evidente. Le schiave escono dalla tenda e iniziano anche loro a gemere e a urlare: piangono Patroclo, ma ognuna in cuor suo piange segretamente il proprio dolore. Antiloco stringe le mani di Achille perché teme che possa afferrare un pugnale e tagliarsi la gola. Achille urla con tanta forza che le sue grida di dolore arrivano persino sul campo di battaglia; simili a ululati di lupi, fanno rabbrividire i guerrieri. Niente di piú terrificante hanno visto quelle spiagge, che pure hanno assistito, in dieci anni, a tante scene efferate.
In battaglia Achille non può entrare subito, gli mancano le armi, ed è troppo disperato; corre verso il fossato continuando a gridare con tutta la forza, come un ossesso. Esce fuori dal muro, e vedendolo da lontano sembra che dalla sua testa monti una fiamma di colore mai visto prima, e il suo viso si sia trasformato in quello di un demone, fa spavento anche il suo corpo imbrattato di cenere, con la veste che gli cade a brandelli. Forse gli dèi gli hanno donato l’egida, l’arma che agghiaccia di terrore chi vi getta lo sguardo, forse in quel momento gli hanno dato una forza sovrumana, che esce da lui come un’ondata di terremoto. Tutti gli spettatori, amici e nemici, sono di ghiaccio. Basta la sua comparsa per fare indietreggiare i Troiani e lo stesso Ettore. Si diffonde un grande subbuglio, i cavalli imbizzariscono e nella calca qualcuno finisce travolto. Poi, per un tacito accordo, come quando il vento che agitava le onde cala d’un tratto e subentra la bonaccia, gli eserciti si separano e il corpo nudo di Patroclo, coperto di polvere e sangue, viene portato a braccia dai Mirmidoni sino all’accampamento.
È una sofferenza che non avrà consolazione; che cosa può confortarlo, ormai? La fama, la gloria, Briseide restituita? Piccole cose, in confronto all’enormità che è stata perduta. Tutti dicono che l’uomo è soggetto al destino e alla sventura, ma quando il destino arriva davvero non c’è nulla che possa medicare la ferita.
A che servono i doni che Agamennone certamente offrirà e le sue parole di scusa? L’angoscia è pensare che tutto questo avrebbe potuto non essere, e che Patroclo sarebbe stato ancora vivo, se... se...
Agamennone e Achille si trovano nuovamente faccia a faccia. Pochi giorni sono passati dalla loro contesa, eppure è cambiato tutto. Gli Achei si stanno raccogliendo in assemblea, ma molti non verranno perché tanti sono stati gli uccisi. E anche i feriti. I medici hanno lavorato molto nell’accampamento, spalmando erbe medicamentose sulle piaghe, tagliando, cauterizzando, pronunciando incantesimi e cantilene magiche, perché senza le parole segrete che i guaritori conoscono il sangue non si ferma. Sono medici che conoscono bene il corpo umano, tante volte hanno curato i sopravvissuti alla battaglia, hanno visto tendini recisi, vene aperte, e sanno perfettamente come funzionano le ossa e le articolazioni delle mani e dei piedi. Sono i medici di una società di guerrieri, abituati ai traumi, non a vedere un corpo che lentamente deperisce e si ammala. Pochi sono i vegliardi, tra gli Achei, la maggioranza muore nel fiore degli anni.
La rabbia oggi è svanita. Ci sono dolori piú forti di una schiava rapita. Il giorno precedente è scomparso Patroclo. E Achille ha provato per la prima volta che cosa significa l’immensità della perdita irrimediabile. Sino a quel momento era toccato a lui spargere sugli altri la sventura, ed era piombato sui nemici con la ferocia inconsapevole di un bambino che gioca. Come un dio, aveva visto il dolore degli altri lontano da sé, aveva ucciso e risparmiato a suo talento: solo ieri ha capito di essere una creatura mortale, come tutte, fragile e votata a perire, e oggi sa che cosa prova chi è vittima di un’offesa senza rimedio. Se quella notte avesse accettato le offerte di Agamennone, se fosse tornato a combattere anziché mandare Patroclo travestito al posto suo… se… se… I compagni cercano di consolarlo: quello era il destino di Patroclo, cosí doveva essere. Poi toccherà a ognuno di noi, sarà una mattina o un meriggio o una sera, non sappiamo quando, ma verrà.
Però questo ragionamento serve a poco. La sventura che si è abbattuta sopra di lui, trascinandolo in un gorgo senza fondo, sente in cuor suo di averla provocata lui stesso. Se nella lingua degli Achei esistesse la parola «rimpianto», Achille capirebbe meglio quel nodo di emozioni che lo devasta, dal momento in cui ha saputo che Patroclo è stato ucciso mentre stava combattendo con indosso la sua armatura.
L’esercito è radunato aspettando che Achille prenda la parola, e tutti tacciono sbigottiti davanti all’immensità del suo dolore. Quando si alza e parla una rabbia gelida si mescola alle parole, una sofferenza infinita gli scava il viso. Sembra invecchiato, le occhiaie gli affossano lo sguardo.
Poche frasi: «È stato un errore, Agamennone, che tu e io ci scontrassimo e che tu mi offendessi, come hai fatto, per Briseide. Ora però pensiamo alla vendetta, perché niente m’importa se non pagare il debito di Patroclo. Ettore è un uomo morto e non avverrà mai che possa compensarmi per quello che mi ha tolto neppure se oggi si gettasse ai miei piedi supplicando e mi promettesse l’intera Troia con tutti i suoi abitanti. C’è chi accetta il prezzo di un parente ucciso, persino di suo figlio. Non io. Armatevi per la battaglia e se non avete cuore per vendicare i vostri compagni uccisi lo farò da solo. Credo che domani sera potranno dormire felici quei Troiani che saranno riusciti a scampare alla mia lancia».
Agamennone lo ascolta e si rende conto di avere davanti un uomo molto diverso rispetto a quello che lo ha insultato pieno di furore perché gli aveva tolto una schiava.
«Patroclo lo amavamo tutti, era un uomo che sapeva essere dolce e forte e pochi di noi hanno questa natura; siamo duri, orgogliosi, cresciuti per essere sempre i primi. Ma lui sapeva smorzare in un attimo la rabbia e la ferocia attorno a sé, e tutti lo guardavano con gioia, quando lo incontravano. Sapeva anche placare l’ira furibonda di Achille, e persino con le prigioniere di guerra era gentile e pietoso. Uomini come lui rendono piú bella la vita degli amici. Com’è duro vivere. Ma gli dèi ci hanno dato questo; è la sorte di qualsiasi essere umano. Non c’è nessuno che sia felice per sempre».
Achille intanto è tornato al suo posto, dopo avere rinunciato all’ira, e tutti volgono gli occhi verso il trono in cui siede Agamennone, perché il dolore della sua ferita è ancora acuto. Ora tocca a lui dire quanto è necessario per porre termine alla contesa in modo onorevole. Non può certo umiliarsi davanti all’esercito ma sa che il popolo ama ascoltare, e che quando chi parla desta il piacere dell’uditorio ottiene un vantaggio, perciò si alza vincendo la sofferenza e pronuncia un discorso che ha meditato a lungo.
«Spesso in questi giorni gli Achei mi hanno biasimato perché ho offeso il guerriero piú forte. Ma voglio dirvi la verità: non sono colpevole io, sono colpevoli Zeus, le Moire e piú di tutti le Erinni che si aggirano nel buio e sono i demoni piú funesti.
Sono stati loro a ispirarmi pensieri pericolosi, il giorno in cui strappai ad Achille il suo dono d’onore. Un re, dicono, deve essere piú saggio e moderato di quelli su cui regna, eppure io cedetti alla rabbia. Ma che potevo fare? A dirigere il nostro pensiero spesso sono le forze divine, e soprattutto il demone che trascina tutti nell’errore, prima o poi: até, colei-che-rende-ciechi.
Lei ha i piedi molli e perciò non cammina sopra la dura terra ma si muove invisibile sulle teste degli uomini e li porta alla rovina. Ate decide chi deve accecare e si compiace di farlo con i piú potenti. Quel giorno ingannò me. Ma non sono l’unico: quando sceglie una vittima fa in modo che essa non comprenda quello che sta facendo. Solo dopo gli uomini si accorgono che la loro mente è stata avvolta dalle sue reti, rimpiangono quello che hanno fatto e tornano in senno, ma nel frattempo azioni folli sono state compiute, e niente può cambiarle, perché nessuno, nemmeno gli dèi, può volgere all’indietro il tempo.
Perciò non sono io il vero colpevole di quanto è accaduto; malgrado questo, però, voglio dare ad Achille come risarcimento i doni che gli avevo già promesso, e Briseide per prima».
Torna a sedersi sul suo trono, e gli uomini attorno a lui lo approvano. Achille dapprincipio replica che non gli importa il risarcimento, solo la vendetta. Parole pronunciate soprattutto per cortesia, ma in questi casi tutto deve avvenire secondo le consuetudini, perché non si dica poi che il riscatto non è stato pagato per intero e nascano nuove contese. Sarebbe disonorevole sia per Agamennone che per Achille, non risolvere la lite secondo i modi dovuti. Cosí si pesa l’oro davanti ai testimoni, i cavalli sono portati alla tenda di Achille, e con essi le prigioniere e insieme a loro Briseide: entra nella tenda timorosa che Achille si scagli su lei per essere stata la causa indiretta della morte di Patroclo. Piange, si graffia il volto e modula lamenti per Patroclo. Ma Achille non la tocca e non le dice nulla di aspro. Malgrado sappia essere feroce con i nemici, con le donne si mostra sempre gentile.
La psyché è l’ultimo respiro di vita che abbandona un uomo, lasciandolo immoto tra le braccia della morte. Simile a un alito di vapore l’anima-vita vola via come una farfalla dalla bocca dei moribondi o dalla loro piaga, da uno spiraglio di quel corpo che sino ad allora l’aveva trattenuta dentro di sé come un involucro, per trasferirsi, piangendo, in un luogo buio e inaccessibile, l’Ade, dove tutte le anime si raccolgono simili a pallidi fantasmi senza forze.
Il gran lottare, amare, odiare, soffrire che accompagna la vita degli esseri umani istante dopo istante si risolve dunque in questo: un soffio che svapora dell’aria, poiché l’anima-vita è fatta di materia, ma di una materia lieve che si consuma e si annulla, come un filo di fumo che si disperde nel vento.
Questa è l’anima che muore; e dentro ogni uomo, come in un tratto di cielo in cui ogni giorno corrono le nubi e poi torna a splendere il sole, s’inseguono senza tregua le passioni, e niente riesce a contenerle, come non si riesce a tener ferme le nubi.
Dentro di loro, gli eroi sentono ondeggiare senza fine un’energia sempre in movimento che chiamano thymós, un groppo di impulsi ed emozioni che trascina un uomo a tradurre subito in parole e fatti ciò che si agita in lui. Come una forza che sopraggiunge improvvisa, tutte queste emozioni intervengono invincibili dall’esterno a sconvolgere e squilibrare. Raramente un uomo si ferma a meditare: in genere risponde emotivamente, e subito, agli stimoli esterni. Solo pochi, come Ulisse, hanno imparato ad ammansire il loro istinto e a domare il proprio thymós con le briglie della ragione.
È un flusso interiore, carico di elementi emotivi, che opera senza apparente ordine ma sotto l’impulso di una coscienza provvisoria. Ciò che ha spinto Achille a ritirarsi dalla battaglia è stata la sua ira; e nel giro di pochi momenti si sono inseguite l’ira di Agamennone verso il sacerdote Crise, la paura di questi, l’ira divina di Apollo. L’ira, la paura, la rabbia riempiono i cuori e le viscere degli esseri umani, e passano su loro come una ventata o come un fiume che trabocca.
Quella sera, anche i Troiani, dopo il tramonto si trovano a dibattere. Sono indecisi se schierarsi nuovamente in battaglia il giorno seguente o rinchiudersi in città.
Il secondo consiglio sarebbe stato certamente il migliore e qualcuno lo sa bene.
«Non sfidiamo il destino, – dice Polidamante, il primo a prendere la parola. – Se oggi non siamo riusciti a bruciare le navi, tanto meno riusciremo domani, ora che Achille è tornato a combattere. Tutti sappiamo com’è capace da solo di travolgere un esercito, è bastato il suo grido per metterci paura; aveva qualcosa di spaventoso impresso sul viso, sembrava un mostro dell’oltretomba o uno degli incubi che talvolta ci compaiono di notte.
Il suo furore è diventato sovrumano, da quando Ettore gli ha ucciso l’amico piú caro. Non sfidiamo la sorte, compagni. Riflettete: io prevedo quello che accadrà. Oggi la notte ha fermato Achille, ma all’alba ce lo troveremo davanti armato, e prevedo che saprà ben farsi riconoscere.
Ascoltatemi: ritiriamoci dentro la città e sbarriamo le porte. Le mura sono solide, Troia è inespugnabile. Disponiamoci lungo i bastioni, armati di tutto punto, in modo da accogliere gli Achei come devono essere accolti.
Se Achille vorrà prenderla d’assalto sarà peggio per lui. Le mura non potrà scalarle, lisce e alte come sono, e si sfinirà correndo per niente attorno alla città alla ricerca di un varco, come un lupo si sfinisce rabbioso girando attorno allo steccato ben chiuso dove i pastori montano la guardia alle pecore».
Tanti visi si voltano verso Ettore. Polidamante ha parlato bene, ma tocca ora a lui decidere.
Ettore tace e china il capo. Riflette.
Come un lampo gli torna alla mente il ricordo di quello che è avvenuto due giorni prima, all’inizio della battaglia.
In un momento di pausa ha abbandonato l’esercito per rientrare in città e ordinare che si facessero sacrifici espiatori per Atena. Forse la dea si sarebbe placata.
I cavalli stavano galoppando allegri, riconoscendo la via, e sentivano a distanza l’odore della stalla dove erano nutriti ogni giorno con orzo bianchissimo da lui e dalla sua sposa Andromaca. Arrivato alle porte e affidato il carro alle sentinelle, si è avviato a lunghi passi verso la rocca sulla quale si distingueva la mole massiccia del tempio di Atena. Ed ecco apparirgli lí Andromaca, che correva verso di lui come una pazza, e dietro veniva la balia con il loro bambino in braccio. Le vesti femminili ondeggiavano lievi nell’aria, attorno alla donna in corsa, come nuvole leggere, un bagliore soffice che a Ettore sembrava irreale, dopo aver avuto davanti agli occhi il cupo luccichio delle armature degli uomini in guerra.
Hanno dato a loro figlio il nome di Scamandrio ma tutti lo chiamano Astianatte, il signore della città, che è di buon augurio per un futuro re. Ma avrebbe mai regnato? Il cuore di Ettore si stringe ripensando a quei momenti: le suppliche di Andromaca perché non si esponesse, la loro commozione davanti al pianto del bimbo spaventato dal viso del padre chiuso nella maschera dell’elmo. Quando Ettore se l’è sfilato Astianatte ha sorriso protendendo le piccole mani per essere preso in braccio dal padre, mentre Andromaca gli diceva tra le lacrime: «Tu, tu sei la sola cosa che mi resta, insieme a questo bambino, mio padre e i miei fratelli li ha tutti uccisi quel mostro, ma tu no, devi restare per noi». In quell’istante un dolore indicibile gli ha stretto il cuore immaginando la sposa schiava e il bambino ucciso. Ha dovuto farsi forza per lasciarli. Non poteva permettersi di essere debole quel giorno.
Si riscuote. Il fuoco arde illuminando attorno a lui i visi cupi, in attesa della sua decisione. Fuggire, ammettere di avere paura di Achille? In un attimo può decidersi un destino. Ettore è consapevole che fra Achille e la vita di suo figlio c’è solo la sua spada e piú che essere lui a parlare, sono le parole a uscire dalla sua bocca.
«Non mi piace il tuo consiglio, Polidamante. Non siete stanchi di chiudervi dentro Troia come topi in trappola? Quante ricchezze abbiamo consumato in questi anni di guerra, per quanto ne avremo ancora? Ci verrà a mancare il cibo, se gli Achei imbaldanziti stringeranno da presso la città, e nessuno potrà entrare né uscire. Oggi li abbiamo ricacciati verso le navi e io vi ho guidati alla vittoria. C’è mancato poco che le bruciassimo. Patroclo è morto, l’ho ucciso io con queste mani, in duello: non vedete che ora indosso l’armatura che è stata di Achille?
Datemi ascolto: montiamo la guar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Io, Agamennone
  3. Prologo
  4. Mýthos. Correre per una sposa
  5. Timé. Il codardo e il valente
  6. Eros. La cintura di Afrodite
  7. Dóra. Dare e ricevere
  8. Dólos. La notte delle spie
  9. Pólemos. La gloria dei forti
  10. Psyché. La sottile materia dell’anima
  11. Móira. Come un tuffatore nel mare
  12. Nóstos. Il ritorno
  13. Epilogo
  14. Il libro
  15. L’autore
  16. Dello stesso autore
  17. Copyright