Le solite sospette
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Le solite sospette

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Le solite sospette

Informazioni su questo libro

Quando Susan - a causa dei vizi nascosti del marito - si ritrova vedova e con la casa pignorata, insieme ad alcune amiche decide di compiere una rapina. Contro ogni probabilità, il colpo va a buon fine, e alle «cattive ragazze» non resta che raggiungere la Costa Azzurra, riciclare il denaro e sparire. Nulla che possa spaventarle, dopo tutto hanno piú di un motivo per riuscire nella loro impresa: andare in crociera e fuggire il brodino dell'ospizio.

«A John Niven riesce la magia di essere sacrilego e umanissimo insieme».
Ian Rankin, The Observer

«John Niven è uno spasso assoluto».
Irvine Welsh

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
Print ISBN
9788806230548
eBook ISBN
9788858423738

1.

Quanto sangue, pensò Susan Frobisher. Quanto sangue.
Era in cucina, coperta di quella roba dalla testa ai piedi. Il piano lavoro, il grembiule, il viso: tutto imbrattato. Davanti ne aveva una grande bacinella piena fino all’orlo. La scena da film horror veniva esaltata dal bianco abbacinante della cucina. Classico stile Shaker. L’avevano rifatta appena l’anno prima. Con tutti gli accessori: un cassetto frigorifero scorrevole all’altezza delle ginocchia, il tritarifiuti, uno di quei rubinetti pieghevoli che si vedono nei programmi di cucina in televisione e perfino una cantinetta portabottiglie. Non che lei e Barry bevessero piú granché, ormai, però tutte quelle bottiglie fresche allineate come missili su una rampa facevano comunque la loro porca figura. (Tutto opera di Cucine da Signori, il negozio di Havering Road. Barry aveva strappato un ottimo accordo, come sempre. Gli piaceva moltissimo, contrattare). Susan sbirciò il suo riflesso nell’anta di vetro fumé della cantinetta e, sangue a parte, non le dispiacque quello che vide all’alba delle sessanta primavere: l’aspetto era ancora giovanile, gli occhi limpidi e il fisico snello. I capelli si erano ingrigiti da una decina d’anni, ormai, e Julie insisteva sempre perché andasse dal parrucchiere, anche se i tempi in cui era l’amica stessa a poterle fare la piega erano ormai belli che andati…
Fuori, oltre i doppi vetri, la rugiada stava già svanendo dalla metà di giardino colpita dal sole. Era la prima settimana di maggio e la primavera era finalmente arrivata nel Dorset con tutti i crismi. Susan intinse il mignolo nella scodella piena di sangue e se lo portò alle labbra. Mmm. Forse bisognava ancora lavorare sulla consistenza. Doveva essere perfetta.
Se l’azzeccavi a dovere, come sosteneva il suo idolo, il mago degli effetti speciali Tom Savini, «puoi creare l’illusione della realtà: spingere le persone a convincersi di avere visto qualcosa che in realtà non hanno mai visto». I film horror erano l’unica trasgressione di Susan. (Barry non li sopportava. A dire il vero, non sopportava i film in generale. «Un mucchio di scemenze, – diceva sprezzante. – E poi è tutto finto!» A lui piacevano i documentari. Roba sulla guerra). Lei invece s’era sparata tutta la filmografia di Savini: Venerdí 13, Maniac, L’alba dei morti viventi. Se li guardava rannicchiata sul divano, con un bel tè caldo, quando Barry faceva tardi al lavoro.
Nemmeno a farlo apposta, Barry Frobisher entrò in cucina proprio in quel momento, alle prese con il nodo alla cravatta. Contemplò la scena e disse: – Ma cosa cazzo…
– La consistenza non è ancora quella giusta, – disse Susan. – Troppo diluita…
– Ma guarda che disastro!
– Devo finire entro stamattina. Piú tardi devo fare shopping e pranzare con Julie perché oggi è il suo compleanno, poi stasera c’è la prova costumi.
– Cristo. Ma non puoi semplicemente… comprarla, Susan?
– Siamo a corto di fondi, tesoro.
Con il nodo lasciato a metà, Barry sbuffò e andò alla caffettiera. Lungo il percorso recuperò una tazza dalla tavola. (A sera apparecchiavano sempre la tavola per la colazione del giorno dopo, prima di andare a dormire). – Non capisco che cosa ci trovi, Susan, proprio non lo capisco.
Barry prese una fetta di pancarrè freddo e iniziò a spalmarci sopra due dita di burro. I cereali gli avrebbero fatto meglio, pensò Susan, con quella pancia: ormai cominciava davvero a strabordare sopra la cintura. L’ultima volta che erano andati a fare shopping da Marks & Spencer avevano scoperto che era aumentato di un paio di taglie. Per non parlare di quello che stava combinando alle sue arterie. Ormai al risveglio Susan lo sentiva rantolare parecchio, anche solo per lo sforzo di alzarsi dal letto. (Dal suo letto. Qualche anno prima avevano preso la ferale decisione: due letti separati ai due lati della stanza. E comunque avevano gusti diversi in fatto di materassi. Poi una buona dormita è impagabile. Inoltre, come aveva sottolineato Barry, lui aveva la schiena malandata e non erano certo due sposini infoiati. Ormai lo facevano cosí di rado… A proposito, quand’era stata l’ultima volta? Susan si sforzò di ricordare. Sotto Natale? Forse anche prima).
– Mi diverto, – disse Susan, per rispondere alla domanda.
Barry sghignazzò.
I Guitti di Wroxham: lo «sfogo creativo» di Susan.
Lei non faceva l’attrice. (Non che gli altri si potessero definire tali). Aveva cominciato dando una mano con il guardaroba e da tre anni era ormai costumista e scenografa. Mamma mia, pensò Barry, le prime recite che s’era sciroppato. Un gruppazzo di pensionati e adolescenti babbei che inciampavano sugli oggetti di scena e sovrapponevano le battute. Però male non le faceva, si diceva Barry. La tenevano occupata e cosí via. Si versò il caffè mentre, sullo sfondo, Susan aggiungeva dello sciroppo di mais all’intruglio di sangue finto. – Cosa c’è in cartellone quest’anno? – le domandò Barry, di spalle.
Re Lear.
Lui ci pensò su un momento. – Dunque… Shakespeare, giusto?
– Bravo, – rispose Susan. Non era esattamente un intellettuale, il suo Barry. Un buon padre di famiglia. Un commercialista. Un dottore commercialista, diceva spesso Susan con un moto d’orgoglio.
– Allora di che parla? Questo re coso… – domandò, sorseggiando il caffè.
– Bah, la mortificazione della vecchiaia, direi… – rispose Susan, mentre mescolava l’intruglio e si chiedeva se la quantità era sufficiente. Temeva che Frank, il regista, volesse giocare un po’ a fare il Peckinpah nella scena in cui a Gloucester venivano cavati gli occhi. Si domandò se la sensibilità del pubblico medio di Wroxham fosse in grado di reggerlo.
– Allegria, – commentò Barry, con il «Daily Mail» aperto sul tavolo, già mezzo distratto. Guarda qui: cazzo di slavi, sono dappertutto.
La vecchiaia.
Quest’anno avrebbero entrambi compiuto sessant’anni. Il loro trentacinquesimo anniversario di matrimonio. Come si definivano?, si domandò Susan. Nozze di giada? Oppure nozze di topazio? E davvero erano passati dieci anni dalle nozze d’argento? Che magnifica festicciola avevano organizzato Tom e Clare per loro, nella sala banchetti al Watermill. Non che li vedessero poi molto, Tom e Clare. Entrambi presi dalle rispettive carriere. Ormai avevano superato i trent’anni. Eppure a Susan sembrava strano che suo figlio e Clare stessero insieme ormai da piú di dieci anni e ancora non avessero sfornato un nipotino. Ma era cosí che andavano le cose oggigiorno. Quando lei aveva avuto Tom, nel 1983, non aveva nemmeno compiuto trent’anni. E l’avevano comunque etichettata come «primipara attempata». Una gravidanza da tenere d’occhio. Oggi a trent’anni sembrava presto per avere figli. Clare quanti ne aveva? Trentadue? Trentatre? Comunque… Stando a Susan, forse era il caso di darsi una mossa.
Diede un’ultima mescolata all’intruglio di acqua, sciroppo di mais e ketchup, finalmente soddisfatta dalla consistenza, e cominciò a frugare nel cassetto sotto il lavandino per recuperare i sacchetti gelo.
E il modo migliore per chiederglielo?, pensò Susan.
Terreno minato. Julie e Barry non erano mai andati tanto d’accordo. Il sospetto di Susan era che lei trovasse Barry noioso. Barry, questo invece Susan lo sapeva per certo, pensava che Julie fosse fuori di testa. Una cattiva compagnia. Vero, Julie era sempre stata piú fusa di Susan, molto piú fusa ai vecchi tempi, ma non era certo pazza. E aveva avuto una vita d’inferno, Julie. Magari giocare sul senso di superiorità di Barry? – Ah, tesoro…
– Mmm? – Ottocentomila sterline alla settimana di benefit? Incapaci di merda.
– Non potresti versarmi altre trecento sterline sul conto, per cortesia?
– Eh? E perché mai?
– Niente, è che ho speso un pochino piú del previsto per il regalo di compleanno di Julie.
– Ma santo cielo, Susan…
– È il sessantesimo, Barry! E negli ultimi anni ne ha passate di cotte e di crude. Ha dovuto chiudere l’attività. E quel bastardo se l’è filata con la cassa. Vive in un postaccio. Ha un lavoro orrendo. Volevo prenderle qualcosa di carino.
– Bah, lo sai come la penso.
– Lo so, ma…
– Un disastro dopo l’altro. Prima quello stupido chiosco degli hamburger. Poi la «boutique». Quella non saprebbe vendere la birra ai minatori.
– È molto sfortunata.
– Devi imparare a economizzare, Susan.
– Lo faccio già!
– Duecento per questo, duecento per quello, ogni mese è la stessa storia –. Si stava alzando. Lasciò la tazza nel lavandino e sistemò il nodo della cravatta, un bel Windsor preciso.
– Ti prego, Barry. Non essere cattivo.
– Ti faccio il bonifico, okay? Poi basta fino al prossimo mese –. Ti tocca fare un altro accredito oggi, caro il mio Barry, parecchio piú grosso, dal conto di comodo in Olanda…
– Grazie, amore.
– Porca di quella miseria…
Era sempre andata cosí, con le loro finanze. Era Barry a occuparsi di tutto (Susan aveva lavorato per un breve periodo, intorno alla metà degli anni Settanta, in una galleria d’arte a Poole, nell’intervallo tra la laurea all’accademia delle Belle arti e il matrimonio con Barry. Quand’è che aveva lasciato la galleria? Sí, nel 1977. Julie si era presentata a sorpresa, di ritorno dai suoi viaggi, con i capelli rasati a zero e una sfilza di spille da balia sul bavero. Al proprietario della galleria era quasi venuto un colpo, per non parlare di Barry, quando si erano visti quella sera stessa. Piú tardi erano andati nella casa in cui si erano sistemati lei e Barry, e Julie li aveva presi in giro perché ascoltavano i Fleetwood Mac sul registratore a bobine di Barry. Allora era un aggeggio all’avanguardia. Che fine aveva fatto? Le robe che compri nel corso degli anni, dov’è che vanno a finire?) Susan si accorgeva dei soldi solo quando il suo conto, la sua «paghetta», cominciava a languire. A Barry piacevano i soldi. Spostarli di qua e di là. Fare questo e quello. «Ristrutturare» le loro finanze. Sempre alla ricerca di un accordo piú vantaggioso per la carta di credito, di un tasso d’interesse migliore per i loro risparmi.
– Devo proprio andare, – disse Barry, mentre si decideva a muoversi con un grugnito riluttante.
– Okay, tesoro. C’è un pasticcio di carne in frigo per la cena. I piselli te li puoi cucinare da te, no?
– Mi tocca, eh? Ma forse lavoro fino a tardi… – Si avvicinò per darle un bacio sulla guancia, poi vide il sangue ovunque e ci ripensò. Le scoccò un bacio da lontano e Susan gliene lanciò uno di rimando.
– In bocca al lupo, Susan, – disse Susan, con lui già sulla porta.
– Eh? – disse Barry, girandosi.
– In bocca al lupo per la prova costumi di stasera, Susan.
– Ah, giusto. Sí, sí, in bocca al lupo.
Ma che gentile, pensò Susan mentre lui usciva.
Barry, da par suo, pensò: Che immensa rottura di cazzo.

2.

Mentre Susan cercava di risolvere il problema del sangue, la sua migliore amica aveva a che fare con fluidi corporei di tutt’altro genere. Ormai Julie Wickham s’era fatta una sua idea: le pisciate erano un po’ come i fiocchi di neve o le impronte digitali, non ce n’erano due identiche.
Prendiamo la Meecham, la signora nella camera in fondo al corridoio. La sua era spaventosamente acre. Odorosa. Invece quella del vecchio Bledlow, il caro Alf, per nulla. Neutra, quasi inodore. Come mai? Mangiavano le stesse cose, quegli stessi tre miserabili pasti al giorno, tirati fuori dalle enormi, dozzinali borse di plastica del catering e bolliti o fritti o cotti al forno. Forse aveva a che fare con i reni, con il loro diverso grado di decrepitezza. Eppure Bledlow aveva quasi novant’anni, lí seduto, mortificato, in un angolo, con addosso il pigiama pulito che l’infermiera l’aveva aiutato a mettere, mentre Julie passava lo straccio un po’ ovunque ma soprattutto sotto il letto, dove era colato il grosso. Sant’iddio, ne aveva tirata fuori parecchia. Julie immerse lo straccio nella broda di acqua e candeggina, lo infilò nel colino del secchio metallico per spremerlo e riattaccò a pulire. Colse il riflesso del suo viso sul linoleum tirato a lucido: con la luce giusta era ancora carina. I capelli neri sciolti; pochissimi fili grigi, per la sua età. E cosí, tra sé e sé, come le era capitato quasi ogni giorno lí dentro negli ultimi tre mesi, ripensò a quei versi: «Quaranta ore, trentasei dollari alla settimana | ma è pur sempre una busta paga, Jack»1.
Era Piss Factory di Patti Smith. Aveva, quanti?, ventuno o ventidue anni la prima volta che l’aveva sentita… Viveva a Londra, in quel buco a Finsbury Park. Era comodo per andare al Rainbow. Allora se la faceva con Terry, che lavorava come buttafuori al Roxy. Piú tardi era passato al Vortex.
Già, una busta paga, Jack. Ne aveva fatte di cose per i soldi nel corso degli anni, Julie. Aveva rubato. Aveva...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le solite sospette
  3. 1.
  4. 2.
  5. 3.
  6. 4.
  7. 5.
  8. 6.
  9. 7.
  10. 8.
  11. 9.
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  13. 11.
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  17. 15.
  18. 16.
  19. 17.
  20. 18.
  21. 19.
  22. 20.
  23. 21.
  24. 22.
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  26. 24.
  27. 25.
  28. 26.
  29. 27.
  30. 28.
  31. 29.
  32. 30.
  33. 31.
  34. 32.
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  57. 55.
  58. 56.
  59. 57.
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  67. 65.
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  69. 67.
  70. 68.
  71. 69.
  72. 70.
  73. 71.
  74. 72.
  75. 73.
  76. 74.
  77. 75.
  78. 76.
  79. 77.
  80. 78.
  81. 79.
  82. 80.
  83. 81.
  84. 82.
  85. Epilogo
  86. Il libro
  87. L’autore
  88. Dello stesso autore
  89. Copyright