Il rosso vivo del rabarbaro
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Il rosso vivo del rabarbaro

  1. 136 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il rosso vivo del rabarbaro

Informazioni su questo libro

È DISPONIBILE IL PREORDER DI "HOTEL SILENCE", IL NUOVO ROMANZO DI AUDUR AVA OLAFSDÓTTIR, IN VENDITA DAL 16 GENNAIO 2018. C'è un piccolo villaggio sul mare dove la vita scorre bislacca e tranquilla. Mentre gli uomini sono fuori a pescare, le donne seguono lezioni di cucito e si scambiano rossi barattoli di marmellata di rabarbaro. Proprio in un campo di rabarbaro, Ágústína è stata concepita. Ágústína è un'adolescente speciale, si muove con le stampelle ma scala le montagne. La sua è una mente singolare, nella sua testa i numeri sono a tre dimensioni, come pianeti nello spazio, e le parole si organizzano in cumuli appuntiti. Ágústína non è come gli altri ragazzi, lei sa che dietro una montagna - dietro ottocentoquarantaquattro metri di terra protesa verso il cielo - c'è ancora un'altra montagna da scalare. Ancora una volta Auður Ava Ólafsdóttir, con lucidità e candore, racconta una storia sospesa fra fiaba e quotidianità e ci offre la sua bizzarra e affettuosa visione dei piccoli e grandi fatti della vita.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2016
Print ISBN
9788806228415
eBook ISBN
9788858423509

1.

Lo ha promesso piú volte: non andrà mai da sola giú al molo. Con le stampelle è un attimo slittare sull’untume di pesce e finire in mare.
«E se l’onda ti prende…» dice Nína.
Cosí ha deciso per la spiaggia, la sua spiaggia. Che proprio a lei possa venire in mente di avventurarsi da quelle parti non lo crederebbe nessuno. L’impressione che dà, quando arranca tutta storta sulle stampelle, non è certamente quella di un’amante del brivido. E invece, mentre Nína sbuccia le patate senza l’ombra di un sospetto, lei non fa che giocare d’azzardo con la vita.
Il sistema che ha inventato, e che le permette di ingaggiare un corpo a corpo molto personale con l’oceano, consiste nel procedere sui ciottoli rotondi della spiaggia con movimenti ondulatori, trascinandosi sulle mani, tipo gli acrobati dei circhi equestri quando si aggrappano alla criniera dei cavalli. Le gambe, intrecciate l’una all’altra, come i tentacoli di un celenterato, seguono a strascico segnando la sabbia con un unico solco. Nína non lo capisce che lei è la foca dei faraglioni e la sabbia nera della spiaggia il suo ambiente naturale.
Una volta giunta nel suo angolino preferito, si distende pancia in su e appoggia la testa fra due rocce, in modo che la sua visuale coincida con la linea d’orizzonte che unisce cielo e mare, proprio al di sopra dell’ombelico e del bacino. L’odore è un misto di salato e di asprigno. Cosa starà facendo Nína? A quell’ora, forse, pulisce il pesce. Il procedimento è consolidato: afferrare saldamente il pesce dalla parte della coda, praticare un’incisione sottile nella carne bianca proprio all’estremità e poi strappare via la pelle in un solo colpo, rapido e sicuro.
Dalla spiaggia, la casa rosa salmone non si vede, e nessuno sa che lei è qui. Nessuno tranne Dio, che la tiene sotto mira quotidianamente, giusto giusto sulla sua traiettoria di tiro, scoperta, indifesa: vista dall’alto, un minuscolo puntino sulla spiaggia.
Ed eccolo che appare, il Creatore, sotto forma di colomba e con una cinepresa da otto millimetri in grembo. Girerà un documentario su di lei, la sua creatura (la spia lampeggia a intermittenza regolare e spande sulla scena un chiarore rosato). Veramente, a uno sguardo piú attento, quello che si libra fra terra e cielo non sembra affatto una colomba. No, è uno stercorario artico; e volteggiando in spirali sempre piú strette la incalza, per poi puntare dritto su di lei come un cacciabombardiere sull’obiettivo, nauseabondo e strepitante. Perché lei non ha gambe per poter fuggire. Ma ha le stampelle, e ne basta una, per centrare in pieno il volatile. Cosí. Saper cogliere il momento giusto per volgere in proprio favore le circostanze della vita: ecco l’importante. Oltretutto, quel tratto di costa appartiene soltanto a loro due: a lei e a Dio. È lí che i loro regni si congiungono. Secondo una certa prospettiva, poi, se lei chiude le spalle e raccoglie le ginocchia a sé, può riempire l’intero giro dell’orizzonte. Può riempire il mondo, gettare la propria ombra su tutto ciò che esiste. Che D-I-O abbia da ridire?
«Ha talmente tante cose a cui deve badare», dice Nína.
Infatti. L’intenzione è proprio quella di cogliere l’occasione e discutere un po’. Lei da una parte, Lui dall’altra, e in mezzo lo strato di nembi cumuliformi.
Discutere a quattr’occhi. Non per litigare come ieri, non serve a niente intestardirsi. Ad ogni modo, ricordargli che sui miracoli divini esiste tutta una tradizione storica può sempre essere utile.
Oggi, da lassú, Dio non sembra ascoltare.
«Siamo cosí pochi, cosí piccoli, – dice Nína, – e cosí lontani dal cielo».
Gli uccelli la puntano, in gara con la marea che sale.
In attesa che il mare gelido cominci a lambirla dietro le ginocchia e poi si insinui su verso le cosce e la schiena, sente che le gambe le si stanno addormentando. È rimasta stesa sulla riva quel quarto d’ora di troppo. Ma qualche chance di non arrivare in ritardo per la cena ancora ce l’ha.
Dalla tasca bagnata tira fuori la lettera, la arrotola e la spinge nel collo della bottiglia, ci fa scivolare dentro un po’ di sabbia nera, quindi mette il tappo. Non è la prima, ma l’onda successiva, a ghermire la bottiglia, che si inclina di lato e poi a testa in giú nella spuma gialla. In un attimo è già al largo, dove si aprono i grandi abissi e i cavalloni urtano vorticosi gli uni contro gli altri.
C’è il tempo per un ultimo volo di ricognizione. La mente si solleva nell’aria con lentezza, come un elicottero della protezione civile alla ricerca di una ragazzina smarrita sulla spiaggia. Dall’elicottero, l’uomo si sporge in fuori per metà e urla in un megafono: – È in tavola, Ágústína: pesce lupo fritto e budino al rabarbaro con panna.

2.

La casa sorge nella zona alta del paese. Da una parte c’è l’oceano, dall’altra incombe La Montagna, ottocentoquarantaquattro metri sopra il livello della spiaggia di sabbia nera (la sua spiaggia), il punto piú alto della regione, e centro e perno del villaggio. È là che si dirigerà, fra non molto. A dare alla casa il suo aspetto particolare è senza dubbio la torre viola, la cui origine, cosí come la sua funzione, non è mai stata molto chiara. Quanto ai colori, sia la casa sia la torre dovevano essere ritinteggiate e Vermundur in magazzino aveva delle rimanenze di vernice, appunto viola e rosa salmone. E cosí…
Al piano terra ci sono la sala, la cucina e la stanza da letto di Nína. Camera sua, invece, si trova nella torre. La prima volta le vertigini l’avevano quasi fatta svenire, ma c’era riuscita. Si era arrampicata sulla scala ripida su su fino in cima e senza mai fermarsi, trascinandosi a quattro zampe sul linoleum consumato di quei tredici gradini. Cosí se l’era guadagnata: camera con vista, una vista che spazia in tutte le direzioni. Oltre i tetti in lamierino ondulato, argentati e scintillanti dopo le piogge, spiccano La Montagna e il campanile della chiesa, ovvero l’altra torre del villaggio. Stando seduti sul letto, invece, non si scorge la terraferma, come se la torre galleggiasse in pieno oceano.
Nel seminterrato c’è il laboratorio di Vermundur. In paese, le donne sono per la maggior parte del tempo vedove dei loro uomini, che sono uomini di mare. Cosí è Vermundur che in casa loro ripara e sistema un po’ di tutto: radio, sveglie, lavandini otturati, tubature; dopo il passaggio di certe perturbazioni particolarmente intense, sostituisce anche i vetri rotti. Se a casa sua e di Nína c’è bisogno di fare qualche lavoretto da uomo, la disponibilità di Vermundur è totale. In questo periodo è preso dai televisori e ha fatto presente a Nína che non gli sarebbe difficile procurarle un Blaupunkt, apparecchio di gran qualità. Ma Nína non è convinta, non saprebbe neanche dove infilarlo, nella piccola sala. E poi, ha già la radio.
– Ora non ci sono piú le guerre dei sei anni, ma le guerre dei sei giorni.
Dato che Vermundur ha un giradischi, dal laboratorio del seminterrato sale la musica. Kinks: You really got me. Girl, you really got me now1.
1 Versi tratti dalla canzone dei Kinks You Really Got Me (R. Davies) [N. d. T.].

3.

Nella stessa strada della casa rosa salmone sorg0no anche la stazione di polizia, dotata di cella a due letti, e la chiesa. Invece, in un punto assurdo sul fianco della Montagna, ben oltre ogni ragionevole limite per l’ubicazione di giardini o terreni coltivabili in genere, si trova il campo di rabarbaro. È un appezzamento di forma rettangolare, il rosso intenso dei gambi sormontato dalle grandi foglie verdi. Nessuno sa come sia nato e nessuno se ne occupa. È il suo campicello privato, come la spiaggia.
Arrivarci, sotto la pioggia e sola sulle sue stampelle, è sempre stata un’impresa. E anche adesso: l’enorme dispendio di energie e di concentrazione l’hanno letteralmente consumata. Persino l’uccello che la seguiva, a un certo punto, ha pensato bene di fare marcia indietro. Nel mese di agosto, che sull’isola è il mese principale della raccolta, lassú al sessantaseiesimo grado di latitudine nord, nonché a duecento metri sopra il livello del mare, il rabarbaro può raggiungere anche i sessanta centimetri d’altezza. Quanto basta per offrire riparo a due corpi, nudi e distesi. Ágústína vuole sperimentare la cosa su di sé, sedendosi nel mezzo del campicello e lasciandosi poi andare dolcemente all’indietro fino a sprofondare tra gli steli del rabarbaro. Sembra di trovarsi nell’ombra crepuscolare di un boschetto. Tra le gambe inarticolate, vede le foglie dalle venature rigonfie ripiegarsi all’ingiú, e il cielo diventare una striscia sottile bianco latte, fino a quando le foglie si toccano e l’universo a poco a poco si richiude su di lei. Sfila lentamente i pantaloni di velluto rosso scuro, una foglia calda e viscosa le sfiora il fondoschiena, si sente odore di terra tiepida; le viene la pelle d’oca e un brivido le corre su fino alla base della nuca.
Sua nonna, che non era riuscita a rimanere incinta neanche da giovane, credeva ormai di non essere piú in età fertile. E invece, a quarantotto anni aveva messo al mondo una figlia, la madre di Ágústína. Quella stessa nonna era stata la tredicesima di sedici fratelli; sua madre, cioè la bisnonna di Ágústína, faceva l’ostetrica e si diceva non fosse granché portata per i bambini. Ágústína, figlia unica, appartiene alla quarta generazione delle donne di famiglia venute al mondo in circostanze per cosí dire estemporanee.
La Montagna si è ritagliata una porzione di spazio all’interno del suo angolo visivo, ma ben presto, distesa com’è con la testa rivolta verso valle, si accorge che può essere lei a decidere cosa inserire dentro quella cornice visuale: può metterci la vetta limacciosa, sí, ma, facendolo entrare di scorcio, anche un uccello tutto intirizzito, insieme al verde-blu del mare scuro sullo sfondo. A seconda dell’estro, poi, si possono isolare dettagli a caso: un’ala di qua e una di là, una gamba qui e una là. Oppure, soltanto alzando lo sguardo di pochi millimetri, ci si può concentrare sul grigio dello strato di nubi gonfie d’acqua. Cosí sdraiata, con la pioggia che le scorre senza ostacoli sugli zigomi fino alle orecchie, la natura perde pian piano il suo suono originario, diventa pressione sulle tempie, ronzio nel cervello.
Non piove piú. Dalla tasca posteriore Ágústína tira fuori la lettera e la foto spiegazzata, che liscia con cura.
L’umidità è quasi intollerabile, in questo superconcentrato di foresta. Stessa cosa dicasi per il caldo. Chi ci salva è la notte. Di notte riusciamo un minimo a mettere insieme i frutti del nostro lavoro, duro lavoro. Qualche giorno fa io e il mio amico, un biologo inglese, abbiamo fatto le ore piccole bevendo liquore alla banana seduti in riva al lago. Lago che brulicava di coccodrilli, sotto la luna piena. Ci sono immagini che davvero possono cambiarti la vita. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere ricevere questa fotografia, ha la tua stessa età. L’ho trovata in mezzo a vecchie carte. Ho sentito che hai traslocato e che adesso abiti nella torre. Non è un pochino pericoloso? La prossima settimana ci sposteremo ancora piú all’interno, nella giungla tropicale.
Da’ un bacio a Nína da parte mia.
Con amore.
La tua mamma.
Non c’è alcun dubbio, quando la foto è stata scattata il campicello era in fiore, come adesso. Sua madre e l’uomo sono seduti uno di fianco all’altra e danno le spalle alle due isole e a un mare dalle sfumature verde-oro (la foto è a colori); sullo sfondo, proprio sulla linea dell’orizzonte, c’è una barca che sbuca dalla nebbia. Sembra carica di pesce, o forse trasporta stecche di sigarette e televisori. E la metà di agosto è già passata e nella parte alta del villaggio i ciuffi d’erba negli orti di patate appaiono ormai sfibrati. Molto probabilmente hanno usato la macchina fotografica di sua madre, quella con l’autoscatto. Infatti lei in quel periodo dell’estate se ne andava sempre in giro a fotografare, soprattutto uccelli di palude e nidi. Sulle foglie d’insalata si distinguono chiaramente alcune gocce di rugiada, ma l’atteggiamento delle due persone non rivela quando la foto è stata scattata, se prima o dopo il concepimento di Ágústína.
Sua madre è seduta con la schiena eretta, porta un maglione abbottonato fatto a mano (impossibile non riconoscere lo stile di Nína) e guarda dritto dentro l’obiettivo; l’uomo, che forse starà per diventare suo padre, tiene invece lo sguardo abbassato, rivolto verso terra. È come se lo scatto avesse colto l’attimo precedente, proprio quello in cui lui stava per alzare gli occhi verso la donna al suo fianco: cosí non si riesce a vedere di che colore sono, quegli occhi. Non che ce ne sia bisogno, in effetti: Ágústína lo sa, che il colore degli occhi l’ha ereditato da lui. Le gambe di suo padre rimangono fuori dell’inquadratura, eppure l’aspetto è quello di un uomo alto. L’immagine è leggermente mossa, forse sua madre voleva tirare un po’ in giú la gonna per coprire le ginocchia, ma non ha fatto in tempo. Sembra quasi che abbia freddo. Ironia della sorte: avere ereditato da sua madre quelle ginocchia cosí belle, ma doversi trascinare su due gambe inservibili. Allora eccola, seduta con la fotografia in mano proprio in mezzo al campicello, a contemplare all’infinito quel momento: forse era poco prima, e lei non esisteva ancora, forse era poco dopo e, allora, lei era già lí. Strano, credeva di aver studiato la foto in ogni particolare, ma questa cosa non l’aveva mai notata prima: la coppia ha le dita intrecciate infilate dentro la terra molle.
«Quella dei tuoi genitori è stata una relazione brevissima, durata non piú di quattro o cinque giorni, – dice Nína. – Era agosto e ricordo che pioveva di continuo».
In quel momento, nessuno sa dove sia Ágústína. E chissà, forse le donne del paese, nonostante abbiano già i giardini stracolmi di rabarbaro, andranno ugualmente fin lassú, con i loro grembiuli e i loro coltelli affilati, a tagliare e raccogliere qualche gambo di quelli buoni, dal bel rosso intenso e brillante, legheranno quei gambi in piccole fascine con una cordicella e li trasporteranno giú alle loro case depositandoli in qualche angolo delle cucine piastrellate. Avanzeranno fino a metà del campicello, spezzando il frutto con le mani e lasciandone soltanto i tronconi. E lí si fermeranno, esterrefatte nel trovare una ragazzina stesa nel bel mezzo dell’appezzamento, sdraiata nel suo rifugio. Oppure, stimando sufficiente il loro rifornimento di materia prima da far bollire la sera, e giudicando il carico da trasportare già abbastanza pesante, forse si fermeranno proprio un attimo prima di arrivare dov’è lei. E ritorneranno l’indomani. O forse neppure l’indomani, perché il terreno produce molto piú rabarbaro di quanta marmellata sarebbe in grado di preparare qualsiasi donna dell’isola. E quindi non ci sono abbastanza vasetti da riempire e poi, pur mettendo marmellata di rabarbaro dappertutto, fra gli strati delle torte, sulle fette di pane, sulla carne di agnello, di quella prelibata composta rossa rimangono sempre intatte tutte le scorte precedenti. Perciò no, non la toccheranno, l’altra metà del campo, non vi torneranno fino all’anno successivo.
E lei rimarrà sola, lassú. Dimenticata. Le nevicate la ricopriranno. Cosa sarà capitato ad Ágústína? Dove sarà finita quella ragazza dalle gambe inutili? Telefoneranno a Vermundur che è anche il responsabile organizzativo delle squadre di soccorso, e la cercheranno giú al porto dentro le barche, setacceranno le spiagge in lungo e in largo, ma a nessuno verrà mai in mente di guardare in quel campicello dal colore rosso vivo, là dove è stata concepita. A nessuno verrà in mente che lei è lí alla ricerca delle proprie origini, delle proprie radici, e che sta portandole alla luce scavandole fuori dalla foresta oscura del bosco di rabarbaro.

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il rosso vivo del rabarbaro
  3. 1.
  4. 2.
  5. 3.
  6. 4.
  7. 5.
  8. 6.
  9. 7.
  10. 8.
  11. 9.
  12. 10.
  13. 11.
  14. 12.
  15. 13.
  16. 14.
  17. 15.
  18. 16.
  19. 17.
  20. 18.
  21. 19.
  22. 20.
  23. 21.
  24. 22.
  25. 23.
  26. 24.
  27. 25.
  28. 26.
  29. 27.
  30. 28.
  31. 29.
  32. Il libro
  33. L’autore
  34. Dello stesso autore
  35. Copyright