Eccoci quindi alla nostra galassia, quel «dispositivo» che raccoglie forme, modi, pratiche e tecnologie che caratterizzano l’audiovisivo dell’infosfera digitale. Un dispositivo che ha messo al centro forme di comunicazione audiovisiva che abbiamo chiamato postcinema e che può essere rappresentato proprio come una galassia, un organismo fatto di molti elementi eterogenei ma definiti innanzitutto dal disporsi come esperienza audiovisiva, caratterizzata dalla interattività e quindi da una comunicazione uomo-macchina che privilegia la partecipazione, la condivisione e la manipolazione. Addirittura mira all’immersione. I contenuti si sviluppano come ambienti narrativi in cui confluiscono data provenienti da diverse fonti. Si può accedere a questo ambiente, a questa ecologia narrativa, attraverso tecnologie e device diversi che però tendono a convergere in un sistema caratterizzato dalla connessione e dalla geolocalizzazione. L’esperienza è, cosí, molteplice, i testi si dispongono in maniera non lineare e si ibridano. L’ibridazione è la caratteristica principale: sono ibridi i contenuti, ma anche le tecnologie e le pratiche, e quindi i modelli di fruizione. Nell’ecosfera digitale i livelli si scambiano e si sovrappongono: gioco, informazione, comunicazione, pubblicità. I testi si muovono vorticosamente e si autogenerano e rigenerano in un sistema organico. Sono virali, sociali, remix, creano una serie di possibilità di accesso che chiamiamo strategie transmediali.
Ma entriamo nel dettaglio, osserviamo la mappa e inoltriamoci in questo ambiente, in questo dispositivo che ha inglobato i media e li ha posti in un nuovo spazio.
Come vediamo la mappa è fatta di voci molto diverse: alcune si identificano con una pratica, alcune con un format, altre con una tecnologia o con dei testi. Quello che conta, però, sono le connessioni, le linee di contiguità e familiarità: ogni elemento ha una caratteristica prevalente ma contiene anche tutti gli altri, in misura maggiore o minore. Si tratta di un organismo vero e proprio fatto di molte parti, sezioni, frammenti, pieghe… ciò che lo tiene unito sono i centri di gravità, le onde e le spirali «cosmiche» che li attraversano e che li sostanziano, che li tengono in equilibrio all’interno di un ecosistema.
Facciamoci allora guidare dalle linee e dagli attraversamenti, scegliamo alcuni esempi in grado di fare luce sul nostro percorso e illuminare le sue conseguenze e la sua entropia.
Scienza e tecnologia: forme degli immaginari scientifici.
«… l’essere una rivoluzione contemporaneamente scientifica e tecnologica», afferma Floridi. Una rivoluzione scientifica e tecnologica che sta alla base del sistema dei media e della comunicazione di cui stiamo parlando. Una rivoluzione scientifica e tecnologica che non solo ha immesso nella nostra società tecnologie che hanno cambiato la cultura, la comunicazione e la società stessa, ma che è stata in grado anche di creare racconti e nuovi immaginari. Ecco, iniziamo allora la nostra esplorazione della galassia postcinema dalla componente scientifica e tecnologica. Abbiamo già parlato di tecnologie e device, qui vorrei iniziare a sottolineare come questo imprinting tecnologico abbia influito su diversi ambiti e processi, a cominciare da quello dell’immaginario. Risulta persino ridondante citare i film, i video, i romanzi che tematizzano e che portano in primo piano i rami della scienza e della tecnologia… qui voglio parlare di qualcosa di ancora piú pregnante per la società stessa, cioè di come l’immaginario scientifico e tecnologico sia presente a diversi livelli nella nostra vita… basti pensare alle code per accaparrarsi l’ultimo iPhone!
In fin dei conti Internet nasce al Cern di Ginevra, cosí come la maggior parte dei device e delle tecnologie che usiamo, anche quelle dei game, del 3D stereoscopico, dei simulatori di volo, della realtà virtuale… tutte tecnologie sviluppate nei laboratori di ricerca della Nasa o in quelli specificatamente militari, e tutto questo non può non lasciare una traccia.
La scienza che colonizza l’immaginario.
A mettersi, piú o meno ordinatamente, in coda per l’ultimo modello sfornato dalla Apple non è piú solo una schiera ristretta di nerd o di fan tecnologici, bensí un repertorio umano molto vasto, supportato, tra l’altro, da un’enorme risonanza garantita dai media come giornali e TV, che colgono in questi avvenimenti un fatto di costume centrale nel discorso sulla cultura e sulla società contemporanee. Non si tratta solo di immaginari letterari o cinematografici; è qualcosa di piú profondo e penetrante degli immaginari scientifici di un romanziere di successo come Frank Schätzing che prende a prestito vere ricerche scientifiche per costruire fitte trame fantascientifiche (Il quinto giorno, Limit) o dei film di James Cameron che molto devono all’immaginario delle nuove tecnologie… è qualcosa di piú tangibile anche fuori dai ristretti limiti delle librerie e delle biblioteche. Ma lo stesso discorso vale anche per la fama quasi da rockstar che hanno raggiunto alcuni protagonisti della scena tecnologica e scientifica. Mi riferisco, per esempio, a Stephen Hawking, l’astrofisico, padre della teoria sui buchi neri e ad Alan Turing, il matematico inglese che ha ideato il primo computer. Per non parlare del vero e proprio culto della personalità che si è generato intorno a Bill Gates, ma soprattutto a Steve Jobs. E poi figure di culto minore ma sempre piuttosto note come Howard Rheinghold e Ray Kurzweil, per non parlare di Stewart Brand, Kevin Kelly, Clay Shirky, giornalisti e divulgatori tecnologici che gravitano intorno al mondo di «Wired», la rivista statunitense di tecnologia che ormai conta diverse versioni nazionali (tra cui quella italiana) e che è divenuta un fenomeno significativo nell’editoria internazionale. Ma si potrebbero citare anche figure come quelle di Cory Doctorow e del gruppo di Boing Boing, il blog che vanta un numero di visite da record e che raccoglie notizie soprattutto di carattere tecnologico. Le code ai diversi festival, conferenze e manifestazioni di vario tipo sulla scienza parlano di un immaginario indiscutibilmente al centro di molti scambi simbolici della nostra società. Magari sulle testate si riducono le pagine di cinema, TV e spettacoli ma sicuramente si trovano nuove risorse per la sezione tecnologia. Jobs, Gates, Brand diventano addirittura «guru», nella dizione che piace molto all’ambiente della Silicon Valley, altro luogo di culto del nuovo proselitismo tecnologico2. E assieme a loro Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, Larry Page inventore di Google e Jeff Bezos, padre di Amazon, figure a metà strada tra scienziati e imprenditori tecnologici di successo.
L’universo di nerd, technofan e geek ha invaso gli immaginari di una società in forte debito con le scienze e la tecnologia: dal successo della serie TV The Big Bang Theory che racconta la vita di un quartetto di scienziati al Caltech, la prestigiosa università di Pasadena, fino a quello delle TED Conference. TED è un format di conferenze sull’innovazione e la creatività digitale che si caratterizza per un impatto particolarmente spettacolare. Ma oltre a TED ci sono appuntamenti seguiti dai giornali di tutto il mondo come il CES di Las Vegas, la piú importante fiera del mercato tecnologico; il Siggraph, vera mecca per i patiti di computer grafica; StoryCode, una comunità internazionale e un altro format di appuntamenti e conferenze, in questo caso specializzato nell’interactive e transmedia storytelling, che nasce a New York e consta già di diverse diramazioni (Parigi, Barcellona, Torino, tra le altre); e poi Frontiers of Interaction di Milano, specializzata in conferenze sul futuro delle tecnologie e nello specifico sull’interaction design.
Imaging: dall’immaginario alle immagini.
Quanto impatta il mondo delle scienze e delle tecnologie sul nostro mondo! E questo impatto non può che assumere anche delle forme: l’immaginario si fa imaging. E imaging è una parola chiave di un processo che ha portato le immagini di scienza a diventare di dominio pubblico e a essere percepite dai media come allettanti, spettacolari, emozionali.
Alexander Tsiaras ha creato a New York una compagnia, la Anatomical Travelogue, che si serve delle nuove tecnologie visive e le sviluppa per realizzare foto, video 2D e 3D che penetrano nel corpo umano, nelle fibre, che esplorano «luoghi» per l’uomo inaccessibili. Camere endoscopiche per la realizzazione di video che nascono in ambito scientifico e che per la loro spettacolarità, unita a un sapore psichedelico, hanno fatto la fortuna di questo artista/medico/videomaker che espone le sue opere in gallerie prestigiose in tutto il mondo e le proietta nei festival del cinema.
Abbiamo già ricordato anche il successo, quantomeno singolare, di Nucleus, la società di medical imaging che ha aperto un canale YouTube dove archiviare alcuni dei suoi video, che mischiano risultanze visive derivate da tac con la tecnica della computer grafica, sí, proprio quella che ha reso famosa la Pixar e i suoi lungometraggi di animazione digitale. Nucleus, cosí come Nasa TV. Due archivi, uno di imaging medico e l’altro di astronomia, che hanno saputo fare concorrenza a grandi broadcaster e costruire forme nuove di audiovisivo per piattaforme collegate ai social network. I brevi video di Nucleus, che stanno a metà strada tra l’astrattismo e l’animazione, e che possono essere fruiti con accesso rapido e semplice all’interno di una piattaforma social come YouTube, rappresentano qualcosa di nuovo. Alla base c’è un archivio, organizzato su una piattaforma social, che viene aperto agli utenti e può essere «seguito» tramite una semplice iscrizione. A questo punto l’archivio è a disposizione di chiunque, si può entrare, guardare, scegliere, organizzare i materiali, commentarli, spostarli sulle proprie piattaforme attraverso il codice embed, e quindi re-immetterli nei flussi di comunicazione connessi. Propagarlo tra amici e magari farlo confluire in un altro archivio dove andrà a condividere uno spazio con altre forme e video. E cosí gli archivi escono dal campo ristretto della ricerca scientifica e trovano nuova linfa nel sistema dei media come contenuto. Nucleus e Nasa TV testimoniano dell’importanza dell’immaginario scientifico una volta che viene messo a disposizione dell’utente su piattaforme libere e aperte. Qui sta la specificità di questi frammenti di audiovisivo che sfidano i rigidi confini di genere: documentario? computer grafica? scienza? fantascienza? video? video sperimentali? cinema? televisione? Insomma tutto e niente. Un genere che nasce dall’ibridazione di formati diversi, di tecnologie diverse, ma anche di modi e pratiche differenti. Qui sta il senso di questa galassia di forme che stiamo esplorando. Allora anche una conferenza TED può diventare un format e un contenuto, e infatti la piattaforma TED archivia le riprese delle conferenze. Le archivia secondo tag e parole chiave che le dispongono alla fruizione dell’utente che estrapola ciò che gli interessa, lo porta sul proprio blog, ad esempio, da lí sulla pagina Facebook o Twitter, lo condivide, magari lo commenta, lo fa circolare nei veloci flussi della comunicazione digitale connessa. Quella specifica conferenza andrà ad arricchire altri archivi e a creare intorno a sé una comunità. E questo succede per il fenomeno TED nella sua integrità, e poi nello specifico per le singole conferenze. Il passaggio è del tutto simile a quello a cui sono sottoposti i video virali, i commercials, i tutorial di successo, le nuove avventure di youtuber piú o meno famosi, il web doc prodotto dal «Guardian» e la web serie autoprodotta e completamente indipendente. I flussi e le piattaforme sono gli stessi, cosí come il formato audiovisivo, e si identificano appieno nelle modalità con cui funzionano (archivio, serializzazione, condivisione, manipolazione).
Ma la ripresa (non a caso sempre molto professionale) di una TED Conference è un nuovo contenuto? Certo! E si affianca ad altri contenuti piú tradizionali ma che ora trovano nuovi spazi e nuove modalità di fruizione, come i documentari scientifici che dall’avvento della Rete come canale di diffusione stanno assumendo forme seriali, cioè la costruzione attraverso episodi che vengono archiviati e messi a disposizione di modi di fruizione diversi. Ci sono film scientifici per sale Imax come Born to Be Wild o quelli di National Geographic proiettati alla Géode, una sala di nuova concezione non a caso sita nella cittadella della scienza di Parigi. Che sia il mondo degli abissi, gli spazi siderali o le impenetrabili foreste amazzoniche o, ancora, i segreti anatomici visualizzati attraverso piccolissime camere endoscopiche inserite nel corpo umano, l’immaginario scientifico assurge a un ruolo spettacolare nuovo e va, di conseguenza, a occupare luoghi differenti come sale cinematografiche tradizionali o quelle dei parchi divertimento. Oppure riesce a trasformare luoghi piú tradizionali come musei, musei della scienza, osservatori astronomici, addirittura acquari, in nuove sale cinematografiche, o meglio in nuovi centri di divulgazione, divertimento e spettacolo in grado di fornire una vasta gamma di esperienze ai propri visitatori: guide interattive, collegamenti in Rete, proiezioni di film in 3D, olografie. Non solo: i «classici» video di History Channel o di National Geographic stanno adottando forme e strategie transmediali tipiche della Rete, ma nel collocarsi negli stessi archivi di video di natura completamente diversa, nel condividere uno spazio mediale ormai omogeneo, si stanno ibridando con altre forme. Ci sono tutorial seriali che divengono professionali e che vengono prodotti da broadcaster tradizionali. Vengono realizzati reality che stanno a metà strada tra il documentario, la serie e il gioco: dall’avventuriero che sfida le zone piú impervie del pianeta o gli animali piú letali, a vere e proprie gare di sopravvivenza nella natura, viaggi e cosí via.
Tutorial, reality, addirittura educational, video creati con intenti educativi e postati su piattaforme social e spesso costruiti secondo una scansione a episodi che li rende seriali. E infine web doc veri e propri, documentari per il web che si dispongono alla navigazione di un utente di Internet. Senza dimenticare la data visualization, cioè la pratica di rendere visibili le informazioni con disegni, grafici, infografiche, video… terreno fertile per riviste di ricerca ma anche per i giornali che devono offrire notizie in un mondo in cui queste sono a disposizione di tutti e il difficile sta, non tanto nel reperirle, quanto nell’organizzarle e renderle fruibili. Data visualization è una frontiera della narrazione visiva che nasce in ambito scientifico, figlia di diagrammi e slide che animano aggregatori di ricerche e speech come Slideshare. Si parla infatti sempre piú di data visualization storytelling, strategie di comunicazione dei data (big data e open data) che mettono in campo testi diversi e forme di interattività e di coinvolgimento (tecnicamente si parla di engagement). Data visualizations ideate attraverso l’uso di narrazioni che prevedono l’interazione degli utenti sono sempre piú usate da giornalisti, videomaker, ricercatori e politici: si tratta di mappe, video, app, infografiche interattive, si usano piattaforme come Prezi. Alcune si basano su raffinate infografiche come nel caso di Copenhagen: Emissions, Treaties and Impacts del «New York Times»: una serie di slide show che il lettore può controllare e con cui può interagire. O come Human Ecosystems del collettivo Art is Open Source, sistema di visualizzazione delle città viste come un «ecosistema umano» sulla base di dati catturati dai social network in tempo reale. A metà strada tra il giornalismo e il cinema ci sono anche i web documentari crossmediali che usano i data e sfruttano le potenzialità del racconto audiovisivo: come nel caso di GDP: Measuring the Human Side of the Canadian Economic Crisis, un «film» interattivo che racconta la crisi economica in Canada attraverso interviste ma anche dati economici e sociali ovviamente visualizzati su mappe.
Forme ibride tra documentario, reportage e saggistica, data visualization e web doc hanno saputo trovare una propria collocazione soprattutto all’interno dei grandi giornali, che offrono cosí alla propria audience piattaforme di notizie transmediali. Generi anch’essi, ormai definiti e riconosciuti, di un macrocosmo di forme audiovisive nuove.
Quando poi i dati scientifici sono riportati su diagrammi, infografiche, visualizzazioni e raccolti assieme a interviste e documenti e il tutto calato in una struttura narrativa di fiction, allora ci troviamo di fronte a contenuti pienamente web nativi. Come nel caso di Cloud Chamber, web serie danese che immerge l’utente in uno spazio 3D esplorabile e interattivo come un videogame. Veniamo quindi proiettati all’interno di una situazione misteriosa: la scomparsa di uno scienziato che sta facendo ricerche sui neutrini e sulle radiazioni solari. Solo dopo aver assimilato dati e contenuti di queste ricerche reali si può continuare (assieme alle community con cui si dialoga attraverso i forum) a seguire i personaggi del thriller per risolvere il mistero. Similmente si muove anche Collapsus, ibrido tra web documentario, web serie, social network e videogame e basato su reali proiezioni realizzate in ambito scientifico a proposito dell’approvvigionamento energetico del nostro pianeta. L’energia finisce e il mondo cade in un’apocalisse. Solo basandosi su ricerche scientifiche, interviste a esperti si può provare a sopravvivere. Ancora una volta i dati scientifici archiviati sotto forma di infografiche...