
- 96 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Nel giugno 1984, davanti a un piccolo registratore, un grande scrittore e un grande fisico si ritrovano a parlare delle loro esperienze e passioni intellettuali. Ne scaturisce un dialogo pieno di sorprese, curiosità , confessioni autobiografiche, proiezioni mirabolanti, humour. Uno dei rari momenti in cui la cultura scientifica e quella umanistica si ritrovano per dare vita a uno straordinario percorso di conoscenza. «Un paio d'ore di lettura in tutto, questo volumetto, ma di quelle che vengono dal cielo. Una di quelle letture che riconciliano con l'esistenza e le dà nno, almeno provvisoriamente, un senso».
Massimo Piattelli Palmarini
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Informazioni
Dialogo
REGGE Tra le cose che ho in comune con Primo Levi, e che Levi ancora non sa, c’è una vera mania segreta: sto studiando l’ebraico antico, da solo. Mi sono procurato la Bibbia, col testo a fronte in ebraico, e adesso sono già quasi in grado di fare a meno del testo italiano. Mi sono già letto tutta la Genesi…
LEVI Questa passione nasce da un interesse linguistico, filologico, o da cos’altro?
REGGE Da un interesse filologico. Ma ho trovato la lettura della Bibbia interessante di per sé. Come molti intellettuali del mio stampo, passo per agnostico. Non è che la Bibbia mi trascini dal punto di vista religioso, però resta un documento avvincente.
LEVI Senza dire che se riesci a leggerla nell’originale puoi notare tutte le manomissioni che ha dovuto subire: le traduzioni sono infatti ritoccate. Ma tengo a confessarti che il mio ebraico è certamente molto piú scarso del tuo: è quello del «Bar Mitzvà », della maggiorità religiosa, che si impara a tredici anni e si dimentica prima dei diciotto. Peccato!
REGGE Tra quelle che ho notato anch’io, c’è l’episodio delle due spie di Joshua che vanno a Gerico e vengono ospitate a casa di una donna, che il testo definisce «zonà », cioè prostituta. Ora questo nelle traduzioni non appare, si è preferito usare degli eufemismi.
LEVI Si tratta di Rahab, che Dante ha messo poi nel «Paradiso», fra gli spiriti amanti, appunto per aver favorito l’ingresso degli ebrei nella Terra Promessa, e per essere stata progenitrice di David e quindi di Cristo. È citata anche nel Talmud: nel Talmud c’è tutto, come è noto. C’è anche la storia delle seduttrici, delle affascinatrici. Ce ne sono cinque, se non sbaglio. Una mi pare fosse «la maschia Giaele», che seduceva chiunque sentisse la sua voce. Un’altra seduceva al contatto, con gli abiti o con i capelli. Ma la piú straordinaria era proprio Rahab: ogni uomo che pronunciasse il suo nome emetteva il seme immediatamente.
REGGE Il Talmud è un’opera sterminata, non posso dire di averla letta tutta. Credo che questo interesse me l’abbia trasmesso mio padre, che aveva comperato molti libri di preghiera sulle bancarelle, molti anni fa. Un primo libro conteneva gli estratti di sentenze rabbiniche che ho letto per farmi un po’ la mano. Sono antifemministi in una maniera incredibile.
LEVI Anche in questo caso bisogna proprio dire che nel Talmud c’è tutto e il contrario di tutto. Dipende dal filtro che impieghi. Ne puoi estrarre le sentenze femministe come quelle antifemministe, le lodi dello studio e l’abominio dello studio. Ci si trova proprio di tutto. Anche delle stupidaggini, come quella che il Padre Eterno impiega tre delle sue ventiquattro ore a studiare la Torà , cioè se stesso.
REGGE La complessità dell’opera e i riferimenti incrociati sono tali che occuparsene seriamente è un’impresa che richiede una vita intera: ci vuole un vero professionista per farlo. Quanto a me, mi sono accorto dopo, ripensandoci, che lo studio dell’ebraico antico ha il valore di una risposta polemica ai miei studi classici: quasi il bisogno di una negazione del latino, che si accompagna alla necessità continua di allargare i propri orizzonti.
LEVI I miei progenitori ebrei avevano capito l’alfabeto a metà . In confronto all’alfabeto greco, l’uso ebraico dell’alfabeto è assai poco razionale, e lo è tuttora, anche nell’ebraico moderno. Ci sono tre mute, ma uno che scrive una «alef» invece di una «he» o di una «ain» è considerato un ignorante. Le vocali bisogna indovinarle… L’effetto che noi oggi proviamo si deve probabilmente al fatto che da allora la pronuncia è cambiata. Un tempo queste mute non erano mute. Perché indicare una muta se non c’è? Un po’ come è capitato alla «h» in francese: una volta si diceva, aveva una funzione. In polacco c’è una consonante intermedia tra la «s» e la «sc», una «s» con accento. I polacchi hanno moltissimi suoni tutti altamente specifici. Per noi è difficile distinguerli. Ogni popolo si specializza.
REGGE Ho comperato per il mio microcomputer un sintetizzatore della voce umana. Dice chiaramente i numeri, e anche le lettere, talune in modo felice, altre un po’ meno. Si possono anche comporre delle parole; naturalmente lo scopo è quello. Ma le «r» sono difficili da sintetizzare. Far dire «Maria» al computer è un’impresa. D’altra parte, a un apparecchietto grosso come una musicassetta, non si può chiedere di piú. Difficile è farlo star zitto…
LEVI Alla Rai di Torino hanno preso un mio racconto, Il versificatore, e l’hanno fatto dire da un sintetizzatore. Mi hanno regalato il disco, in cui c’è questa macchinetta che presenta se stessa, dice come si chiama, e racconta la sua stessa storia: «Una volta parlavo in modo monotono, su una nota sola, adesso invece come sentite posso fare molto di piú». Riconosce i segni di interpunzione, e abbassa nettamente il tono prima di un punto, lo abbassa un po’ meno prima di un punto e virgola: ha una certa articolazione, però l’effetto finale è metallico, irreale.
REGGE Per tornare all’ebraico, non è il solo interesse che mi abbia trasmesso mio padre: gli devo anche la mia vocazione scientifica. Era nato contadino, poverissimo, nella piana vercellese, dalle parti di Borgo d’Ale, ma era un geniaccio, doveva avere un IQ eccezionale. Lavorando come una bestia riuscà a mettere da parte sessanta lire, che utilizzò per prendere il diploma da geometra. Siamo durante la prima guerra mondiale, e lui per fare l’esame finale si lanciò in corse sfrenate sui treni che andavano e venivano dal fronte. Riuscà a prendere il suo diploma, che all’epoca era importantissimo. Si ritrovò ad essere l’unico geometra in una zona che comprendeva varie migliaia di persone. Questo segnò un notevole innalzamento delle sue condizioni economiche. Venne a Torino, si sposò. Aveva vastissimi interessi di autodidatta, ovviamente disordinati. A un certo punto si mise a scrivere un libro di astronomia in cui sosteneva che la forza di gravità era inversa del cubo, non del quadrato, e che quindi Newton aveva torto.
LEVI Ma come lo dimostrava?
REGGE Commetteva un errore, ma l’errore era abbastanza interessante. Aveva scoperto che l’altezza delle maree indotte dalla luna e dal sole è circa la stessa. Se uno fa i conti, questo vuol dire che l’altezza della marea va come l’inverso del cubo della distanza, il che è vero. Le maree vanno come la derivata, essenzialmente, della forza di gravità . Quello che produce la marea non è tanto la forza di gravità in sé, quanto il come varia. Soltanto che lui faceva l’errore di ritenere che le maree fossero proporzionali alla forza di gravità , appunto, e non alla derivata. Non sono mai riuscito a spiegargli questo errore… Mio padre si era imparato tutto da solo, le funzioni trigonometriche, le equazioni algebriche, un certo formalismo matematico. Andava per le bancarelle e comperava a chili le dispense universitarie, e quindi mi sono trovato in casa questi testi dei tempi di Boggio, scritti ancora a mano, in litografia. È cosà che ho imparato il calcolo differenziale, sui quindici anni. Quando sono, arrivato alla maturità sapevo già le serie di Fourier, gli integrali. Ma il mio interesse scientifico, per essere precisi, è cominciato con uno strano manuale Hoepli, La matematica dilettevole e curiosa…
LEVI Era un manuale che circolava in tutte le case. Ne era autore Ghersi, uomo curiosissimo, morto non molti anni fa, vecchissimo, dopo aver partorito una serie sterminata di testi, e in particolare un libro di manualità , di do-it-yourself, il Nuovo Ricettario Industriale, che ho ancora, dove dava analiticamente suggerimenti per adoperare certi materiali, colla, vetro, stagno, ma ti spiegava anche come ci si può preparare spiritualmente e fisicamente in modo da predisporsi a fare un’invenzione.
REGGE Il Ghersi mi ha accompagnato dagli otto ai dodici anni, c’erano tutte queste curve algebriche, non capivo bene cos’erano, ma le trovavo molto interessanti. All’inizio c’erano i quadrati magici, i vari problemi di capre e cavoli. Nonostante il disordine e la mancanza di profondità del libro, lo ricordo con molta gratitudine.
Arrivato in terza elementare, mio padre mi ha fatto saltare in prima media, con un atto di pura follia. Quell’anno avevano creato la scuola media, c’erano degli scompensi ed era possibile approfittarne. Ho fatto le medie per due anni, imparandovi il poco latino che so; poi sono arrivati i bombardamenti, e mi sono ritrovato in un seminario di preti, dalle parti di Cigliano. I miei interessi matematici già allora erano diventati esclusivi. Ho poi fatto il liceo studiando il minimo indispensabile di materie letterarie, e magari neppure quello, visto che andavo ripetutamente a ottobre. Mi appassionava la chimica, avevo trovato un testo che raccontava la storia degli elementi…: tradotto dal tedesco, un classico, a livello universitario. Tu l’hai certamente visto. Mi interessava il sistema periodico; per questo quando è uscito il tuo libro mi ci sono buttato; mi piace la frase in cui dici che il sistema periodico è poesia, per giunta con la rima.
LEVI L’espressione è paradossale, ma la rima c’è proprio. Nella forma grafica piú consueta della tavola del sistema periodico, ogni riga termina con la stessa «sillaba», che è sempre composta da un alogeno piú un gas raro: fluoro + neon, cloro + argon, e cosà via. Ma nella frase che tu citi c’è evidentemente di piú. C’è l’eco della grande scoperta, quella che ti toglie il fiato; dell’emozione (anche estetica, anche poetica) che Mendeleev deve aver provato quando intuà che ordinando gli elementi allora noti in quel certo modo, il caos dava luogo all’ordine, l’indistinto al comprensibile: diventava possibile (e Mendeleev lo fece) individuare caselle vuote che avrebbero dovuto essere riempite, dato che «tutto ciò che può esistere esiste»; cioè fare opera profetica, antivedere l’esistenza di elementi sconosciuti, che vennero poi tutti puntualmente scoperti. Ravvisare o creare una simmetria, «mettere qualcosa al posto giusto», è una avventura mentale comune al poeta e allo scienziato.
REGGE Durante la guerra, per sopravvivere, mio padre trovò un impiego presso l’Ufficio tecnico del Comune di Venaria, e ci siamo spostati tutti lÃ. Abitavamo addirittura dentro il castello, mura spessissime, il parco davanti, il castello tutto per me. L’otto settembre la folla entrò dentro, saccheggiando tutto. Non proprio tutto: ad esempio non si erano accorti dei locali della farmacia dell’esercito, che erano un deposito inesauribile di strani composti chimici, come il solfuro di antimonio, il biioduro di mercurio di un bel rosso vivo che scaldato diventava giallo… Iodio in fialette, tetracloruro di carbonio con dentro sciolto del cloro, composti per gas lacrimogeni, chili di blu di metilene, acido picrico.
LEVI È un esplosivo per inneschi.
REGGE SÃ, giocavo con roba pericolosa, clorato potassico, candelotti fumogeni. Davo fuoco a tutto. Una reazione bellissima era il mescolare dell’anidride arseniosa, che è un po’ velenosa…
LEVI Lo è un bel po’: è il veleno di Mme Bovary.
REGGE … con clorato potassico e acido solforico, ottenendo una miscela altamente ossidante, l’eptossido di cloro, che diventa verde sino a una certa concentrazione, oltre la quale esplode. E difatti la provetta ha fatto uno schiocco, e ha sparato tutta la miscela sul soffitto, dove ha cominciato a corrodere l’intonaco. Poi ho mescolato dei bromuri con dell’acido solforico, ho scaldato, ho creato il bromo, il bromo ha cominciato a evaporare: ha mangiato tutti i tubi di gomma che raccordavano i vetri, nel giro di un minuto. Ho riempito la casa di bromo, è arrivata mia madre… Ero un pericolo domestico. Altrimenti giravo nei sotterranei del castello, che ricordo benissimo, con una di quelle torce di resina che non si spengono mai. Di infernotto in infernotto, sono sceso tre piani sotto terra, sino a che in una sala sono letteralmente esplosi diecimila pipistrelli, che dormivano là dopo essere entrati dal pozzo dell’infernotto. Sono riuscito a scappare, là sotto non ci sono piú tornato. Sono tornato agli esperimen...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Nota del curatore
- Dialogo
- ‘Il mio amico Primo’ di Tullio Regge
- Il libro
- Gli autori
- Dello stesso autore
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