La comparsa
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La comparsa

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Noga suona l'arpa, uno strumento discreto, quasi defilato, che pure, con la sua musica dolce, sostiene tutta l'orchestra. Adesso è tornata a Gerusalemme per prendersi cura della casa in cui è nata. Ma molte cose sono cambiate negli anni in cui è stata via: ci sono nuovi abitanti nel quartiere, il padre è morto, il marito l'ha lasciata dopo che lei ha deciso di non avere figli. Ma una donna è tale solo se è madre? Noga è una creatura forte e fragile, come forte e fragile è l'umano di fronte alla vita. Noga è soprattutto uno dei personaggi piú complessi, umani, semplicemente indimenticabili della letteratura di Abraham B. Yehoshua. Noga è una musicista, le sue dita sapienti e affusolate sono abituate a sfiorare le corde dell'arpa e a farne melodia. Ma adesso è lontana dal suo amato strumento, è lontana dalla musica, è lontana dalla vita che si è costruita in Olanda: è dovuta tornare a Gerusalemme, dopo molti anni che l'aveva lasciata, per prendersi cura dell'appartamento dove è cresciuta. L'anziana madre, infatti, sta trascorrendo alcuni «giorni di prova» in una casa di riposo a Tel Aviv: per delle oscure clausole contrattuali l'appartamento non può restare disabitato, nemmeno per un breve periodo. Molte cose sono cambiate da quando Noga era giovane. Il quartiere «si sta tingendo di nero»: i vecchi abitanti hanno lasciato il posto a una sempre piú nutrita comunità di ebrei ultraortodossi con le loro tradizionali vesti nere. A cominciare da due bambini che continuano a intrufolarsi in casa della madre per guardare la televisione (attività proibita dalle loro famiglie). Ma anche Noga è cambiata. Ad esempio non è piú sposata dopo che il marito l'ha abbandonata perché lei si rifiutava di avere un figlio. Per passare il tempo e guadagnare un po' di soldi - tanto piú che il soggiorno israeliano la costringe a saltare molti concerti - Noga inizia a fare la comparsa nei film e negli sceneggiati che si girano in città. Ma quella inattività «forzata» fa nascere in lei un dubbio fastidioso e dolente: che Noga sia ormai una comparsa nella sua stessa vita.
Il tormento di Noga, il conflitto che vive tra ricerca della felicità e aspettative sociali, tra il proprio desiderio e quello altrui, ne fanno uno dei piú potenti e sfaccettati ritratti di donna degli ultimi anni.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806223069
eBook ISBN
9788858420836

1.

Alle quattro del mattino il cellulare riprende vita. Anche se è una sveglia dimenticata dal giorno prima, Noga non interrompe la malinconica suoneria, inserita dall’amico flautista che non voleva essere dimenticato durante questo suo lungo soggiorno in Israele. Quando finalmente ricade il silenzio, Noga non si raggomitola nel plaid a quadri dei suoi genitori per riprendere il sonno interrotto ma, manovrando con delicatezza le leve del letto elettrico, solleva la testa per osservare, ancora distesa, il cielo pallido di Gerusalemme, alla ricerca del pianeta al quale deve il proprio nome.
Quand’era bambina suo padre le suggeriva di cercarlo poco prima dell’alba, o subito dopo il tramonto. «Anche se non riuscirai a trovarlo, – diceva, – è importante che di tanto in tanto alzi gli occhi al cielo e guardi almeno la luna, che è piú piccola del tuo pianeta come tuo fratello è piú piccolo di te, anche se a noi sembra piú grande perché è piú vicina».
E infatti, durante questa sua visita, forse a causa della forzata inattività o del lavoro di comparsa che talvolta la tiene impegnata di notte, Noga alza spesso gli occhi al cielo israeliano, piú limpido di quello europeo.
Negli anni precedenti la morte di suo padre, quando tornava in patria per una breve vacanza, preferiva farsi ospitare dalle amiche dei tempi dell’accademia di musica piuttosto che dai suoi genitori. E non, come supponeva suo fratello Honi, per evitare i nuovi vicini che avevano «tinto di nero» il quartiere. Lei – che negli ultimi anni si era allontanata da Gerusalemme e godeva dello spazio protetto e liberale dell’Europa – non aveva problemi a credere in una coesistenza dignitosa e pacifica con una minoranza che già mostrava segni di maggioranza. E, d’altro canto, quand’era ragazza le sue esercitazioni musicali di sabato non avevano risvegliato il malcontento dei vicini.
– Nel Tempio si suonava l’arpa anche durante le festività, – le aveva detto una volta con ironia il signor Pomeranz, il prestante vicino ortodosso del piano di sopra, – e ai timorati di Dio piace sapere che ti eserciti per l’arrivo del Messia.
– Ma alle ragazze sarà permesso suonare nel Tempio? – aveva domandato la giovane musicista col viso in fiamme.
– Anche le ragazze potranno suonare, – aveva risposto l’uomo, osservandola intensamente, – ma se all’arrivo del Messia i sacerdoti non te lo permetteranno, ti trasformeremo in un bel giovanotto.
Persino un ricordo tanto insignificante rafforza in Noga la convinzione che una tollerante convivenza con i vicini sia possibile e – contrariamente al fratello, molto preoccupato per il benessere della madre ormai circondata da ultraortodossi – osserva il loro modo di camminare spedito senza avversione né presunzione, ma con lo sguardo divertito e benevolo di una turista navigata, dinanzi alla quale il mondo si dispiega in tutta la sua folcloristica varietà.
Dopo essersi sposata aveva vissuto per alcuni anni a Gerusalemme col marito Uriah ma, avendo in seguito abbandonato città e consorte, quando talvolta capitava nella capitale di venerdí sera, per una visita ai genitori, preferiva passare la notte sul litorale. L’amicizia e l’intimità di suo padre e sua madre, cementatesi con la vecchiaia, le pesavano anziché confortarla. I genitori tacevano sul suo rifiuto di mettere al mondo un figlio, rassegnati. Eppure lei aveva la sensazione che anche loro preferissero che non rimanesse la notte, per non disturbare il loro strettissimo rapporto di coppia, rimasto fedele all’angusto, antiquato e usurato letto di legno nel quale i due sprofondavano in serena armonia. E se uno di loro si svegliava di soprassalto a causa di uno strano sogno, o di una qualche preoccupazione, l’altro lo imitava, proseguendo una conversazione che probabilmente non si interrompeva nemmeno nel sonno.
Una volta, a causa di un temporale, per paura di non riuscire a raggiungere Tel Aviv, Noga era rimasta a dormire nella sua camera di quand’era bambina e, fra i fischi del vento e i bagliori dei lampi, aveva visto suo padre camminare per casa a passi piccolissimi, a capo chino, riverente, con le mani strette al petto a mo’ di monaco buddhista.
– E adesso che succede? – aveva sentito bofonchiare sua madre dal letto matrimoniale.
– I lampi e i tuoni mi hanno trasformato in un cinese, – si era giustificato suo padre in un sussurro, salutando con un cenno del capo una folla di cinesi immaginari.
– Ma i cinesi non camminano cosí…
– Come dici?
– I cinesi non camminano cosí.
– E allora chi cammina cosí?
– I giapponesi, solo i giapponesi.
– Allora sono un giapponese, – aveva detto lui avanzando a passi ancora piú piccoli verso lo stretto letto matrimoniale, girandoci intorno e profondendosi in educati inchini verso la donna della sua gioventú. – Che cosa ci posso fare, amore? La tempesta mi ha fatto volare dalla Cina al Giappone e mi ha trasformato in un giapponese…

2.

Il cinese-giapponese se ne era andato all’età di settantacinque anni, arzillo e spiritoso fino all’ultimo. Una notte sua moglie si era svegliata per definire meglio un’idea avuta prima di andare a letto, ma nessuno le aveva risposto. Sulle prime aveva interpretato quel silenzio come un assenso. Poi, cominciando a sospettare qualcosa, aveva cercato di scuotere il marito perché esprimesse un’opinione. Ma nel farlo aveva capito che il compagno della sua vita aveva lasciato questo mondo, l’aveva lasciato senza sofferenze e senza lamentele.
Durante la settimana del lutto, mentre ne piangeva la morte con parenti e amici, la donna aveva parlato con meraviglia, ma anche con rancore, di quel congedo silenzioso e scortese. Ed essendo il marito un ingegnere, responsabile della rete idrica del comune di Gerusalemme, aveva scherzato, dicendo che era riuscito a programmare in segreto la sua dipartita mediante un blocco del sangue al cervello, come talvolta faceva con gli ultraortodossi morosi, restii a pagare bollette e tasse alla municipalità sionista, cui bloccava il flusso dell’acqua.
– Se mi avesse rivelato il segreto di una morte tanto facile, – aveva brontolato con i figli, – vi risparmierei le seccature che dovrete sopportare prima della mia, di morte. E temo che saranno prolungate e numerose.
– Sopporteremo tutto, – le aveva promesso il figlio in tono solenne, – a patto che tu lasci definitivamente Gerusalemme, venda l’appartamento, lo sai che perde valore ogni giorno a causa dei vicini ultraortodossi!, e ti trasferisca in una casa di riposo a Tel Aviv, vicino a me e ai tuoi nipoti: ormai hanno paura di venire a trovarti qui!
– Hanno paura di che?
– Che qualche testa calda prenda a sassate la nostra macchina.
– Allora parcheggia lontano e venite qui a piedi: non vi farà male. Non è dignitoso avere paura di persone osservanti.
– Non è proprio paura… è piú… un senso di repulsione…
– Repulsione? E perché? I nostri vicini sono persone semplici… e fra loro ci sono buoni e cattivi, come in qualunque altro posto.
– Certo, solo che non riesci a distinguerli… si assomigliano tutti… E anche se fossero tutti angeli non saranno comunque loro a prendersi cura di te. Perciò è meglio che rimangano qui mentre tu, adesso che sei sola, ti trasferisci vicino a noi.
Noga era rimasta in silenzio. Non perché la richiesta del fratello fosse illogica, ma perché non credeva che la madre avrebbe acconsentito a lasciare Gerusalemme, a rinunciare all’appartamento in cui aveva trascorso gran parte della sua vita – vecchio, sí, ma ampio e confortevole –, e a rinchiudersi nel minuscolo alloggio di una casa di riposo. E in una città che lei considerava infima, oltretutto.
Ma Honi non aveva smesso di far pressione anche su sua sorella. – Se tu te ne sei andata da Israele per esimerti, fra le altre cose, dalle tue responsabilità verso i genitori, – le aveva rinfacciato, – almeno dài una mano a chi è rimasto a fare il suo dovere.
Però a quel punto Noga si era ribellata. Lei non se n’era andata da Israele per sottrarsi alle proprie responsabilità, ma perché non aveva trovato lavoro in nessuna orchestra.
– L’avresti trovato se non avessi insistito a suonare uno strumento tanto elitario, invece di uno piú democratico.
– Democratico? – aveva riso lei. – E quale sarebbe uno strumento democratico?
– Il flauto, il violino, anche la tromba.
– La tromba? Ti saresti pentito di questa mia scelta…
– Sono già pentito, ma prima che tu riparta aiutami almeno a convincere la mamma a lasciare Gerusalemme. Cosí potrai startene col cuore in pace in Europa fino alla fine dei tuoi giorni.
Malgrado le lamentele e le punzecchiature, fra i due fratelli c’erano sentimenti di affetto e di fiducia e, quando Honi tentava di prendere in giro la sorella davanti ai familiari, lei gli rendeva pan per focaccia mettendolo in imbarazzo con aneddoti della sua infanzia. Raccontando di quella volta, per esempio, che era stata convocata all’asilo dello stesso istituto scolastico dove lei frequentava le elementari perché Honi, che si era messo nei guai facendo strani scherzi agli amici, era stato rinchiuso nel bagno in attesa del suo arrivo. E lei lo aveva riportato a casa in lacrime, mentre cercava di calmarlo.
Ora Honi ha trentasei anni. È proprietario di uno studio di produzione di documentari e di spot pubblicitari e si barcamena per mantenere se stesso e i suoi dipendenti – di solito con successo – grazie alle sue idee innovative. La moglie, che lui adora, è una pittrice le cui opere, benché apprezzate dagli addetti ai lavori, sono troppo sofisticate e cerebrali per trovare facilmente acquirenti. Forse per questo cresce i tre figli con un’amarezza strisciante, che si riversa nei comportamenti difficili del figlio maggiore e nei continui capricci della piú piccola. Perciò, quando Honi insiste nel voler convincere la madre a lasciare Gerusalemme per trasferirsi in una casa di riposo di Tel Aviv, non lo fa solo per motivi economici ma perché, soprattutto dopo la morte del padre, vuole rendersi utile e badare a lei senza complicarsi ulteriormente la vita, già dura di per sé.

3.

Noga inclina il letto con un leggero ronzio, si alza in piedi e, a piccoli passi, simili a quelli di suo padre la notte del temporale, si avvicina alla grande finestra del soggiorno per cercare, tra le inferriate, il pianeta dorato. Un suo amico, un colto violinista della Het Gelders Orkest di Arnhem, quando era venuto a sapere il significato del suo nome in ebraico le aveva spiegato che Venere è una figura non solo femminile ma anche satanica, senza però saperle spiegare il senso di questa caratteristica. Nella strada deserta e silenziosa una giovane donna con una parrucca bionda trascina un bambino insonnolito con uno zainetto sulle spalle. I lunghi boccoli chiari del piccolo ondeggiano sotto il cappello nero. Noga li segue con lo sguardo fino a che scompaiono. Poi si sposta nella «camera dei ragazzi»: c’è un’atmosfera di provvisorietà, in quella stanza, forse a causa delle due valigie aperte, come fossero ansiose di tornare in Europa. In un angolo, avvolto in una tela cerata, c’è un vecchio strumento che Honi ha tirato giú dalla soffitta perché lei decidesse cosa farne. Era stato suo padre, verso la fine delle elementari, a sorprenderla con quel regalo: un incrocio tra un’arpa e un ‘ūd, scovato da un rigattiere nella zona araba della città. Aveva solo ventisette corde, la maggior parte delle quali ormai scomparse, e le poche rimaste tremolano a ogni tocco. Durante una delle sue visite precedenti Noga si era ricordata di questo strumento e aveva addirittura pensato di portarlo con sé ad Arnhem. Le sarebbe piaciuto trovare qualche giovane europeo interessato a suonarlo, ma sapeva che nemmeno in quella civile città olandese, poco lontana dal confine con la Germania, nemmeno lí avrebbe trovato qualcuno interessato a quel vecchio strumento.
In quei lunghi giorni a Gerusalemme le manca molto poter suonare. Ma anche se rimettesse in sesto le corde di questa «arpa», non riuscirebbe comunque a gustare appieno il suono di un vero strumento. Una settimana dopo il suo arrivo aveva assistito a un concerto dell’orchestra filarmonica di Gerusalemme e, durante l’intervallo, si era presentata all’arpista, una giovane di origini russe, per chiederle il permesso di esercitarsi con la sua arpa. – Mi ci faccia pensare, – aveva risposto la ragazza squadrandola da capo a piedi, come se Noga stesse tramando di tornare in Israele e di rubarle il posto. – Mi lasci il suo numero di telefono, – aveva aggiunto titubante, – la chiamerò io –. Ma, come previsto, non l’aveva fatto – probabilmente ci sta ancora pensando – e nel frattempo il desiderio di suonare di Noga si era affievolito. Fra dieci settimane il periodo di prova di sua madre nella casa di riposo sarà terminato e lei tornerà all’arpa che l’attende nel seminterrato del Musis Sacrum, l’auditorio di Arnhem, pronta per le prove della Sinfonia fantastica di Berlioz. E per il momento si accontenta di manovrare le leve dell’originale e sofisticato letto sotto il quale, in una polverosa scatola nera, è nascosto un motore elettrico.
Un letto che appare anomalo fra le datate suppellettili dell’appartamento di Gerusalemme. Costruito da Yossef Abadi – un giovane ingegnere di talento, dipendente del municipio e collega del padre di Noga, col quale aveva mantenuto un rapporto di amicizia anche dopo il pensionamento – è stato donato alla vedova come consolazione per la silenziosa dipartita dell’ex direttore. E, in effetti, un oggetto simile avrebbe potuto trovare posto in questa casa, in sostituzione dello stretto e usurato letto matrimoniale, solo dopo la morte del padre di Noga.
Durante la settimana del lutto, Yossef Abadi e la moglie erano venuti a trovare i familiari del defunto mattino e sera, portando cibo e giornali e offrendo la loro assistenza p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La comparsa
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. 19.
  23. 20.
  24. 21.
  25. 22.
  26. 23.
  27. 24.
  28. 25.
  29. 26.
  30. 27.
  31. 28.
  32. 29.
  33. 30.
  34. 31.
  35. 32.
  36. 33.
  37. 34.
  38. 35.
  39. 36.
  40. 37.
  41. 38.
  42. 39.
  43. 40.
  44. 41.
  45. 42.
  46. 43.
  47. 44.
  48. 45.
  49. 46.
  50. 47.
  51. 48.
  52. 49.
  53. 50.
  54. 51.
  55. 52.
  56. 53.
  57. 54.
  58. Il libro
  59. L’autore
  60. Dello stesso autore
  61. Copyright