Dove eravamo arrivati?
Agli anni dell’università , appena dopo.
Non ricordo cosa avevamo già detto, cosa non avevo ancora detto.
Non importa. Avremo modo di tornarci.
La mia storia è incominciata subito dopo la laurea. Io avevo un gran bisogno di guadagnare perché mio padre era molto malato e l’idea piú balzana che ci è venuta è stata quella di installare un laboratorio in proprio.
Di cui parli nel «Sistema periodico».
No, non mi pare di averne parlato.
A me pareva in «Arsenico», quando parli del ciabattino e dell’analisi da fare. Non si trattava del tuo laboratorio in proprio?
SÃ, ma c’è un antefatto, questo è accaduto prima. Con la stessa persona, con lo stesso amico Emilio del Sistema periodico.
Si può sapere il nome anagrafico?
SÃ, si chiama Alberto Salmoni, il cui padre, appunto, aveva il monopolio del sangue del macello in corso Inghilterra e disponeva di un locale1. Noi abbiamo pensato di installarci lÃ.
In corso Inghilterra?
SÃ, dove adesso c’è la Sip, c’era il macello una volta.
Il vecchio mattatoio.
SÃ. Abbiamo installato un laboratorio in proprio per produrre su larga scala reattivi titolati, cosa che è poi stata fatta da altri. Era un’idea folle con i mezzi che avevamo, non avevamo soldi.
Che cosa sono i reattivi titolati?
Sono delle fiale che contengono una quantità precisa, esattamente pesata, per esempio di acido solforico o di soda caustica o di permanganato o di altro.
Per usi diversi?
Per uso analitico, servono per altri laboratori, servono a titolare, cioè a stabilire il titolo di altre sostanze. E la cosa è durata molto poco…
Alberto Salmoni – scusa se ogni tanto ti interrompo – era un tuo compagno di corso?
SÃ, era un mio compagno di scuola, un mio compagno di corso, il mio compagno di lungo corso, perché è amico ancora adesso.
Vi siete conosciuti all’università o al D’Azeglio?
Ci siamo conosciuti su un pullman che tornava dal Sestriere, dove c’era un bellissimo ragazzo che cantava molto bene e che poi ho riconosciuto essere lui. Ma non sapevo che fosse ebreo. A un piú attento esame, viene fuori che ha a che fare con shalom, vuol dire pace in sostanza, vuol dire Salomon, una abbreviazione di Salomon. Io non sapevo che fosse ebreo, non aveva nulla di ebraico nel tipo fisico, nel modo di fare. Era un bel ragazzo ed è tuttora un bell’uomo, tanto che – sia detto per inciso – quando sono venute le leggi razziali lui mi aveva chiesto: «E tu come te la cavi?» Io sono stato molto irritato perché pensavo la domanda impertinente: «Me la caverò, tu ariano arrangiati». E lui mi ha detto: «No, sono ebreo anch’io». Bene, questo laboratorio è durato poco perché ho ricevuto la proposta di ingaggio a Balangero, quella che ho raccontato in Nichel.
Era stata solo un’idea o il laboratorio l’avete messo su per davvero?
No, noi ci siamo davvero attrezzati in modo rudimentale, avventuroso, dentro il macello. Era un locale assolutamente repellente.
E quanto è durata?
È durata forse un mese.
Dunque molto poco. Puoi dirmi l’anno con precisione?
L’autunno della laurea, cioè il ’41.
Repellente dicevi?
SÃ, specialmente quel locale. Tutto il mattatoio era repellente, quel locale in specie perché era pieno di sangue, sangue coagulato. Ne ho parlato poi a proposito dello stagno nel Sistema periodico, descrivendo il padre di Alberto. Era sotto le ali del padre, che ci aveva generosamente messo a disposizione uno di questi locali.
Lui che cosa ha poi fatto?
Il padre?
No, Alberto Salmoni.
Ha cambiato diversi mestieri. Adesso non fa piú niente, cioè possiede addirittura una cartoleria, ma di fatto fa il pensionato.
Questo è stato quindi il primo progetto, realizzato almeno per un brevissimo periodo.
SÃ.
Hai mai fantasticato altro, nella tua testa avevi già pensato qualche altra cosa?
Mah, avevo pensato da cosa nasce cosa, cominciamo a mettere su un laboratorietto, vedremo poi cosa si può fare, se non quello che ti dicevo, cioè reattivi per analisi, preparazioni per conto terzi. In tempo di guerra si trovavano queste cose. Mancavano molte materie prime e c’era modo di fare delle sintesi, cosa che abbiamo poi fatto subito dopo la guerra.
Hai mai pensato di mettere su un'impresa piú ambiziosa?
Mah, in quelle condizioni, con la guerra in corso, con le leggi razziali in corso, era un’economia di sopravvivenza, si pensava alla giornata. I piú lungimiranti pensavano che andava male comunque per gli ebrei in Italia, sia in caso di sconfitta sia in caso di vittoria tedesca. Si era in un guaio grosso, quindi si viveva in una situazione estremamente precaria.
Non consentiva né sogni né progetti.
No, nessun progetto. Si sentiva tragedia per aria, quale tragedia fosse non si sapeva ancora, non sapevo come si sarebbero svolte le cose. Ciò non toglie che appunto, finita questa breve parentesi, sono stato a Balangero non male, anzi mi trovavo molto bene perché il lavoro mi piaceva.
La proposta di Balangero da chi ti era venuta?
Da Ennio Mariotti2, è mancato cinque o sei anni fa.
Chi era, che cosa faceva?
Era tenente dell’esercito, antifascista di famiglia. Suo padre aveva fatto a schioppettate contro i fascisti a Firenze. Era fiorentino, era un uomo molto intelligente e molto energico che faceva il servizio militare con molta ripugnanza e che, nei miei riguardi, era molto autoritario. Tanto che la mia è stata quasi una ribellione. Trovai il «mio» modo di isolare il nichel e lui ha masticato abbastanza amaro, anche perché io ero stato mandato, in seguito a questa mia, diciamo, piccola scoperta a Genova, a Cornigliano anzi, dove c’era un laboratorio militare, sempre in via semiclandestina per il fatto che io ero ebreo, per sperimentare altri metodi di arricchimento di questo materiale, per perfezionare il metodo e cosà via.
Ci sei rimasto tanto?
Sono rimasto forse due mesi a Cornigliano e ho brevettato in proprio, ho fatto un atto abbastanza scorretto, ma – come ti dicevo – erano anni tragici e io pensavo: avere un brevetto a nome proprio è un titolo che può servire anche se dovrò scappare in Svizzera o in qualche altra parte.
E vivevi a Cornigliano?
Vivevo a Genova, avevo dei parenti a Genova, e lavoravo a Cornigliano.
Quindi sei vissuto là per un p...