Kierkegaard sostiene che l’io non sia un monolito ma una serie di tentativi, di possibilità diverse tra l’essere e il non essere.
Non esiste un centro: ci sono decisioni, paralizzanti e divergenti (aut aut), ma tutte potenzialmente soggette al fallimento. Il filosofo danese parla di tre grandi stadi dell’esistenza, tre colori primari che non si mescolano tra loro. Tra queste fasi non c’è continuità o progresso: quando si tenta il salto, sotto si spalanca l’abisso.
In apparenza si sviluppano cronologicamente: dapprima l’estetismo della gioventú, con la sua ubriacatura di novità ; poi l’etica della maturità , con la consacrazione al dovere, alla famiglia, al lavoro; e infine la religiosità della vecchiaia, il regno della solitudine e dell’assurdo, in cui ci si consegna a Dio senza alcuna sicurezza.
In realtà , la scelta è ogni giorno, a tre anni come a trentacinque, a ventisei come a ottantaquattro. E il fatto che Kierkegaard abbia scritto le sue opere sotto vari pseudonimi (Victor Eremita, Anti-Climacus, Johannes de Silentio, per citarne alcuni) suggerisce l’idea di un gioco con le opportunità del mondo, sempre indeterminate e sempre legate all’angoscia di non essere incappati in quella giusta.
Una donna, per esempio, impiega anni a costruirsi un nome, un tempo, un luogo. Una verità che sia assoluta e robusta.
Ma appena arriva un figlio, smette addirittura di chiamarsi come si chiamava prima: è mamma per chiunque, pure per suo marito. Gioca mentre dorme, mangia mentre gioca, dorme mentre mangia. E di volta in volta decide, per esclusione, di essere una madre radiosa anziché una madre uggiosa, una madre figlia di sua madre anziché una madre uguale alle altre madri, una madre Emma Bovary anziché una madre Maruzza la Longa.
Finché un giorno anche il nome, quel nome eccezionale di madre, le viene in qualche modo sottratto, e il gioco dell’identità è tutto da ricominciare: insieme ad altri nomi, ad altre possibilità , e qualche abisso nel mezzo.
Perché il rapporto tra madri e figli è simile a quello che si crea in una compagnia di porcospini.
Schopenhauer racconta che questi animali, appena giunge l’inverno, si stringono tra loro per scaldarsi, ma subito iniziano a provare fastidio, addirittura dolore per via degli aculei. Allora si allontanano, ma il freddo li spinge ad avvicinarsi di nuovo. Cosà trascorrono il tempo, «sballottati avanti e indietro tra i due mali», finché non trovano la giusta distanza.
E la cifra è proprio questa: una giusta distanza, da costruire giorno per giorno.
Forse sono i figli a ricercarla per primi, non senza contraddizioni, inciampi e difficoltà : quando cominciano ad andare all’asilo, quando danno il ciuccio alla fatina, quando camminando per strada rifiutano la mano. Quando la notte sgattaiolano nel lettone, e tu ti acciambelli, li avvolgi, pizzichi i loro piedi, ma loro, sentendo i tuoi aculei, si spostano dall’altra parte e sussurrano: «Fammi dormire, dà i».
Anche una madre, a poco a poco, arriva a comprendere la giusta distanza, e ci riesce solo esercitando lo sguardo lungo, quello che s’infila dentro le aule dell’asilo mentre i bambini disegnano ancora, o tra le corsie azzurre della piscina dove annaspano come cagnolini. Perché, anche se per ora stai solo iniziando a osservarli dagli spalti della loro vita, tu sai che sarai là ogni giorno, a fare il tifo per loro, stringendoli forti quando ci sono e lasciandoli andare quando non ci sono.
L’importante è capire che la distanza non è lontananza, anzi: è misura dell’avvicinamento, della comprensione. Forse è lo spazio per l’amore. Per qualche tempo hai creduto che questo spazio fosse simile a una caverna. Tuo figlio stava là imprigionato, gambe e collo e braccia, in modo da non potersi voltare. Alle sue spalle un muricciolo dietro il quale degli uomini trasportano ogni genere di oggetti e, dietro, un fuoco che arde. Davanti solo le ombre degli oggetti e attorno l’eco delle voci: lui scambiava la realtà per quel teatrino di ombre parlanti.
Al fondo della caverna, l’uscita, piena di luce.
Le madri continuano a farsi caverna costruendo per i propri figli un mondo su misura, sicuro, in penombra. Una caverna di gomma che protegge dai traumi di una caduta dall’altalena, o dalla vita. Cosà madre e bambino rimangono ancora un po’ nascosti, ancora un po’ abbracciati, ancora un po’ prigionieri l’uno dell’altra.
Ma la luce che entra dal fondo della caverna segnala l’esistenza di un’altra dimensione: il mondo vero, attrattivo, insidioso. E i passi dei bambini verso quel mondo a un certo punto si fanno piú rapidi, piú decisi: ogni nuova parola, ogni scoperta, ogni faccio da solo è un passo.
Finché dicono non ci voglio andare piú in piscina, finché non imparano a infilarsi le mutande dal lato giusto. Allora escono, e vedono il sole che ferisce e rivela. A quel punto, al pari del filosofo che non si compiace in quella felicità , decidono di tornare nella caverna, a risvegliare gli altri prigionieri.
Torneranno da noi, per dirci che non c’è nulla da temere. Il mondo là fuori è bellissimo.
I brani citati nel testo sono tratti dalle seguenti edizioni:
N. Ginzburg, Le piccole virtú, Einaudi, Torino 2005. Aristotele, Metafisica, introduzione, traduzione, note e apparati di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1997. Aristotele, Etica Nicomachea, introduzione, traduzione e commento di Marcello Zanatta, Rizzoli, Milano 1994. H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, trad. Luciano Gallino e Tilde Giani Gallino, Einaudi, Torino 1999. J.-P. Sartre, La nausea, trad. Bruno Fonzi, Einaudi, Torino 2002. Lucio Anneo Seneca, Tutte le opere: dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, a cura di Giovanni Reale, con la collaborazione di Aldo Marastoni, Monica Natali e Ilaria Ranelli, Bompiani, Milano 2000. K. Popper, Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza, trad. Mario Trinchero, Einaudi, Torino 2010. K. Popper, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, trad. Giuliano Pancaldi, il Mulino, Milano 1972. J.-J. Rousseau, Emilio o dell’educazione, a cura di Paolo Massimi, Mondadori, Milano 2013. E. Bloch, Tracce, Apologhi, aneddoti, fiabe, leggende, romanzi riletti e trasfigurati tra narrazione e riflessione filosofica, a cura di Laura Boella, Garzanti, Milano 2006. J. L. Borges, Altre inquisizioni, trad. Francesco Tentori Montalto, Feltrinelli, Milano 2002. F. Nietzsche, Umano, troppo umano, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari; versioni di Sossio Giametta e Mazzino Montinari, Mondadori, Milano 1978. M. Heidegger, Che cos’è la metafisica in Segnavia, a cura di Franco Volpi e Friedrich-Wilhelm von Herrmann, Adelphi, Milano 1987. W. Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), a cura di Pietro Marchesani, Adelphi, Milano 2013. Platone, Simposio, a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2000. A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1998.
Per essere madri bisogna imparare a guardare il mondo con la filosofia di un bambino.
Un bambino si può trasformare in un piccolo filosofo, basta osservarlo con attenzione mentre esplora il mondo. Basta ascoltarlo mentre con le sue prime parole semplici si interroga su ciò che lo circonda. Ogni sua domanda è un modo per dare un significato alle cose, e ne rivela quel lato stupefacente che da adulti purtroppo si dimentica. Un bambino non sa cosa sia la verità eppure la cerca sempre con ostinazione, facendoci riscoprire con i suoi dubbi il piacere e la felicità di quella ricerca. E ci costringe a capovolgere valori e direzioni, a osservare la realtà con uno sguardo diverso, piú ingenuo, capace di illuminarla. Perché se il pensiero è l’esercizio continuo della meraviglia allora i veri filosofi sono i bambini. Vittoria Baruffaldi ci mostra, con intelligenza e leggerezza, tutta la gioia di essere madre, lasciando che ogni affanno si dissolva nello stupore degli occhi grandi e curiosi dei nostri figli.
Vittoria Baruffaldi, nata a Torino nel 1977, è professoressa di filosofia e storia al liceo. È autrice del blog La filosofia secondo babyP, nato come riflessione filosofica sulla maternità . Ha pubblicato qualche racconto su riviste, tra cui «Inutile» e «Nazione Indiana».