Ti vedessi adesso che di anni ne hai quarantuno. Vedessi, Natura, come il sole non ce la fa a frugare fra i tuoi capelli, ora che sono cosí tanti e neri. È costretto a rimbalzarti attorno in una bolla mentre tu, noncurante, ci raggiungi con il vassoio pieno di bistecche di soia, patate e peperoni a fette. Sorridi. Ti ho sempre vista sorridere. Perché non dovresti andare avanti cosí?
– E poi dicono della perfezione del Piano. Te ti hanno abbinato con una gnocca cosí –. Questo è FaMo. Mi sta parlando all’orecchio. Di te. – E me con un debito come quella lí. Non sarà mica vera la storia del pre-karma? – Ora segnava ProSca, la sua partner. In effetti è piena di qualità ma è difficile immaginarla vincere un concorso. Anche fra dieci anni.
Il Piano Vidor non sbaglia nemmeno i vicini. Questi sono addirittura diventati i nostri migliori amici.
Prendo il vassoio dalle tue mani. Mi baci mentre me lo passi. Mi dai una pacca sul culo non appena mi giro. Comincio a mettere la roba sul fuoco del grill.
– Ce la fate a essere un po’ meno schifosamente appiccicosi voi due? – ProSca si riferisce a me e te, piccola. – Non capite che cosí infierite su una poveraccia? – Si segna. – Io sono quella che è stata abbinata a un affare come quello lí, avete presente? – C’è da dire che al suo uomo non gliene fa passare una.
– Grazie tesoro, sei proprio il mio amore –. FaMo a quel teatrino ci sta sempre.
– Figurati, quando posso… Piuttosto, cara la nostra comare, dicci un po’ che cosa bisbigliavi all’orecchio del tuo amico. Ho visto che mi stavi segnando.
– Ti stavo segnando?
– Non fare il furbo.
– No, niente, siccome fra un paio d’ore c’è il derby, gli stavo dicendo di stare tranquillo che una donna in gamba come te non avrebbe avuto problemi se io e lui ce lo guardavamo.
– Se non vomito è perché devo ancora mangiare.
– Davvero non so come ringraziarti, amore mio. D’altronde l’uomo ha bisogno di calcio. È storicamente e geneticamente dimostrato –. In realtà a FaMo del calcio non gliene frega niente.
Ti siedi di fianco a ProSca al tavolo da giardino. Il nostro giardino. Non c’è gara con gli altri qui attorno. Ovviamente grazie alle tue cure, piccola. Accendete il getto d’aria. Vi mettete di fronte. Caldo questo giugno è caldo.
– A parte il fatto che se davvero l’uomo ha bisogno di calcio tu, allora, dovresti andare via liscio. Forse puoi aver bisogno di nuoto sincronizzato o di pattinaggio artistico –. ProSca non molla mai. – Comunque era chiaro che qua si sarebbe fermato tutto per il derby. Siete pallosi e prevedibili quanto il «vostro» sport.
– Non sei nemmeno padrona delle tue parole. Cosa c’entra l’aggettivo «prevedibile» con il concetto di calcio? Sentiamo –. FaMo e la sua donna, insieme, tendono a essere uno spasso. ProSca risponde con uno sguardo che balla fra l’ironico e il compassionevole.
– Stai sostenendo, mio amore infinito, che sarebbe tutto combinato? – FaMo gliel’ha chiesto recitando un po’ d’indignazione. ProSca ora ci guarda apparentemente inespressiva. In realtà ci sta passando un «o siete scemi o li state facendo». Va be’, allora andiamo. Io e il suo uomo ci mettiamo a urlare in coro:
– Vigilanzaaaa. Una controrivoluzionariaaa. Quiii. Subitoooo.
– E fate piano, idioti. Guardate che se mi fanno il triplo controllo solo per via di due imbecilli come voi… – L’ha praticamente urlato sottovoce. Difficile farlo ma lei può. Io e FaMo le diamo le spalle mostrandole bene i rimbalzi del nostro ridacchiare. Lei porge di nuovo la faccia al getto d’aria. Si mette a parlare solo di labiale. Non vuole noie.
– Solo dei coglioni possono appassionarsi a campionati che, diciamo… tengono conto… delle percentuali di tifosi…
– Ohhhhhhh –. Ancora io e il mio amico in coro. Sei venuta a prendere le verdure. Mi hai allungato un bicchiere di ribolla gialla a due gradi. Una buona scusa per baciarmi ancora. Il tuo passaggio cambia l’aria: lasci una scia di vaniglia. Il cibo non c’entra. Ti siedi a prendere la tua parte di getto d’aria. Ti godi lo spettacolo.
– … sapendo già, quindi, che anche quest’anno vince il Deponente.
– Ohhhhhhhhhh.
ProSca è pronta per uno dei suoi momenti di rabbia. Di solito quando le succede balbetta. Di solito io e FaMo sbottiamo a ridere. Di solito lei si infuria e si inceppa ancora di piú. Di solito arriviamo a sganasciarci. Di solito Natura ci dice di smetterla, poi però non riesce a trattenersi e ridacchia pure lei. Insomma, ci aspettiamo che ProSca perda i cavalli. Invece non lo fa. Rientra, ora con un tono di voce normale:
– Va be’, fate pure gli scemi. E poi andatevi a vedere una partita che tutti sanno come va a finire.
– Cioè?
– Cioè, cioè. Ma piantatela, va’.
– Dici che vince il Deponente? – chiede FaMo con la punta di sarcasmo che serve.
ProSca guarda te lasciando passare un «ma come sono messi questi due?» Le sorridi mentre alzi le spalle. Noi andiamo avanti col nostro solito:
– Ohhhhhhhhhhhhhhh.
– Va bene. Vedremo.
Ogni tanto le scappa un’occhiata verso il cielo, quasi potesse vedere se i controlli satellitari sono accesi su di lei. Tanto lo sa che, alla peggio, questo è un argomento da mezza ammonizione. Opinioni non dimostrabili.
– Comunque, anche se nella tua tiritera ci fosse qualcosa di vero, cara la mia Nostradamus, non si può mai sapere di quanti gol, – le dice FaMo. Si è fatto un po’ serio, a dirla tutta.
– Tre a uno –. ProSca l’ha detto con una tranquillità un po’ fastidiosa.
– Ohhhhh, – facciamo ancora noi. Ma non ci è venuto troppo convinto.
Lei sorride sicura di sé:
– Perché non scommettiamo davvero?
– Cosa ci facciamo su? – chiedo io.
– Se azzecco il risultato passiamo i prossimi tre sabati al Locale 97 e state muti.
– Se no?
– Se no, vi guardate tutto il campionato senza che fiatiamo io e Natura. Va bene per te, Natura? Ti fidi di me?
– Ho qualche altra scelta? – le rispondi allegra. La vaniglia si stempera per tutto il giardino.
Il piatto è sproporzionatamente a nostro favore. Deve sentirsi davvero sicura di quello che dice. Io e FaMo ci scambiamo un’occhiata:
– Buona.
– Non sono ancora pronte le bistecche? Io ho una fame vigliacca.
Niente è mai abbastanza pronto per te, bimba.
Accendo la canna di skunk digestiva. Ho sentito che fino a metà del ventunesimo secolo usavano bevande composte per piú del quaranta per cento da alcol come ammazzacaffè. Per quanto ci provi non riuscirò mai a immaginare come dovessero essere diversi i concetti di libero arbitrio, di vita e di morte, di pulsione suicida. Dopo un paio di tiri la passo a FaMo.
– Fa sempre lo stronzo il regista con cui stai lavorando? – mi chiede.
– Ogni giorno di piú.
– Non è strano che mettano in quei posti gente cosí? – Sbuffa il suo fumo.
– Mi sa che rientra tutto nel Quadro Rispetto Tradizioni. A quanto ne so, parecchi registi dei secoli scorsi erano mediamente stronzi.
Le ragazze sono rimaste in giardino a chiacchierare. In realtà sembra che, come sempre, sia ProSca a parlare e tu, piccola, a ridere.
– Però come fa uno stronzo a gestire un film?
– Be’, se uno è stronzo per eccesso di sensibilità artistica, capace che produca roba molto buona. Se uno, come quello con cui sto lavorando, è stronzo per emulazione, è solo uno stronzo al cubo.
Il Deponente sta conducendo due a zero. Espulsi due giocatori del Capolore. Sono rimasti in sei contro otto. Ho letto che una volta le squadre giocavano in undici. FaMo non sta nemmeno guardando. Il calcio? Il calcio con lui proprio non ci entra. Fa un tiro profondo. Aspira l’aria fra i denti reclinando la testa all’indietro. Mi allunga la canna.
– Sai che non ho mai capito come li girate quei film? Com’è che quando li guardiamo sembra sempre che succeda tutto a noi?
Sorrido. Quante volte me l’ha chiesto. Non lo capirà mai.
– Giriamo tutto in soggettiva –. Non sto a spiegargli un’altra volta cos’è una soggettiva. Tanto è inutile. – Riprendiamo, praticamente, ambienti vuoti. Poi il Centro Unità Sogno, in una seconda fase, inserisce i personaggi a computer.
Ora il Capolore ha segnato. Due a uno. Quasi impossibile ma potrebbero ancora farcela.
– Quindi non sapete mai come sarà la storia –. Fatica a tenere gli occhi aperti. Fra un po’ si addormenta. Quante volte mi ha chiesto anche questo.
– No.
– Chissà quanto vi rompete le palle.
– Perché, tu non te le rompi ad aggiustare motori?
FaMo dà un’occhiata alle microcamere. Forse pensa che, se andiamo avanti cosí, potremmo beccarci un’ammonizione. Non esageriamo. E poi secondo me sono spente.
Vorrebbe anche rispondere, è che ributta la testa all’indietro e comincia a russare.
Nel tuo nome c’è il tuo lavoro per la vita. Se sei un FaMo vuol dire che sarai un factotum motori. Quando mi hanno dato il mio, DiFo, era come se lo sapessi già. Cos’altro potevo fare se non il direttore della fotografia? Non sapevo cosa volesse dire ma sapevo che era la cosa giusta. Anche qui, però, siamo nel Quadro Rispetto Tradizioni perché il nome della mia professione, oggi come oggi, è inadeguato. Non sono il direttore di nessuno. Non c’è nessuna squadra che lavori per me. Solo fino al secolo scorso c’erano gli operatori, i macchinisti, gli elettricisti. Le luci artificiali. Chissà com’era creare altre realtà con la luce. Ora da me ne vogliono solo una, di realtà. Quella che c’è. Le luci come sono. Nel Novecento mi avrebbero chiamato operatore.
Al Deponente hanno concesso un calcio di rigore. E mancano tre minuti alla fine. Spengo l’olovisore prima che il centravanti finisca la rincorsa. Ma dalla casa vicina arriva l’urlo del gol. I conti, purtroppo, tornano. Guardo ProSca là fuori. Non ha nemmeno bisogno di controllare che ha vinto la scommessa. Continua a gesticolare ampia. Tu le stai accarezzando una spalla. Il giardino non riesce a contenere tutte le voglie della natura. E poi petunie, gelsomini, campanule, astri e zinnie. Tutto il tuo lavoro, bimba.
Mi viene voglia di un po’ di spettacolo anche qui dentro. Chiudo la finestra e metto l’olovisore in modalità «clima». Scelgo l’opzione «neve». Subito cominciano a scendere grossi fiocchi oloproiettati tutto intorno a me. E mentre FaMo ci dà dentro con il suo russare, ben presto mi trovo circondato da u...