
- 152 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Questo libro di sconvolgente schiettezza, attraverso la storia vera della escort forse piú famosa d'Italia, porta alla luce senza ipocrisie un sottosuolo italiano molto vasto di cui tutti conoscono l'esistenza, ma che tutti preferiscono ignorare.
E rivela un doppiofondo del mondo maschile: solo in apparenza vincente, spesso assurdamente fragile, bisognoso della consolazione dell'altrui dominio. Pronto a tutto pur di non affrontare un autentico rapporto con la parte femminile del mondo.
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Informazioni
Print ISBN
9788806193348eBook ISBN
9788858421819Paolo è un nuovo cliente
Paolo è un nuovo cliente. Ha una cinquantina d’anni, è lievemente sovrappeso. È vestito in modo elegante, ma da rappresentanza. Di professione è psicologo, dice, lavora come consulente per un’azienda. La sua famiglia, moglie e due figli, è a Bari, e lui viaggia molto per lavoro. È qui perché ha visto il mio sito Internet: le immagini di me lo hanno catturato, dice, soprattutto il mio sguardo. Ama soprattutto una fotografia in cui ho i capelli arruffati in avanti. Lo hanno colpito i miei occhi, dice, piú ancora del corpo.
– Dove posso mettere la giacca? – chiede impacciato.
– Dove vuoi, anche sulla televisione –. Abbiamo salito le scale che portano dal soggiorno alla camera da letto.
È del segno dell’Acquario, dice. – Ah, ho un feeling con questo segno, – esclamo. Parliamo di «amore per la libertà», in cui ci riconosciamo entrambi. Lui: – Nessuna compassione reciproca, quindi –. Nel dirlo tradisce la sua emozione, ha la voce timida, contratta. Io faccio qualche risatina e cerco di incoraggiarlo. Qualche lieve carezza sul suo cazzo, ancora dentro i pantaloni, mentre gli sfioro il volto con le labbra con qualche bacio lieve. Mi spoglio in un attimo, ora sono nuda. Anche lui si sveste, col mio aiuto.
– Mi piaci proprio, tesoro, – gli dico.
– Anche tu, – risponde con voce soffocata.
– Sono emozionata, sai? Mi piaci. Forse è l’inizio di qualcosa.
Ora siamo sul letto. Lui: – Scusa, mi sposto per guardarti meglio.
– Oh sí, adoro essere guardata. Adoro che tu mi desideri… Amore…
Sono falsa e sincera insieme. Qual è la differenza? Sincera nella mia disponibilità in quel momento stesso. Subito dopo mi dimentico. Anche se dentro mi resta sempre qualcosa di ogni mio cliente.
Sorrido, e faccio risolini spontanei. Forse mi diverto davvero. – È bello essere nudi, sentire che tra noi c’è solo desiderio, vero? – dico con voce da gatta.
– Ho visto solo il tuo sito, di te non so nulla.
– Oh, amore, non sai nulla! – sospiro teneramente. Lo bacio e lo accarezzo, poi mi siedo addosso a lui, la mia fichetta nuda e calda sulla sua pelle. Di fronte a me lo specchio.
– Adoro guardarmi nuda allo specchio.
– Io adoro guardarti mentre ti guardi allo specchio, – sussurra lo psicologo con voce sempre piú strozzata.
Faccio «miao», poi mi viene da ridere. Gli chiedo ancora cosa abbia amato delle mie immagini. Intanto gli accarezzo il cazzo, che è già molto duro. Gli chiedo, come chiedo a tutti, che cosa scatta in un uomo che guarda una bella donna. Impulsi? Il desiderio di conoscerla, di vivere emozioni con lei?
– Ogni volta io mi emoziono, – continuo mentre lo tocco e mi faccio toccare da lui. – Per me è sempre un’emozione, e quello che tu trasmetti a me io voglio trasmetterlo a te. Sono contenta… – ripeto in una litania dolce, calma, continuando ad accarezzargli il sesso, poi a baciarlo.
– Mi piace molto, – risponde quasi senza voce.
– Mi piace darti piacere, – sussurro. – Mmm –. Gemiti miei. Mi rifletto nel piacere di lui. – Baciami tutta, sí. Sei il mio fiorellino –. Parlo come una mamma al bimbo neonato.
Sospiri, gemiti. Lo specchio. Gli sguardi. Tutto è specchio. Desiderio suscitato dal desiderio. La musica di sottofondo è new age, musica ripetitiva. Parlo e parlo, sottolineando il piacere. – Dagli sguardi, quando si incrociano, nasce qualcosa, – sussurro. Parlo del calore, il suo e il mio, del sentire il calore dentro. Lui sorride, è già molto rilassato. – Mettiti lí, dentro, sí.
Sono sopra di lui, lo aiuto a infilare il suo sesso dentro al mio: – Senti come è bagnata, tesoro, – e: – Ecco, – dice lui, – questo è quello che mi piace di piú. Piace anche a te, vero? – La musica è sempre piú avvolgente. Io lo guardo negli occhi, sorrido: – Oh, sí, amore, mi piace tanto.
Gemo, e dico con la voce arrochita di chi sta godendo: – Sento il profumo del sesso dappertutto –. Naturalmente è il mio quello che sento. Gemo sempre piú forte, sono molto convincente. Lui è felice, è al massimo del piacere e del convincimento del piacere. Vorrebbe che durasse per sempre, si sente amato. Dico tante altre parole mentre scopiamo, io sempre sopra di lui. Emetto piccole grida sessuali, si dice cosí, e per provare anch’io piacere mi guardo allo specchio. Lo specchio è essenziale per me. Guardo la mia sensualità, guardo la mia faccia, le mie tette, la mia fica, mentre ancora lui si trattiene, ma che aspetta? – Aspetta, – rantola, – non voglio venire, ti voglio godere ancora –. Nessuno vuole morire presto, chiedono sempre altro tempo.
Ci vuole una pazienza da cinese. Il gioco è questo, che la bella bionda non tradisce mai, non dice mai di no, e io gioco questo gioco. Salvo quando qualcuno è troppo insistente, per esempio lo vuole rifare anche se ha il cazzo moscio, allora lo tratto male. Perché a quel punto lo sento proprio come un lavoro. Oppure suggerisco di farlo da solo, a casa, pensando a me.
Il mio cliente cerca ancora di trattenersi, poi finalmente si lascia venire, all’apice di un piacere che per me è l’apice di un’opera, dell’esecuzione di un’opera.
– Ah, ecco, potrei venire, sto venendo. – Ah, amore dolce!… – urlo, quando lui viene.
– Che meraviglia! – dico. Sorrido, comunico felicità. – Che dolce che sei, – aggiungo. I miei gemiti incanterebbero chiunque.
Ecco, ha cambiato volto, ha cambiato la voce. Ride, definitivamente rilassato e vinto.
Finalmente parliamo e basta. Due psicologi sul lettino, che è in realtà a due piazze.
Mi dice che è venuto a Roma in aereo da Milano. Parla del tempo, quello atmosferico. Sono sempre in giro, dice. Anche a Bologna.
Anch’io ho una casa a Bologna, dico, lavoro anche lí.
Parliamo della cucina pugliese. Con la famiglia ci passa i weekend.
Gli dico che è un uomo fortunato: ha una bella famiglia, un bel lavoro, ecc. Però io ho una cosa che lui non ha, gli dico non so perché.
– Che cosa?
– Una sfacciata libertà.
Lui dice che anche lui se le prende, le libertà. È libero di fare quello che vuole, dice.
Io continuo a parlare della sua famiglia. Lui fa un elogio del rispetto. Poi ripete che col suo lavoro gira molto. Che le donne sono piú equilibrate degli uomini, tra lavoro e famiglia.
Parlare di famiglia è il mio forte. So sognare a voce alta, inventare scenari da film.
Il lavoro, continua lui, è piú importante dei soldi.
Anche per me non conta guadagnare, dico, mi piace il lavoro che faccio.
Sí, il lavoro solo per i soldi non va bene, se no è solo un mezzo, dice lui.
Dico sí, sono d’accordo. Recitiamo di non recitare, come in un reality.
Parliamo di quello che si desidera avere, e che dopo che ce l’hai non ti interessa piú. A chi ci ascolti ora, sembriamo due sconosciuti in una sala d’attesa con le riviste sulle ginocchia, che chiacchierano perché non hanno piú voglia di leggere. Invece siamo distesi sul letto. Lui è felice.
Il denaro non è importante, ripetiamo tutt’e due. Lo si usa, e basta. Per stare bene. Ah, sí, assolutamente, certo. I soldi non hanno un valore in sé. Certo che no. Perle di saggezza. Nudi sul letto tra gli specchi e i miei adorati peluche.
Parliamo infine della grande arte di arrangiarsi degli italiani. Gli italiani sono un popolo gioioso, dico. Lui dice che oggi sono piú incazzati. Che hanno piú paura, paura di perdere ciò che hanno e di non ottenere ciò che vogliono. È qui che mi parla della sua professione di psicologo. E che gli dico che lo sono anch’io, una psicologa. A mio modo.
Metto a loro agio le persone, dopo averle capite. Fa parte del mio lavoro capirle e conoscerle al volo. Quando un uomo viene con me, quando raggiunge l’orgasmo, si sente libero, rilassato, ed è piú facile parlare di sé, del proprio mondo interiore. Gli uomini mi chiedono quasi sempre consigli.
Gli racconto tutto questo. Racconto episodi del mio lavoro, non sa che parlo anche di lui? No, anche per lui sono sempre gli altri, quelli di cui si parla. Sono sempre gli altri che muoiono, che vanno a puttane, che scopano coi soldi. Uomini sposati, uomini che non sono sposati.
Parlo e parlo, lui tanto è già beato. E io ne ho bisogno, dopo tanta recita fisica. L’angelo consolatore ha ora un gran desiderio fisico di parlare.
Tutti rimangono molto colpiti dai miei occhi
Tutti rimangono molto colpiti dai miei occhi, li trovano meravigliosi. Del resto tu sai che, se entro nei desideri degli uomini con la sensualità del mio corpo, è sempre il mio sguardo che li rapisce e li inchioda.
Quando ero in America con George, un produttore di cinema mio affezionato cliente, lui mi portò in Arizona a vedere i cavalli di razza di cui era appassionato, e un indiano si invaghí di me: gli offrí cinquanta cavalli per avermi. Quell’indiano mi voleva soprattutto per gli occhi, voleva i miei occhi. Mi dissi: «Speriamo che George non mi venda, sennò mi tocca rimanere qui». Anche in Thailandia è successo che delle donne volessero comprare i miei occhi.
I miei occhi sono di un azzurro intenso e ipnotico. Eppure sono il frutto di un’imperfezione. Come per il meraviglioso Château d’Yqem, il Sauternes, considerato giustamente uno dei vini piú prelibati al mondo, che in realtà è cosí buono e speciale perché è il frutto di un’uva «malata» o imperfetta, anche la bellezza dei miei occhi viene da un’anomalia.
Sono nata al settimo mese di gravidanza, pesavo appena un chilo e cinquantacinque grammi. Va da sé che subito mi misero nell’incubatrice. Il medico disse a mia madre: – Mi dispiace, ma sua figlia quasi sicuramente non vivrà, è troppo debole, potrebbe cedere entro le prossime ventiquattro ore.
Invece lottai per vivere, e ci riuscii. Pare che si percepisse anche dall’esterno la mia forza di volontà per non cedere. Per vivere.
Per via del candore vulnerabile della mia pelle, per la sua delicatezza che la esponeva a ogni allergia, dissero a mia madre: «Sua figlia sarebbe dovuta nascere nel Settecento, con quella pelle bianca e cosí sensibile che sembra quella di una dama di corte». Ero molto vulnerabile, allergica a tutto, ma sopravvivevo. Ora, questi miei occhi particolari, blu come li hanno tutti nella mia famiglia, ma di un blu particolarmente intenso, sono cosí proprio perché non si sono sviluppati alla nascita, o in età neo-natale. Sono rimasti nella debolezza della mia nascita precoce. Naturalmente, io oggi accetto e sono in pace con tutto questo. Ne sono grata. Del resto, si dice che chi nasce prima del tempo diventa piú forte degli altri. Io sono una roccia.
A due anni ero praticamente cieca. In casa, quando camminavo, sbattevo perfino contro i muri. Mia madre mi portò dal medico, era spaventata. Quello che prescrisse il dottore, a pensarci, sembra piú il consiglio di un mago o di un ciarlatano, eppure funzionò. Disse di mettere dell’oro a contatto della mia pelle, e avrei migliorato la vista. Fu cosí che mia nonna mi regalò degli orecchini d’oro, lunghi. Li portavo sempre. Quando all’asilo, correndo o giocando, mi capitava di farli cadere, con loro perdevo anche la vista. La mia vista dipendeva da quei lunghi orecchini, anche se col tempo si stava rafforzando. Piú tardi, verso i sette anni, mi prescrissero delle lenti. Avevo cominciato ad andare a scuola, e i bambini della classe mi prendevano in giro perché portavo gli occhiali. Mi chiamavano strega, al punto che me li toglievo dalla vergogna, ma senza gli occhiali non riuscivo a leggere né a fare i compiti. Non ci vedevo, e questa volta per vanità, per non indossare gli occhiali e non sembrare brutta.
A casa non studiavo, perché i miei genitori non si occupavano di me. Dovrei raccontare l’inferno domestico in cui sono vissuta: padre alcolizzato, madre non da meno, con situazioni spesso cosí tragiche e assurde che a raccontarle diventano delle gag comiche. Come quando mia madre, grande e grossa, legò mio padre, mingherlino, al rubinetto del bagno per un’intera giornata e dovetti chiamare i vicini perché venissero a liberarlo. Tra di loro una lite...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Come fare del bene agli uomini
- Oggi, camminando, ho visto nella vetrina
- Quando gli uomini escono dalla mia porta
- Paolo è un nuovo cliente
- Tutti rimangono molto colpiti dai miei occhi
- Ho cominciato a sorridere da bambina
- Quando avevo tredici anni ero cattolica
- Quando un uomo arriva da me io so già sempre
- Della mia infanzia a K.
- Penso ai clienti di questi giorni
- Ho molti clienti che sognano e si immaginano
- L’inverno non avevamo neanche i soldi per comprare un cappotto
- A intrattenere i clienti nel topless bar
- Quando dico che non vorrei piú usare il mio corpo
- Andai dunque a Firenze, da sola
- Uno stressante industriale veneto
- A volte mi innamoro di un cliente
- Una delle richieste piú insolite – ma non cosí rare
- Vorrei parlare di F., un calciatore
- Poi ci sono i ciclisti
- Un giorno mi trovai con tre arabi e quattro russe
- Ho conosciuto il signor «Bourbon»
- Dunque avevo creduto di poter ricreare una famiglia
- I clienti americani sono diversi, io li preferisco
- Nel mio mondo è difficile realizzare un rapporto
- Eppure, senza amore non sono niente
- Io sono una professionista angelica
- Sono andata alla cena elettorale di un mio nuovo cliente
- Ho ripensato alla mia terra dopo aver visto Novecento
- Tra le richieste «strane» c’è quella
- C’era un inglese di cui ho parlato in Tv
- Ma la vera perversione forse è un’altra
- Sono sempre stata contraria al consumismo
- Io vivo per l’oggi
- «Siccome domani sera, a Matrix, facciamo un servizio»
- Ci sono uomini che mi pagano per non fare niente
- Una moglie comoda
- Il libro
- L’autrice
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