Cammino per le strade di Atene cercandolo, è sparito, sono preoccupata. Alla polizia mi hanno detto che è stato lí, ha ritirato il risultato dell’autopsia, ha firmato ed è uscito. Firmo anch’io e mi consegnano una copia del certificato che racconta in greco e in inglese come e perché sono morti. Lo leggo traducendo a Giacomo per strada, con la linea che va e viene.
– sono presenti profonde escoriazioni sulle mani della donna e sulle gambe e le braccia dell’uomo. L’analisi dei tessuti rivela che le ferite non sono recenti ed erano in via di cicatrizzazione. Gli intestini sono stati svuotati… oddio… per analizzarne gli alimenti non digeriti e le feci…
Giacomo m’interrompe:
– Vai avanti, non leggere questa parte, alla fine ci dovrebbero essere poche righe che dicono le cause della morte.
Scorro i fogli con le mani sudate e il fiato corto.
– Ecco: il decesso è dovuto all’ingestione di grandi quantità dello stesso tipo di benzodiazepine. La morte è arrivata circa alle tre di notte per l’uomo, qualche ora dopo per la donna.
Era tutto lí, in poche righe, come aveva detto Giacomo, chiaro e certo come l’atto di nascita.
– Caterina…
– Sí?
– È quello che pensavamo…
– E le escoriazioni?
– Saranno caduti, le ferite erano in via di guarigione, o avranno avuto un incidente. In tutti i casi non sono in relazione con la morte.
– Nel senso che non ne sono morti… ma forse l’incidente c’entra in qualche modo…
– Caterina…
– Ho capito, niente fantasie…
Piego le carte e le infilo nella borsa, riprendo a camminare, il sudore mi scende in mezzo al seno, nel collo.
– Hai il fiatone, dove sei? Fermati…
– Sono per strada, fuori dal commissariato di polizia, ci sono quaranta gradi.
– Finisci di sistemare le pratiche, compra il biglietto e torna subito. Ho bisogno di abbracciarti, e anche i bambini. Alla fine gliel’ho detto.
– Cosa gli hai detto?
– Che la nonna è morta e tu sei andata lí per riportarla in Italia. All’inizio mi ascoltavano in silenzio, poi Lorenzo mi ha interrotto: è morta in cielo la nonna?, mi ha chiesto. Subito dopo sono scappati a giocare, pensavo fosse tutto dimenticato. Invece no, questa mattina, al mare, leggevo il giornale e li ho sentiti parlare tra di loro, con le teste chine, cercavano un sassolino bianco per la nonna…
Mi fermo sul marciapiede infuocato: bambini a distanza di tempo e di spazio, tutti alla ricerca di una pietruzza bianca.
– Incredibile…
– Cosa?
– Nel testo dell’Apocalisse…
– L’Apocalisse?
Riprendo a camminare, il caldo mi fa girare la testa.
– Sebastiano andava sempre a Patmos con la moglie e il figlio, era fissato con la grotta dell’Apocalisse, raccontava la profezia a Daniele…
– Ma com’è che non ci siamo mai accorti di quanto fosse pazzo, e neanche tua madre…
– Già… ora ti lascio, ti richiamo dopo. Devo trovare Daniele, me lo sono perso. È instabile come il padre, ma piú allegro. Dobbiamo fare insieme le pratiche, ci siamo aiutati…
– Ti piace? Il figlio di Sebastiano.
Mi fermo di nuovo.
– Sei matto? È uno squilibrato, ha avuto un’infanzia terribile, ha cercato di cancellare il padre dalla sua vita e ora gli capita questo…
– Non mi tranquillizza.
Sta zitto, lo sento respirare, adesso è lui che ha il fiato corto.
– E voglio solo tornare da te.
– Sei sicura?
– Sí…
Il numero di telefono che mi aveva dato è staccato. In albergo non è mai rientrato, torno nelle strade in cui siamo stati insieme, sotto l’appartamento che affittavano d’estate, al locale di Philippos. In cucina la moglie affetta pomodori e cipolle, e mi guarda male. Arrivo fino al cimitero del Ceramico, ripercorro lo stesso cammino, ogni tanto provo a chiamarlo al telefono. Sotto il melograno c’è ancora il frutto aperto che ha scaraventato contro il tronco per mangiarsi i semi. È secco, una fila di formiche attraversa le cavità vuote.
Rientro in albergo. In camera mi guardo allo specchio, ho i capelli appiccicati e il cranio bollente. Mi metto sotto la doccia fredda. Stesa sul letto nuda, capisco che mi manca, che con lui ho diviso la lontananza da mia madre e la sua morte, che Daniele come me non riesce a separarsi dai ricordi angosciosi della sua prima infanzia, ne è attratto e respinto. Mi mancano anche gli alti e bassi del suo umore, l’eccitazione, la tristezza improvvisa. Riprovo a chiamarlo, mi risponde sempre la stessa voce greca. Mi addormento e sogno per la prima volta la stanza della miseria. Tutta la vita ho cercato di ricordarmela, ma ne vedevo solo frammenti dal basso, come quando strisciavo a terra. Ora sono in piedi e la ispeziono: il tavolo, il letto con la bambola al centro, il fornello vecchio, la macchinetta del caffè, il secchio, gli stracci, i materassi dei fratelli arrotolati in un angolo, tutto è piccolo e sporco. Abbaia il cane fuori, mi volto e accanto alle mie gambe c’è un bambino che cammina a quattro zampe e guaisce. Si strofina, vorrebbe essere preso in braccio, gli do un calcio, non si scoraggia e torna alla carica, mi lecca i piedi, si appende alle caviglie, mi tira.
Apro gli occhi, nella semioscurità della stanza è seduto sul letto, mi stuzzica il collo con un foglio. Fuori si è fatta sera.
– Quanto dormi!
Mi tiro su a sedere, mi copro col lenzuolo.
– Ma è una mania, entri nella mia stanza e mi svegli! Dove sei stato?
Sventola il foglio.
– A comprare due biglietti della nave per Patmos, partiamo domani.
– Chi vuole andare a Patmos? Io no.
Si alza e cammina per la stanza.
– Invece ci andiamo, dobbiamo finirla con questa storia. Quei due avevano ferite ovunque, dobbiamo capire cos’è successo.
– Si stavano cicatrizzando, non sono in relazione con la morte…
Si ferma e sbatte le braccia contro i fianchi.
– Ti credevo un tipo piú fantasioso…
Scendo dal letto, il lenzuolo attorcigliato intorno al corpo.
– Lo sono Daniele, lo sono cosí tanto che so perfettamente quello che è capitato a «quei due», come li chiami tu.
– Già, le tue visioni, e chi ci crede…
Apro la valigia di mia madre, il primo vestito che ho davanti agli occhi è quello celeste. Perché no? Andiamo fino in fondo. Lascio cadere il lenzuolo a terra. Mi sta guardando: le gambe disuguali, il sedere, la schiena. Sento il respiro identico a quello di Giacomo al telefono.
– Sei bella…
Infilo il vestito, è lungo: Graziella era piú alta di me.
– Mia madre lo portava con i sandali bianchi. Lo metteva quando usciva con lui, forse lo aveva addosso anche una delle ultime sere a Patmos…
Accendo la luce, mi siedo davanti alla finestra, lui mi fissa con i biglietti in mano.
– Ti racconto una cosa, Daniele…
Al rallentatore, si appoggia al letto senza staccare gli occhi da me. Potrei averlo subito, lasciarmi andare al desiderio che gli ispiro, mi sto bagnando tra le gambe, forse è la reazione al lutto. Quando in una famiglia muore qualcuno, si fa l’amore e nascono bambini.
– Se non ti convince la mia storia, giuro che vengo con te nell’isola.
Patmos è ventosa e il mare burrascoso, tu lo sai bene, uso le tue parole. Era cosí quando ci andavate voi, alla fine dell’estate. In agosto invece è solo un’isola greca, come ce ne sono tante altre. Il monastero è in alto sulla montagna e la grotta di Giovanni a metà strada. File di turisti in coda per entrarci, comprano quadretti del Santo, disegni di draghi, cavalli colorati, angeli e demoni. Le figure che ti facevano paura da bambino. Maria e Sebastiano sono arrivati e hanno affittato la casa in un angolo del paese, quella della signora senza denti dove giocavi al mattino, in silenzio per non svegliarli. Sebastiano torna sui luoghi del delitto, come vorresti fare anche tu, per capire. Tuo padre ha portato Maria in giro per l’isola. Da sempre le dice che devono andare lí, è stato onesto con lei. Le ha raccontato della sua malattia, delle pillole, di te, di tua madre. Graziella non ha paura di niente, né di adottare una bambina handicappata né di amare un uomo che ogni tanto diventa uno zombie. Lei ha energia per due, però ha il presentimento che Patmos sia un posto pericoloso, hanno litigato per questo. Anche tu non volevi finire le vacanze lí, ti ricordi? I primi giorni nell’isola sono stati molto eccitanti: nuotate, passeggiate e bevute nei locali che lui conosce bene. Alcuni hanno chiuso, altri ci sono ancora e i vecchi proprietari l’hanno riconosciuto e abbracciato sotto gli occhi allegri di Graziella. Nessuno sa come può diventare Sebastiano, solo tu, tua madre e anche la mia. Ma lei ha fiducia e lo ama. Non ha mai fatto trapelare nulla delle sue crisi: se nessuno sa, non esistono.
Gli si chiudono le palpebre, si appoggia ai cuscini del letto.
– Scusa, oggi è stata una giornata terribile… l’obitorio, la polizia, poi la fila al porto per i biglietti, la nave era piena… Alexandros conosceva il tipo al botteghino, mi ha aiutato a prenderli…
– Chi è Alexandros?
– Alexandros, il mio amico, sei scema… quello che ci ha fatto mangiare al Pireo…
– Ah, sí… Quindi ti ha fatto avere i biglietti che spettavano a un altro… corruzione mediterranea…
Sorride, scosta il ciuffo bianco dalla fronte, mi guarda. È grosso, grandi spalle, gambe magre. Sa che non ho le mutandine sotto il vestito, ci sta pensando. Il pene si muove sotto il pantalone, io sono bagnata. Gli dico:
– Maria e Sebastiano non hanno mai fatto l’amore cosí tanto come a Patmos.
– Come lo sai?
– Viene bene dopo avere litigato o quando ci si sta per lasciare o si è sopravvissuti o si è nella fase euforica. Il desiderio sessuale è forte, impellente, caccia via la nuvola nera.
Mi fissa serio.
– Ok. E le ferite, che mi dici delle ferite?
– Non volevi dormire?
– No.
Vanno sulle rocce, le spiagge sono troppo affollate, vogliono stare soli. Sebastiano l’ha portata via da Atene anche per questo, lei andava sempre piú spesso a trovare Sophia la sera, e tornava tranquilla, lontana. Qualche volta anche il mattino dopo, quando lui aveva passato una notte infernale. Gli portava il caffè, il pane fresco. Facevano colazione e lei pensava di ritornare in Italia, aveva voglia di rivedermi. Tuo padre non era violento, lo hai detto anche tu, la presa su di lei era un’altra, ma dovevano essere soli perché funzionasse. La mattina, a Patmos, preparano il sacco con i costumi, gli asciugamani, i panini. Hanno affittato un motorino, e vanno sempre nello stesso posto, due rocce piatte, una accanto all’altra. I primi giorni hanno visitato la grotta, e lui le ha spiegato tutta la simbologia delle catastrofi. A Maria sembra un posto lugubre e basta, e l’Apocalisse, la farneticazione di un pazzo. Usciva frastornata: «Troppa gente, puzzano di sudore, il pope è un esaltato, un ubriacone, andiamo al mare». Sebastiano ride, era stato giusto tornarci con lei. Maria è vitale, fattiva, passionale. Lui nuota, dipinge, ride, beve, parla, si amano. Lei lo vede rinascere. Il mare sotto le rocce è calmo, l’acqua azzurra, nuotano nudi. Fanno l’amore al sole, lí non li vede nessuno. Lui le va sopra bagnato, la sbatte sulla roccia, a lei fa male la schiena ma gode. Non sono m...