Ricardo avanzava prudente, balzando da un tronco d’albero all’altro, e faceva pensare a uno scoiattolo piú che a un gatto. Il sole era sorto da un po’ di tempo. Il bagliore del mare aperto già s’insinuava rapido sul cupo azzurro, fresco e mattutino, della Baia del Diamante, ma l’ombra scura s’attardava ancora sotto i possenti pilastri della foresta, in mezzo ai quali si nascondeva il segretario.
Era intento a osservare il bungalow di Numero Uno, con la pazienza di un animale, anche se con una complessità di scopi molto umana. Era questo il secondo mattino che trascorreva in quel modo. Nel primo non aveva ottenuto alcun successo. Comunque, in un certo senso, non c’era poi tanta premura.
Il sole, balzando di colpo oltre il crinale della montagna, inondò di luce la radura d’erba bruciata, che si stendeva davanti a Ricardo, e la facciata del bungalow, su cui egli teneva fissi gli occhi, lasciando scura solo la macchia della porta aperta. A destra, a sinistra, alle sue spalle, nell’ombra cupa della foresta cominciavano ad apparire chiazze d’oro, che attenuavano l’oscurità sotto la rotta volta di foglie.
Questa non era una circostanza molto favorevole per Ricardo. Non aveva alcun desiderio di venir scoperto nella sua paziente occupazione. Perché ciò che egli sperava era di vedere una ragazza... quella ragazza! Sia pure solo uno sguardo fugace, momentaneo, oltre la radura bruciata, tanto da poter capire che tipo fosse. Possedeva una vista eccellente, e la distanza non era molta. Sarebbe stato in grado di distinguerne il volto con relativa facilità, solo che si fosse affacciata sulla veranda, dove, un giorno o l’altro, sarebbe pur dovuta uscire. Sperava che avrebbe allora potuto formarsi sul suo conto una qualche opinione, che sentiva gli era indispensabile, prima di avventurarsi a compiere qualche passo per mettersi d’accordo con lei, alle spalle di quel barone svedese. L’idea che si faceva della ragazza era tale, che era addirittura preparato, in base a quel distante esame, a rivelarsi con una certa discrezione, forse persino a farle un segno. Tutto dipendeva da ciò che avrebbe letto sulla faccia di lei. Non poteva poi trattarsi di gran cosa. Lui le conosceva le donne di quel tipo!
Sporgendo un poco il capo poteva scorgere, attraverso il fogliame di un denso rampicante, tre bungalow irregolarmente disposti lungo una leggera curva. Sulla balaustra del bungalow piú lontano era distesa una coperta scura di disegno scozzese, straordinariamente vistosa. Ricardo poteva scorgerne ogni minimo quadratino. Un vivace focherello di rami stava ardendo per terra, davanti agli scalini: sotto i raggi del sole le sottili fiamme lingueggianti erano pallide, quasi invisibili. Un semplice barbaglio roseo sotto una leggera corona di fumo. Poteva vedere le bende bianche che fasciavano la testa di Pedro, curva sul fuoco, e le ciocche di capelli neri, che spuntavano irsute da sotto la fasciatura. Era lui stesso che aveva medicato quella enorme e cespugliosa testa, dopo avergliela fracassata. La bestiale creatura, mentre si dirigeva ciondolando verso gli scalini, la teneva in bilico, come un peso. Ricardo vedeva il piccolo pentolino dal manico lungo, impugnato da un’enorme zampa pelosa.
Sí, poteva vedere tutto ciò che era visibile, vicino e lontano. Vista eccellente! L’unica cosa che non riusciva a penetrare era l’oscura sagoma oblunga della porta che dava sulla veranda, sotto il basso tetto del bungalow. Ed era una cosa che l’irritava. Era un affronto personale. Ricardo si offendeva facilmente. Ma, senza dubbio, la ragazza non avrebbe tardato a venir fuori. Perché non si decideva? Certo quel tale non la legava a una gamba del letto, prima di uscire di casa!
Intanto non spuntava nessuno. Ricardo era immobile come le frondose corde di rampicanti che, pendendo dal possente ramo di un albero, a una sessantina di piedi sopra il suo capo, formavano una comoda cortina. Persino le palpebre teneva immobili, e questa attenzione tesa gli dava l’aria sognante di un gatto che, accoccolato sul tappeto, stia contemplando un fuoco. Stava forse sognando? Visibilissimi, erano improvvisamente spuntati davanti ai suoi occhi una giacchetta bianca simile a una blusa, un paio di corti calzoni blu, due nudi polpacci gialli, un codino lungo e sottile...
– Quel dannato cinese! – mormorò, profondamente stupito.
Non era conscio d’aver allontanato anche solo un istante gli occhi ed ecco che, proprio nel bel mezzo della scena, senza essere giunto né dall’angolo destro né da quello sinistro della casa, senza essere piovuto dal cielo o emerso dalla terra, Wang si era improvvisamente materializzato a grandezza naturale, intento a un lavoro da signorina, quello di raccogliere alcuni fiori. Un passo dopo l’altro, curvandosi frequentemente sulle aiuole ai piedi della veranda, il cinese dalle stupefacenti qualità scomparve dalla scena in modo molto normale, salendo gli scalini e immergendosi nell’ombra della porta.
Solo allora gli occhi gialli di Martin Ricardo persero la loro tesa immobilità. Capí che era giunto il momento di muoversi. Quel mazzo di fiori che entrava in casa, portato dal cinese, era destinato alla tavola della colazione. A che altro mai sarebbe potuto servire?
– Ve li darò io i fiori! – mormorò minaccioso. – Aspettate solo...
Un istante ancora, per un ultimo sguardo verso il bungalow di Jones, da dove si attendeva di vedere emergere Heyst, diretto alla sua colazione, allietata da quei fiori cosí offensivi, e poi cominciò a ritrarsi. Il suo impulso, il suo desiderio era di balzare allo scoperto e affrontare la vittima designata per appiopparle, come diceva lui, un bel colpo di trincetto. Questa visione, evocata con avidità, era preceduta sempre da un rapido tuffo, preludio di sicura morte per l’avversario. Questo suo impulso era, per cosí dire, costituzionale in lui, tanto che provava una estrema difficoltà a resistergli, quando si sentiva un po’ eccitato. Che cosa poteva essere piú esasperante che aspettare, e strisciare, e frenarsi, mentalmente e fisicamente, quando uno si sentiva eccitato? Il signor segretario Ricardo cominciò a ritrarsi dal posto di osservazione dietro un albero che fronteggiava il bungalow di Heyst, badando bene a non lasciarsi vedere. La sua ritirata era resa piú facile dal declivio del terreno, che scendeva rapidamente verso la spiaggia. Quando i suoi piedi, attraverso le suole sottili delle pantofole di paglia, avvertirono il calore della base rocciosa dell’isola, già infuocata dal sole, capí che ormai dalle case non potevano piú vederlo. Una rapida corsa di una ventina di passi lo riportò nuovamente in cima al pendio, nel posto dove il pontile si separava dalla riva. Allora poggiò la schiena contro uno degli alti pali che ancora reggevano il tabellone col nome della compagnia e spuntavano dalla montagnola di carbone. Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto profondamente irritato si sentisse. Per calmarsi un poco incrociò strettamente le braccia sul petto.
Ricardo non era abituato a uno sforzo prolungato di autocontrollo. La sua astuzia, la sua malizia si sentivano perennemente alla mercé della sua natura, che era veramente selvaggia, e tenuta in soggezione solo dall’influenza del principale, dal prestigio di un «vero signore». Possedeva una certa qual scaltrezza, che però era messa quasi troppo severamente alla prova, dato che la soluzione ferina di un ringhio e di un balzo gli veniva proibita dalla natura stessa del problema. Ricardo non osava avventurarsi per la radura. Effettivamente non osava.
«Se m’imbatto in quel farabutto, – si disse, – non so cosa potrei fare. Non mi fido di me stesso».
Ciò che lo esasperava in quel momento era la sua incapacità di capire Heyst. Ricardo era abbastanza umano per soffrire, quando doveva constatare i suoi limiti. No, Heyst non riusciva affatto a capirlo. Avrebbe potuto ucciderlo con estrema facilità – un ringhio, un balzo – ma gli era proibito! A ogni modo non poteva certo restare un tempo indeterminato sotto quel funereo tabellone.
«Devo muovermi», si disse.
Cosí si mosse, colto da un lieve capogiro per il represso desiderio di violenza, e uscí all’aperto davanti ai bungalow, come se si fosse recato un momento sul molo, per dare uno sguardo alla barca. I raggi del sole lo avvolgevano tutto – brillanti, immobili, caldissimi. Si trovò nel bel mezzo dei tre edifici: quello con la coperta sulla ringhiera era il piú lontano; prima vi era il bungalow vuoto; il piú vicino, quello con le aiuole ai piedi della veranda, racchiudeva quella dannata ragazza, che era riuscita a mantenersi invisibile in modo cosí provocante. Per questo appunto gli occhi di Ricardo si attardavano su quella villetta. Senza dubbio sarebbe stato piú facile capire la ragazza che non Heyst. Scorgerla un solo istante, intravederla appena, sarebbe bastato a dargli qualche barlume, l’avrebbe avvicinato di un passo alla meta, sarebbe stato il primo reale progresso compiuto. Ricardo non vedeva altra soluzione. In qualsiasi istante sarebbe potuta apparire sulla veranda.
Non apparve, ma come un magnete nascosto esercitava la sua attrazione. Nell’attraversare la radura Ricardo deviò verso il bungalow. Sebbene i suoi movimenti fossero circospetti, i suoi istinti ferini avevano un tale potere che, se avesse incontrato Heyst che veniva verso di lui, sarebbe stato necessariamente costretto a soddisfare la sua sete di violenza. Ma non s’imbatté in nessuno. Wang si trovava dietro la casa e continuava a tener caldo il caffè in attesa che Numero Uno tornasse per la colazione. Persino quello scimmione di Pedro era invisibile, senza dubbio accoccolato sugli scalini, gli occhietti rossi fissi con animalesca devozione sul signor Jones, che nell’altro bungalow stava discorrendo con Heyst: la conversazione di uno spettro diabolico con un uomo inerme, vigilata da uno scimmione.
Dopo aver lanciato rapidi sguardi in ogni direzione, Ricardo, quasi involontariamente, si trovò sulla scaletta che conduceva al bungalow di Heyst. Giunto là si sentí preda di una irresistibile forza di attrazione, salí gli scalini con violenti, cauti movimenti delle gambe, si fermò un momento sotto lo spiovente del tetto, tese l’orecchio al silenzio circostante. Poco dopo spinse oltre la soglia una gamba – che parve distendersi come fosse una gamba di caucciú –, posò il piede all’interno, trasse a sé rapido l’altra gamba, e si trovò dentro la stanza, che esaminò rapidamente. Nel primo istante i suoi occhi, che uscivano allora dall’accecante luce del sole, non videro che tenebra. Ma le pupille si dilatarono rapidamente come quelle di un gatto ed egli allora distinse una enorme quantità di libri. Ne fu stupitissimo, ne rimase quasi sgomento. E al tempo stesso irritato del suo stupore. Aveva avuto l’intenzione di notare l’aspetto, la natura delle cose, e sperava di trarne qualche utile deduzione, qualche accenno che gli permettesse di capire l’uomo. Ma che mai si poteva capire da una moltitudine di libri? Non sapeva cosa pensarne, e formulò il suo stupore in una esclamazione mentale:
«Ma che diavolo mai voleva impiantare su questa isola, quel merlo... una scuola?»
Lanciò uno sguardo piuttosto lungo al ritratto del padre di Heyst, a quel severo profilo che ignorava le vanità di questo mondo. Gli occhi brillarono alla vista dei pesanti candelieri d’argento, evidente segno d’opulenza. S’aggirava come potrebbe fare un gatto selvatico che entri in un posto ignoto, perché se Ricardo non possedeva il miracoloso dono di Wang di materializzarsi e sparire, anziché venire e andar via, poteva essere quasi ugualmente silenzioso, anche se i suoi movimenti erano meno elusivi. Notò la porta posteriore appena accostata. Intanto le sue orecchie, leggermente appuntite, tese per captare anche il piú lieve rumore, si mantenevano perennemente in contatto con il profondo silenzio esterno, che fasciava l’immobilità assoluta della casa.
Non erano passati due minuti da che si trovava nella stanza quando si disse che doveva essere solo nel bungalow. Con ogni probabilità la donna era sgattaiolata via, e stava da qualche parte, nel recinto dietro la casa. Probabilmente lui le aveva ordinato di non lasciarsi mai vedere. Perché? Forse perché dubitava dei suoi ospiti? O forse perché dubitava di lei?
Ricardo rifletté che, da un certo punto di vista, le due ipotesi si equivalevano. Ricordò la storia di Schomberg. Capí che l’essere scappata con qualcuno, solo per liberarsi dalle attenzioni di quel vecchio albergatore rimbecillito, non era prova di disperato amore. Con ogni probabilità non sarebbe stato difficile mettersi d’accordo.
I baffi cominciarono a vibrargli. Da qualche momento stava osservando una porta chiusa. Avrebbe lanciato uno sguardo in quell’altra stanza e forse sarebbe riuscito a vedere qualcosa di piú significativo che non quel dannato mucchio di libri. Nell’attraversare la stanza pensò, deciso a tutto:
«Se quel farabutto entra improvvisamente, e gli salta in testa di impennarsi, gli apro la pancia e la faccio finita».
Posò la mano sulla maniglia e sentí la porta cedere. Prima di aprirla tese ancora una volta l’orecchio al silenzio e lo sentí completo, perfetto.
La necessità di essere prudente aveva esasperato il suo autocontrollo. Un accesso di ferocia lo travolse: come sempre in simili istanti divenne fisicamente conscio del pugnale che portava legato alla gamba. Spinse con ardente curiosità la porta, che si aprí senza il minimo cigolio, senza alcun fruscio, assolutamente silenziosa, ed egli si trovò a fissare con occhi lampeggianti la superficie opaca di una qualche ruvida stoffa azzurra, simile a saia. Oltre la porta pendeva una tenda, abbastanza pesante e lunga da non ondeggiare.
Una tenda! Questo imprevisto ostacolo, che eludeva nuovamente la sua curiosità, raffrenò la sua violenza. Non la spinse da un lato con un movimento brusco, ma si limitò a fissarla con attenzione, come se dovesse esaminarne la tessitura, prima che la mano potesse toccarla. In quell’intervallo di esitazione gli parve di avvertire un’incrinatura nella perfezione del silenzio, un tenue, quasi impercettibile fruscio che le sue orecchie colsero e, nello sforzo di captare con maggior precisione, immediatamente persero. No! Tutto era immobile dentro e fuori, soltanto che non aveva piú la sensazione di trovarsi solo in casa.
Quando tese la mano verso le pieghe immobili della tenda, lo fece con estrema cautela, e si limitò a scostare un poco la stoffa e a sporgere la testa, per guardare dentro. Seguí un momento di completa immobilità. Poi, senza che nulla in lui si muovesse, ritrasse violentemente la testa, lasciò ricadere lente le braccia sui fianchi. C’era una donna là dentro! Quella donna! Fiocamente illuminata dal riflesso della luce esterna, si stagliava stranamente ingrandita e spettrale, all’altra estremità della lunga e stretta camera. Il dorso voltato alla porta, si acconciava i capelli, sollevando le due braccia nude. Una di esse brillava di un perlaceo albore, l’altra spiccava, nella sua forma perfetta, scura contro il quadrato della finestra priva d’imposte e di tende. La donna se ne stava là con le dita immerse nei capelli neri, completamente inconscia, esposta, indifesa... tentatrice.
Ricardo ritrasse un piede e premette i gomiti contro i fianchi; il petto prese ad ansimargli convulso, come se stesse lottando o correndo. Il corpo ondeggiava leggermente avanti e indietro. Il controllo che si era imposto stava per spezzarsi, la sua natura per avere il sopra...