Il popolo di legno
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Il popolo di legno

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Il popolo di legno

Informazioni su questo libro

«Scavando piú a fondo, si arriva a un livello in cui la vita umana si limita a ronzare come un frigorifero, rumore indistinto fra gli altri rumori della notte, e ispira solo indifferenza. Ma a un livello ancora piú profondo, piú vicino al nucleo, la vita umana fa ridere. Un riso cretino, come quando Stanlio e Ollio combinano un guaio». Ha un corpo magro e muscoloso, il talento del predatore e, negli occhi, il potere di soggiogare chi gli sta intorno. Lo chiamano il Topo, fin da quando era bambino. Vive in una Calabria lontana da qualunque realismo geografico. Ha una moglie, Rosa, meraviglioso «mare di carne» mai sfiorato da un'opinione, e un amico: il Delinquente. È proprio il Delinquente, fragile, sottomesso direttore artistico di Tele Radio Sirena, a fornirgli l'occasione per condurre un programma: Le avventure di Pinocchio il calabrese. Una serie di prediche rivolte al «popolo di legno», che diventano il ritratto dell'umanità stessa, schiacciata dall'idea di colpa e sacrificio, e nonostante tutto incapace di salvarsi. Anarchico, ribelle, scorretto, Il popolo di legno ci fa vedere il mondo con gli occhi di un personaggio infimo e irresistibile, che non ha paura di svelare quanto assurda sia la convinzione degli esseri umani di poter migliorare la propria vita. Nella cupa ilarità dei sermoni del Topo, il protagonista, vibra un sentimento dell'esistenza che non lascia spazio alla redenzione. I suoi strampalati monologhi radiofonici trovano un immediato successo di folla. In un sorprendente ribaltamento ironico, il Topo diventa il profeta di una paradossale innocenza collettiva. Con questo romanzo Emanuele Trevi rade al suolo i miti, sempre piú svuotati di senso, di ogni forma di progressismo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806214302
eBook ISBN
9788858421086

I.

Pi-pí, pi-pí, pi-pí, zum zum zum zum

Una sera di luglio, torrida e umida di scirocco, il Topo e il Delinquente si trovarono uno di fronte all’altro nell’ufficio del direttore artistico di Tele Radio Sirena. Quelle gite a Palmi erano diventate da qualche mese un’abitudine tra le tante. Dall’altra parte della grande scrivania, il Delinquente si era già scolato almeno un terzo della bottiglia di vodka che estraeva a intervalli di dieci minuti dal frigorifero alle sue spalle. Piú di una striscia di coca, poi, aveva fatto la sua fugace apparizione sul ripiano sgombro e lucido della scrivania nera, che sembrava fatta apposta, secondo il Delinquente, per tirare. Ad altri scopi, del resto, quel mobile non aveva l’aria di essere mai servito. Il Topo partecipava al bere e al tirare del suo amico con l’abituale distacco: gli faceva piacere tenere compagnia, e aveva un’innata curiosità per tutti i riti, ma l’alcol e le droghe non trovavano in lui, per cosí dire, un terreno adatto ad affondare le loro radici. Al Topo non dispiaceva vedere il Delinquente ridursi cosí sbronzo e fatto da non riuscire piú nemmeno a parlare. Si conoscevano da piú di trentacinque anni, e quello spettacolo rivisto un numero incalcolabile di volte gli offriva ancora, con le sue improvvise varianti, molti argomenti di riflessione sulla miseria e sulla grandezza umana.
Ma adesso doveva chiedergli quello che aveva da chiedergli finché era capace di intendere e di volere. Volere non era abbastanza: l’amico doveva entusiasmarsi, infiammarsi. Per ottenere lo scopo, il Topo doveva agire piú in fretta della droga e dell’alcol. Dalle finestre di Tele Radio Sirena, che occupava due piani di una palazzina su un’altura fuori dall’abitato, le luci di Palmi tremavano leggermente nelle correnti della notte. Faceva sempre piú caldo. Si respirava un’aria pesante, saturnina, gravida di indefinibili pericoli.
Fra il Topo e il Delinquente non c’era mai stato bisogno di troppe parole. Si erano sempre intesi a frasi smozzicate, fin da quando, ancora adolescenti, erano riusciti a corrompersi a vicenda in maniera definitiva e irreversibile. L’alcol e la droga a volte accendevano nel Delinquente sprazzi di oratoria che per il Topo non erano piú significativi del rumore della doccia o del ronzio del frigorifero. Ma ormai, alla loro età, con la sensazione veritiera e condivisa da entrambi di essere all’ingresso di una nuova epoca, nella quale ogni giorno sembrava il nascondiglio piú adatto per qualche rogna in agguato, spesso passavano il tempo senza quasi scambiarsi una parola, e senza nessun imbarazzo. Ad ogni modo, il Topo ruppe il silenzio andando dritto al punto. Chiese al suo vecchio compare come funzionavano i programmi di Tele Radio Sirena, e se fosse possibile ricavare uno spazio per una cosa che gli era venuta in mente.
Uno spazio. Il naso del Delinquente gocciolava come un rubinetto rotto, lo sguardo era vitreo e acquoso come se stesse per piangere. Il sorriso ebete aveva ormai preso il comando dei lineamenti. Ma il Topo conosceva il suo uomo, e se mai avesse voluto scommettere su qualcosa, ebbene non avrebbe esitato a considerare l’altro ancora in grado di sostenere una conversazione. Infatti, il Delinquente capí la domanda e rispose a tono.
Certo che si potevano cambiare i programmi, disse, piantando i gomiti sui braccioli della poltrona per tirarsi un po’ su.
Alle spalle del Delinquente si vedeva l’unico arredo dell’ufficio, una grande carta di plastica in rilievo della Calabria. In un accesso di angoscia e schifo per la sua vita corrotta, che poteva assomigliare in superficie a un irresistibile estro artistico, il povero squilibrato aveva bucato con la punta della sigaretta accesa le gobbe frastagliate del Pollino, della Sila, dell’Aspromonte, trasformando cosí l’ultimo tratto degli Appennini in una catena di vulcani tropicali. Dopo aver contemplato qualche secondo quell’inutile devastazione, il Topo calò la sua briscola, e tutto, in quel momento, prese la sua direzione fatale.
Vorrei uno spazio di mezz’ora, non importa se è sempre allo stesso orario, disse il Topo come se si trattasse di chiedere all’amico un altro sorso di vodka, o di riaccompagnarlo a casa un poco prima. Sarebbe meglio di sera, ma presto, quando la gente inizia a mangiare. Per un programma che ho pensato, aggiunse. Preferisco la radio alla televisione.
Un programma, ripeté sbalordito il Delinquente. Un programma di cosa?
Bene, il suo cervello era ancora in grado di comprendere, di dialogare, di fare domande pertinenti. Bisognava trattarlo – c’era qualcosa di buffo e insieme patetico nella finzione – come se fosse un vero cervello, di un vero direttore artistico.
Un programma su Pinocchio, scandí il Topo. Ho pensato pure il titolo. Le avventure di Pinocchio il calabrese.
Le avventure… di Pinocchio… il calabrese, fece eco il Delinquente, come se si sforzasse di imparare una frase di una lingua straniera. E che significa?
Il tono della domanda, bisogna osservare, era tutt’altro che ostile o diffidente. Alla scarsità della sua intelligenza astratta, irrimediabilmente erosa dai vizi, il Delinquente non poteva supplire che con quel grado supremo di empatia che solo i veri disperati, le inguaribili vittime di se stesse, sono capaci di raggiungere.
Lo conosci Pinocchio, te lo ricordi?, insisté il Topo, che adesso sentiva le briglie di quella conversazione decisiva ben strette nelle sue mani.
I miei preferiti, ribatté il Delinquente, sono Lilli e il Vagabondo.
Il Topo sorrise. Voleva bene al suo amico. Quell’uscita lo aveva stupito. Cosa aveva da spartire, il finocchio perverso, con quei due cani cosí melensi? Li ricordò come apparivano sul manifesto, intenti a succhiare gli spaghetti dalla stessa ciotola, scambiandosi sguardi amorosi piú eloquenti di ogni parola. In un altro momento, si sarebbe divertito ad approfondire la questione. Di sicuro il Delinquente si identificava con Lilli. E il Vagabondo, in quella mente malata, era sempre stato lui, il Topo. Ma ora bisognava riportare il discorso in carreggiata. Concesse che gli stavano simpatici, Lilli e il Vagabondo. Ma quello era un cartone animato.
Anche Pinocchio, no?
Sí, ma prima era un libro. È del libro che parlo, non del cartone animato. Collodi, il libro di Carlo Collodi. Te la ricordi, la storia. Ci sei andato, a scuola. Voglio spiegare la storia. Non quello che succede, quello che significa.
Ma come?, lo interruppe il Delinquente servendosi di nuovo dalla bottiglia di vodka. Cosa dovresti fare? Come si fa?
Come si fa con la predica, col Vangelo.
Be’, questo lo sapevi fare, ammise il Delinquente. Ma vuoi tornare a fare il prete, in questo modo. Una specie di prete per radio.
Il Topo non rispose. Aveva accettato, per decenni, ogni specie di regalo dal Delinquente, ma non gli aveva mai chiesto nulla. E solo le cose che si chiedono a viso aperto hanno pieno diritto alla gratitudine. Sapeva bene che il Delinquente non si sarebbe fatto sfuggire quel boccone prelibato che gli veniva offerto. Come tutte le persone inutili, viveva di sentimenti e nella sua ricca collezione la gratitudine del Topo in effetti era sempre mancata. E poi anche lui in qualche modo avrebbe partecipato all’avventura. Questo lo rendeva già felice come un bambino, e la sua mano corse leggera fino alla tasca della camicia, facendone emergere la bustina trasparente della coca. Non chiese piú nulla.
Le avventure di Pinocchio il calabrese, ripeté, assaporando quel nuovo concetto, quel nuovo e inaspettato modo di passare il tempo.
Avrebbe organizzato tutto. Qui comandavano loro. L’ingegnere, quell’ometto stinto che mandava avanti la baracca, sapeva come fare. Domani lo avrebbe chiamato. Il Topo ne fu sicuro. Aveva prodotto nell’amico l’illusione di un’attività, e addirittura di uno scopo legato a quell’attività. La sua mente infantile ne aveva cosí bisogno che ci si poteva fidare di lui al cento per cento, una volta innescato il meccanismo. Era fatta. Si concesse una striscia molto generosa che il Delinquente, ubriaco d’amore, gli aveva preparato con una delle sue carte di credito e offerto con la premura e l’abilità di un cameriere che pulisce una spigola prima di servirla a un cliente di riguardo.
Quando si producono, nei rari casi in cui si producono, le svolte del destino non si distinguono in modo particolare dall’ordinaria insignificanza che le circonda. Nulla ci avverte di nulla, rifletteva spesso il Topo: né angeli né sogni premonitori né soprassalti della coscienza. Solo percorrendo a ritroso certe catene di eventi possiamo risalire al primo, minuscolo anello: come il medico che tenendo una lastra controluce individua la frattura nel candore calcareo dell’osso. Ma a che serve? Di tutte le arti umane, la piú patetica è senza dubbio quella di raccontare una storia. Noi risaliamo continuamente il fiume dell’irreparabile, con la vaga, inconfessata speranza di scovare la regola e di scampare il pericolo. La verità è che ogni storia vale solo per se stessa, e non ci insegna nulla. Prigioniera nella torre della sua unicità, ci indirizza da dietro le sbarre segnali incomprensibili, vane smorfie di demenza e di terrore.
Era stato cosí, con l’indifferenza che gli era abituale, e senza l’ombra di un presentimento, che il Topo aveva accolto dalla bocca del Delinquente la notizia che avrebbe cambiato il corso della sua vita, proprio quando avrebbe giurato che piú nulla potesse accadere – tanto meno l’effimera gloria e la catastrofe definitiva che ne sarebbero derivate.
In quel preciso momento, che abbiamo immaginato come una frattura vista in controluce, i due amici erano in una delle tante macchine di grossa cilindrata che il Delinquente amava cambiare al ritmo di tre all’anno. Capolavori tecnologici che in mano a quello sciocco imprudente, appena uscite dal garage del concessionario, si trasformavano in sottili, feroci parodie di se stesse.
Senza fare il minimo sforzo per dissimulare la stolta fierezza che gli gonfiava lo spirito come se fosse un materassino di gomma, il Delinquente aveva calato l’asso della grande notizia: gli Zii lo avevano nominato direttore artistico di un’emittente di Palmi, Tele Radio Sirena. Direttore artistico, aveva ripetuto con solennità, come se avesse bisogno di completare la nomina degli Zii imparando a nominare se stesso. E senza l’approvazione del Topo, come ci sarebbe riuscito?
Il Topo era sempre attento a non ferire gratuitamente i sentimenti del suo fragile, velleitario amico. Chi ha un amico non ha un tesoro, ma un velo, uno schermo: tra se stesso e la triste, meschina, invidiosa realtà. Il Velo di Maya sono i nostri amici. Ma a quelle parole cosí incongrue, cosí assurde nella loro illogica relazione – direttore artistico – non aveva potuto trattenersi dal ridere.
Direttore artistico, ripeté: e che minchia significa?
Al Nord è pieno, rispose il Delinquente, per metà piccato e per metà divertito, anche lui, dall’involontaria comicità dell’espressione. Ma ce ne sono pure in Calabria, è ovvio. Ben conoscendo la totale estraneità del Topo ad ogni forma e strumento di comunicazione, gli ricordò che Rosa, invece, per forza la conosceva, Tele Radio Sirena.
Ma sí, rispose il Topo, ricordando con tenerezza il telecomando nero da cui Rosa non si separava mai. Ci puoi giurare che la vede, questa Tele Radio Sirena, lei le vede tutte. Tutte insieme, non so come fa.
La verità venne fuori durante il breve viaggio in macchina da Rosarno a Palmi. Volentieri il Topo aveva accettato di accompagnare il direttore artistico a insediarsi nel suo nuovo ufficio e conoscere gli impiegati e i collaboratori. Tele Radio Sirena era diventata una proprietà degli Zii in seguito a una non meglio precisabile transazione o estinzione di debiti. Per il momento, non sapevano che farsene. Aspettando di prendere una decisione, avevano stabilito di mandare lí il Delinquente un paio di volte a settimana.
Non c’era nulla di concreto da fare. La programmazione televisiva consisteva quasi soltanto di televendite e pubblicità di linee telefoniche erotiche – quei video sfocati in cui si vedono le ragazze che fingono di masturbarsi nella vasca da bagno, o ballano intorno a un palo di alluminio con il tanga e i capezzoli coperti da lustrini («non è il mio genere», aveva ammesso il Delinquente). La radio trasmetteva grandi successi notte e giorno, intervallati da decine di annunci locali: ristoranti, pompe funebri, agenzie di prestiti, abiti da sposa, villaggi vacanze a prezzi scontati. Per controllare che le cose andassero nel verso giusto, poteva bastare una semplice telefonata ogni mese, ma si sa che il telefono, quando si tratta di affari, va usato il meno possibile. Agli Zii d’altronde non dispiacevano i vecchi metodi, ispirati a un’efficace teatralità basata sulla presenza fisica. Come la pars pro toto dell’antica retorica, il Delinquente rappresentava l’intera famiglia. E come una singola parola insignificante, opportunamente collocata in un discorso, può sprigionare una potenza rivelatrice che nessuno avrebbe sospettato a considerarla in sé e per sé, cosí quel perditempo del Delinquente, grazie al prodigio della rappresentanza, poteva all’occasione trasformarsi in un uomo temibile, nell’artiglio di una bestia attenta e spietata. Presto uno dei loro numerosi consulenti avrebbe permesso agli Zii di capire se Tele Radio Sirena poteva essere utile a riciclare denaro sporco o dissimulare in un’altra fantasiosa maniera qualche attività illecita. Nel frattempo, la presenza del direttore artistico serviva a ricordare a tutti chi era il padrone, adesso.
A cinquant’anni suonati il Delinquente parlava al Topo dei suoi parenti come faceva a quindici: un miscuglio patologico di orgoglio, timore, impotente sarcasmo. Questi fastidiosi grovigli di emozioni incoerenti sono tipici delle pecore nere, degli idioti di famiglia, delle erbacce malate che crescono all’ombra di ciò che disonorano. Tanto piú se portano uno di quei nomi capaci di troncare ogni discorso, da un capo all’altro della Calabria. Nomi che trasudano obbedienza, fatalismo, sfumature di ammirazione e invidia piú o meno confessabili. Il Topo, che al contrario del suo amico era di origini talmente infime che lo si sarebbe potuto definire, dal punto di vista sociale, un diretto discendente del Nulla, si stupiva del fatto che nessuno, in quella famiglia cosí feroce e intrisa di fierezza, avesse mai pensato a liberarsi una volta per tutte della vergogna ambulante che era il suo amico. Un bell’incidente, un’overdose organizzata. Ma quella impunità aveva una ragione. Frocio, tossico e alcolizzato, oltre che inguaribile chiacchierone e millantatore, pericoloso per sé e per gli altri, imprevedibile e inaffidabile, il Delinquente si era guadagnato da bambino, senza nessun merito, una specie di esenzione perpetua dai doveri, dalle responsabilità, dalle angosce della vita reale. Come se avesse vinto al SuperEnalotto.
Aveva sette anni quando lo avevano estratto dalla macchina dei genitori appena massacrati in un agguato, nel parcheggio di un ristorante nei pressi di Siderno, dove avevano partecipato a un banchetto per la prima comunione del figlio di un socio in affari. Era stato il punto culminante, quell’agguato, di una faida tra famiglie rivali. Scesi dal vano posteriore di un furgone, i killer avevano circondato la Maserati e azionato le mitragliette prima che il padre del Delinquente avesse il tempo di mettere in moto. La violenza dell’attacco trascendeva palesemente i suoi scopi concreti. La potenza delle armi e il numero dei proiettili impiegati indicava un desiderio di annientare l’avversario ben oltre i limiti del semplice omicidio. Una pioggia di piombo. Era questo il messaggio che doveva pervenire a tutta la famiglia delle vittime e ai loro amici. I sedili e i finestrini non frantumati dalle raffiche erano cosí ricoperti di sangue e materia cerebrale da dare l’illusione che il veicolo si fosse trasformato in una specie di organo interno, un secondo utero che partorí a fatica quel bambino terrorizzato e assordato, avvolto nella sua placenta di tessuti in poltiglia e schegge di vetro. Di una di queste, conficcata appena sopra l’occhio destro, il Delinquente avrebbe conservato sempre una lunga cicatrice, della quale da giovane andava fiero, ritenendo che conferisse al suo volto tondo e banale un tocco romantico, da avventuriero che ha compreso le leggi della vita. Invece, come il Topo aveva potuto constatare fin troppe volte, della vita il suo povero amico non aveva mai compreso nulla – né le leggi né le eccezioni.
Lo aveva conosciuto a quindici anni, già marcio e viziato dai nonni paterni, che prendendosi cura dell’orfano avevano intuito molto presto che non se ne sarebbe mai fatto nulla di buono, di quel ragazzino impossibile. Pazienza, la famiglia era grande abbastanza. Forse l’attentato aveva demolito qualcosa in lui, una colonna portante del carattere, quell’esatta memoria di sé che per tutti i mortali è una croce di spine ma anche il fondamento stesso dell’onore, del rispetto che si esige dal prossimo. Cosí la pensava sua nonna. Ma quella donna ossuta e ironica, la celebre Donna Filomena, figlia sorella sposa e madre di criminali d’altissimo rango, non poteva impedirsi di volere bene al disastro che aveva provato ad allevare. Era stata lei per prima a chiamarlo il Delinquente, ai tempi dei primi furti di soldi e sigarette, e cosí il Topo, tra sé e sé, aveva sempre continuato a chiamarlo, per i medesimi motivi che lo inducevano a pensare a se stesso come al Topo: come se quei soprannomi rimediati nell’infanzia, corrispondenti o meno a qualche verità, contenessero comunque una riserva d’energia, un alimento segreto dell’identità che i nomi ufficiali non possiedono.
Morti i nonni, furono i fratelli del padre e della madre, e poi i cugini, a prendersi cura del Delinquente. Per lui, tutti quei consanguinei e i loro amici erano «gli Zii», indipendentemente dal grado effettivo di parentela e dall’età. Provvedevano a rifornirlo di soldi, lo toglievano dai guai quando ci si cacciava, facevano in modo che comprasse la droga da persone gradite. A volte gli affidavano piccoli incarichi di nessuna importanza, allo scopo di non abbandonarlo nelle sabbie mobili dei suoi vizi e di dargli l’impressione di guadagnarsi il pane come gli altri. Era pur sempre l’unico figlio di un eroe della famiglia e di sua moglie, caduti nel fiore degli anni, nel bel mezzo di una guerra illustre, della quale si erano occupate a lungo le pagine di cronaca dei grandi quotidiani nazionali.
Per una di quelle singolari coincidenze che a volte sono l’alimento segreto di un’amicizia, anche il Topo come il Delinquente era stato allevato dai nonni – o meglio dalla nonna. Una Maserati nuova fiammante era diventata la bara dei genitori del Delinquente e nello stesso anno, l’anno del colera, un’umilissima centoventiquattro gialla si era portata via i genitori del Topo, destinati a una fine diversa, ma altrettanto inesorabile. Per il bambino che li vedeva partire, quei due disgraziati erano poco piú che perfetti estranei. Ma la scena del distacco gli era rimasta impressa nella memoria con una sorprendente ricchezza di particolari – tutti nitidi e spiacevoli. Ricordava l’odore di polvere che si alzava dalla strada, quella mattina di luglio, il riverbero del sole sul parafango posteriore della macchina e la campana della chiesa che suonava a morto per il funerale di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il popolo di legno
  3. I. Pi-pí, pi-pí, pi-pí, zum zum zum zum
  4. II. Rosa
  5. III. La stella della danza
  6. IV. La capretta sullo scoglio
  7. Il libro
  8. L’autore
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright