Il cliente in abito grigio che Duffy aveva seguito su per i gradini del Double Blue si voltò a guardarlo con aria nervosa, come se l’avesse preso per un investigatore privato al soldo di sua moglie. Al bugigattolo in compensato che fungeva da biglietteria acquistò una tessera per dieci sterline, poi ne sborsò cinque per l’ingresso. Quindi scomparve all’interno.
– La tessera ce l’hai? – domandò a Duffy il cassiere, che sembrava un hippy lercio.
– No. Però io pago la tariffa normale, non quella per gli stronzi in giacca e cravatta –. Duffy sapeva che non esisteva nessuna tariffa «normale»: variava da persona a persona, e spesso il guadagno del cassiere a fine giornata dipendeva da quanto era riuscito a far sborsare ai clienti. L’abilità stava nel capire quanto in alto si poteva arrivare.
– Okay. Cinque per la tessera, tre e cinquanta per l’ingresso.
Duffy lo guardò con aria perplessa. – Sicuro che non è due e cinquanta?
– Mai stato due e cinquanta, capo. Se no a me non resta un cavolo di niente.
Duffy annuÃ. Diamine, tanto i soldi erano di McKechnie.
– Nome? – Il cassiere aveva tirato fuori una tessera bianca tutta sporca e ci aveva scritto sopra un numero e una data.
– Daniel Drough –. L’hippy lo scrisse tutto maiuscolo, ed era evidente che lo trovava originale rispetto alla solita sfilza di J. Smith e H. Wilson. Duffy prese la tessera ed entrò nel cinema.
In una sala stretta e lunga come un corridoio erano sedute una ventina di persone; sulla parete in fondo c’era uno schermo tre metri per due. Nell’attesa che i suoi occhi si abituassero all’oscurità , Duffy guardò il film. Era una versione piú in grande dei mini-film da 10 penny, ma un po’ piú spinto. E con un pessimo sonoro. Su quella che sembrava una spiaggia, si vedevano due ragazze che si erano tolte il bikini e si spalmavano a vicenda l’olio solare: a ogni manata si sentiva un rumore come di onde che si infrangessero contro un pontile. Poi una delle due tirava fuori dal nulla un vibratore e lo accendeva, ed era come se qualcuno avesse cominciato a passare l’aspirapolvere sulla spiaggia. Lo avvicinava alle tette dell’altra ragazza, che sorrideva. Poi glielo avvicinava al pube, e lei spalancava all’istante le gambe come per una visita ginecologica, buttava la testa all’indietro e attaccava ad ansimare. Per farsi sentire nonostante il rumore del vibratore doveva ansimare molto forte. Sembrava che l’aspirapolvere fosse trainato da un grosso cane pastore ormai esausto a forza di andare su e giú per la spiaggia. Duffy fu informato dal suo uccello che non si trattava di un gran film.
Passò lo sguardo sui clienti in cerca del suo uomo. Da là ne vedeva all’incirca la metà , poi cambiò posizione. Nei cinema di quel tipo gli spostamenti non sono visti di buon occhio. Disturbano l’ipnotica comunione fra l’uomo sul suo sedile e l’immagine sullo schermo; innervosiscono i clienti e li fanno sentire in colpa per le loro erezioni. Alcuni gestori pattugliano di continuo la sala per controllare che i clienti non si masturbino sui sedili; altri ritengono che ciò scoraggerebbe gli spettatori, perciò installano sedili lavabili in plastica e pagano un po’ di piú gli addetti alle pulizie.
Duffy non trovò il suo uomo neanche nell’altra metà del pubblico. Continuò a sbirciare intorno a sé, stando attento a non incrociare lo sguardo dei presenti per non fare arrabbiare nessuno. In fondo alla sala, accanto allo schermo, c’era un gabinetto (saggiamente, in fatto di tessere e di servizi igienici, questi cinema si attengono con scrupolo al regolamento municipale). Se la biglietteria era un inserto in compensato costruito all’interno dell’edificio, le pareti laterali erano in muratura.
Duffy si alzò e si diresse verso il gabinetto. Oltre l’entrata c’era uno stretto corridoio che proseguiva per altri quattro o cinque metri. Duffy lo percorse fino in fondo e sulla sinistra vide delle scale che salivano. Sulla destra invece c’era un’uscita di sicurezza. I due maniglioni orizzontali, uno su ciascun battente, erano incatenati l’uno all’altro, e il lucchetto sembrava arrugginito. Duffy si avviò cauto su per le scale, cercando di non far rumore. Arrivato praticamente a metà , sentà una porta che si apriva e dei passi poco sopra la sua testa. Subito cominciò a salire con un’andatura normale, fischiettando disinvolto. Quando arrivò in cima, vide un uomo grosso e dai capelli rossicci che chiudeva una porta sulla destra.
– Ehi, amico, dov’è il pisciatoio? – gli chiese con fare indifferente.
– C’è passato davanti, – rispose l’uomo. – È il primo che ci passa davanti e non se ne accorge, – aggiunse cordiale. – Mi sa che c’ha il naso chiuso.
Duffy tirò fuori il fazzoletto, si soffiò forte, poi annusò l’aria e fece finta di svenire per la puzza. – Mi sa che ora lo trovo, amico, – disse, e girò sui tacchi. In cima alle scale dovevano esserci tre stanze, e da quella sulla destra aveva sentito provenire delle voci. Entrò nel gabinetto, attese qualche secondo e tirò la catenella dello sciacquone; non accadde niente; tirò di nuovo e sorrise pensando che quel sotterfugio poteva anche risparmiarselo.
Restò ancora un po’ nel cinema mentre una ragazza con le tette grosse al bancone di un sexy-shop invitava i clienti nella stanza sul retro perché le somministrassero una fiacca flagellazione (Duffy si sorprese a chiedersi chi badasse al negozio nel frattempo). Si tirava su la gonna, si abbassava le mutandine e si allungava su un tavolo. Gli uomini fingevano di batterla con un frustino da equitazione mentre lei si esibiva in mugolii che l’impianto audio trasformava nello starnazzare di un’oca sventrata.
Prima di uscire, Duffy scambiò due chiacchiere col cassiere hippy, che confessò di trovare i film «davvero noiosi» e di avere «chiuso con quella roba». Duffy gli consigliò di fare un altro tentativo e accennò alla scena del sexy-shop. – Cioè, amico, magari le tette non sono il tuo genere, ma fosse mai, quello è il film che fa per te.
– Naa, li trovo tutti davvero noiosi.
Intanto, facendo finta di niente, Duffy aveva esaminato le serrature delle porte; salutò e uscÃ.
Tornato a casa, telefonò a McKechnie. – Cosa ha detto Sullivan?
– Che non riesce a capire. Aveva piazzato due dei suoi uomini migliori eppure il tizio se l’è filata di nuovo.
– Le ha spiegato com’è andata?
– SÃ, è corso verso Regent Street ed è saltato su un taxi. I suoi uomini sono rimasti là ad aspettare un altro taxi, ma non ne passava nessuno.
– E lei se l’è bevuta?
– No. Avrei dovuto?
– No. A Sullivan gliel’ha detto, che non se l’era bevuta?
– No. Com’è che è andata, invece?
– Appena lei ha fatto la consegna, lo stronzetto in cravatta rossa ha preso e se l’è svignata. Se c’era un altro tizio o meno io non lo so, ma nel caso non sarebbe stato in grado di seguire neppure uno in sedia a rotelle. Io durante il pedinamento non ho visto nessuno.
– E il tizio dove se n’è andato?
– In un posto che si chiama Double Blue. Un cinema in Frith Street. È svanito là dentro. Al piano di sopra. A quel punto l’ho perso.
– E adesso cosa facciamo?
– Non lo so ancora. Ficcherò un po’ il naso in giro. Fra l’altro, il cinema mi è costato otto sterline e cinquanta.
– La ricevuta ce l’ha?
– Ho la tessera.
– Io voglio le ricevute, Duffy.
– Se vuole le descrivo i film nei minimi dettagli.
– Non sarebbe la stessa cosa.
– No… sarebbe meglio –. McKechnie rise.
Duffy era incerto su quale linea di condotta seguire. Si mise seduto e riesaminò quanto era accaduto fino a quel momento. Alcune cose erano sicure, altre terribilmente dubbie. Innanzitutto, qualcuno aveva fatto un taglio alla moglie di McKechnie. E ora qualcuno lo ricattava, e chissà fin dove sarebbe arrivato. Qualcuno dotato di senso dell’umorismo si serviva del nome di un mafioso morto. Poi c’era Sullivan… cosa combinava? Semplicemente se ne fregava, oppure prendeva una percentuale? E Shaw… il vecchio Rick? Eseguiva solo gli ordini di Sullivan, oppure ci guadagnava anche lui? A quanto ricordava, Shaw era uno di quei poliziotti che non accettano nemmeno i tacchini per Natale. Però, là nel Golden Mile, ogni nuovo anno portava con sé una nuova tentazione. Duffy lo sapeva come andavano queste cose: non accettavi da bere anche se lo facevano tutti; rifiutavi la prima ragazza che ti offrivano; non fumavi e non tiravi di coca; poi succedeva una cosetta da niente, tipo che chiedevi due giorni in piú per pagare l’allibratore, ed ecco che il quartiere ti teneva in pugno. Non che ci fosse per forza una particolare gang sempre pronta a corrompere poliziotti (anche se a volte c’era); era il quartiere in sé che ti teneva in pugno. Era un miglio quadrato di pressione continua, e un punto debole ce l’avevano tutti.
Duffy aveva bisogno di conoscere meglio il contesto. Avrebbe dovuto parlare con qualcuno come Shaw, ma questo era fuori discussione. Magari Carol; forse però non era giusto; be’, magari poteva chiederle qualcosa sul quartiere senza dirle di cosa si stava occupando. A parte Carol, c’era Renée: sarebbe dovuto andare a fare due chiacchiere con lei, anche solo in ricordo dei vecchi tempi. Era un’espressione pericolosa, «in ricordo dei vecchi tempi»: se cominciava a ragionare a quel modo, prima di accorgersene avrebbe finito per fare il sentimentale anche riguardo a Sullivan. E poi c’era la ragazza nera del peepshow. Com’è che si chiamava? Qualcosa con la B o la P. Belinda? No, quella era la segretaria deficiente di McKechnie. Si chiamava… Polly. Non che quella ragazza fosse in debito con lui.
E poi c’erano altre cose che lo lasciavano perplesso. Una era che McKechnie non sembrava preoccupato tanto quanto ci sarebbe stato da aspettarsi; anzi, sembrava quasi che trovasse la cosa divertente. No, forse era solo un tipo flemmatico; e quando gli aveva raccontato cos’era successo alla moglie sembrava sinceramente sconvolto. Magari era molto piú ricco di quanto lui avesse pensato e poteva permettersi di sganciare ancora un bel po’ di grana; anche se non lo si sarebbe detto, a giudicare dalla catapecchia da cui operava. E poi il suo ufficio non pullulava certo di clienti. Ma chissà , magari in quel settore si lavorava soprattutto per corrispondenza. Ad ogni modo, in quella faccenda c’erano un po’ troppe cose che non tornavano… il salto nella registrazione, ad esempio? La spiegazione che aveva dato McKechnie era perfettamente plausibile, ma era nello stile di Sullivan chiamare un contribuente «inculapecore sifilitico»? Be’, sÃ, anche questo era possibile; anzi, molto probabile. Infine c’era il piccolo episodio alla stazione di Paddington: se la segretaria era riuscita a ricordarsi di andare fin lÃ, di arrivare all’ora giusta e nel posto giusto, poteva essere cosà stordita da non aver memorizzato il resto delle istruzioni di McKechnie? E se fosse stato McKechnie a darle istruzioni diverse, e lei avesse fatto esattamente come aveva detto lui? Era un pensiero inquietante, ma Duffy decise di accantonarlo. Probabilmente McKechnie non era un tipo del tutto a posto, ma chi dei suoi clienti lo era mai stato? Cosa c’era da aspettarsi da uno che vendeva maschere da King Kong a Soho? In quel mestiere c’era una regola fondamentale: fino a prova contraria, davi per scontato che il cliente si comportasse con te in modo corretto.
Telefonò a Carol e le chiese se quella sera le andava di fare un salto a trovarlo. Lei disse che non poteva, che andava al cinema. (Con chi? Ma la regola imponeva di evitare domande). Però se voleva era libera la sera dopo. Duffy disse che andava bene e che le avrebbe preparato il miglior toast al formaggio che lei avesse mangiato dall’ultima volta in cui aveva mangiato un toast al formaggio.
Prese in considerazione un’altra serata a casa da solo. Forse era meglio se usciva e si trovava qualcuno. Soho ti metteva la fregola addosso, su questo non c’erano dubbi. Non per i film che aveva visto – l’aspirapolvere, il cane pastore e l’oca – o per il ricordo della pelle di daino sul parabrezza al peepshow; ma per il solo fatto di essere lÃ. Nelle città industriali l’aria era satura di fuliggine, la respiravi e ti riempiva i polmoni e da là il corpo; a Soho era come se l’aria fosse satura di sesso.
La mente di Duffy oscillò oziosamente fra l’idea di rimorchiare un uomo e quella di rimorchiare una donna. Era come scegliere fra uova al bacon e pomodoro al bacon. Andava bene comunque; si trattava solo di capire cosa preferivano quella sera le tue papille gustative. Di solito con le donne era meno probabile che poi ti toccasse una visita medica. D’altro canto erano un po’ piú costose; non offrivano da bere se intendevano venire a letto con te; e alcune erano sentimentali e facevano l’errore di credere che, siccome eri stato carino con loro, fossi disposto a rivederle. Quindi Duffy era costretto a ribadire il suo no, e questo spesso dava un retrogusto amaro alla colazione.
L’altra cosa era che, venendo al sodo, se volevi farti una scopata, con gli uomini andavi sul sicuro. Con le donne ti toccava chiacchierare piú a lungo e, anche se ti trovavi in un bar per single dove si dava per scontato che tutti fossero là a rimorchiare, era comunque sottinteso che una ragazza avesse il diritto di sbatterti in faccia un bel no, indipendentemente dal fatto che magari per tutta la serata aveva lanciato segnali che dicevano sÃ. Mentre, se entravi in un club per gay, non andavi mai in bianco. Ovviamente non tutti erano là per scopare: c’era qualcuno che ti diceva «be’, vediamo» o «chiedimelo un’altra volta», ma se eri un tipo a posto di sicuro a letto con qualcuno ci finivi. E di rado a colazione avevi problem...