SCENA PRIMA
Petruccio e Carlotta.
CARLOTTA Cristian d’oro, Petruccio, che ti ci sei trovato proprio a punto a punto.
PETRUCCIO Eh, perdiaccia, è mancato un’unghia che non si affogavino trambidua.
CARLOTTA Per via di quella raffica da Levante che gni ha dato quella scuffiata, no?
PETRUCCIO Beh… Sta’ attenta, Caròla, che te la conto tutta filo filo come gni è andata, perché, come disse quello, a scoprirli il primo futti io, il primo io, futti a scoprirli. Or dunque, a dirla com’è, io stavi sulla riva della mare, io e Calilone, che ci divertivimo a ruzzare coi toffi di terra a tirarneli sulla testa trambidua; perché, lo sai anche te, Calilone, grande e grosso com’è, ni piace di ruzzare, e io il medesimo che di ruzzare ni piace igualmente. E ruzza che ti ruzzo, in poiché che ruzzavimo è positivo, io scopritti, come a dire un quiccosa che sbattichiavino negli acqua, e che erino straportati in verso noantri come chi dicesse a scapaccioni. Io lo scorgevimo bene a spersa d’occhio e podoppo, che è che non è, vedetti che non vedivimo piú un accidente niente. «Oh, Calilone – dicetti io – mi sta che siano cristiani quelli là che sbaticchino negli acqua». – «Sta un po’ – dicette lui – che tu sia stato alle ossequie d’un gatto morto, che gli occhi ti baluginano». – «Sacramescolo – dicetti io – che gli occhi non mi sbaluginano un corno, e son carne battezzata quelli là». – «Maicché – dicette lui – e tu hai le berlucciche». – «Si ha da giocare – dicetti io – che io non ho le berlucciche un corno – dicetti io – e che sono dua cristiani – dicetti io – che sbaticchino dritti dritti qui? – dicetti io». – «Per la mariàncola – dicette lui – che io ci gioco di no». – «Beh – dicetti io – e ce li vuoi giocare dieci soldi?» – «E sí! – dicette lui – e per addimostrartene, soldi alla botte, eccoli qua – dicette lui». Ma io non futti né matto né inariato, e gli buttetti lí per terra quattro bravi palanconi e duo duini, per la mariancolaccia, franco e tondo come sputare in terra, che io, paura non avere: e quando ci vo’, ci vo’ a tutte corna. Epperò, il fatto mio lo sapevimo, che mica è locco il figlio di mio padre. Per scurtartela curta, non finittimo di scommettere, che vedettimo chiaro come il sole, due che ci fevino segno di andarni a ricuperare, e me, per prima cosa, mettetti in tasca la posta della scommessa. – «Su, Calilone – dicetti io – vedi là che ci chiamino, andiamoni a dar una mana». – «Col cacchiero che io non ci viengo – dicette lui – che mi han fatto perdere anco la scommessa». Ordunque, per via di scurtartela curta, io tanto ni predicassimo, che tutte e dua ci buttassimo in barca e podoppo, tanto fettimo di mane e di piedi, che li riuscittimo a tirar fuori dagli acqua, e menattimo a casa, accosto al fuoco; e lí si spogliattino nudi e nati per amor di seccarsi, e poi ne arrivattero altri dua della stessa covata, che s’erino salvati da se medesimo, e poi arrivette Maturina, che subito ni fettero gli occhi di pesce morto; e cosí è, Caròla, che andette tutta la messa.
CARLOTTA Ma non mi disti, Petruccio, che ce n’è uno che gli è fatto piú meglio assai di tutti l’antri?
PETRUCCIO Ce n’è sí: il padrone. Mi sta che ha da essere un qualche signorone grande grande, perché gli ha una cavagna di doro n’i’ vestito dal gargarozzo al calcagnolo, e quelli che lo servono sono medesimamente dei signori, e ciononistante, gran signore quanto gli pare, se lí non mi ci fusse trovato giusto giusto io, eh perdiaccia! che si sarebbi annegato, si sarebbi.
CARLOTTA O gua’!
PETRUCCIO Eh – cristoforo – che gli era condito a dovere, te ne garanto io!
CARLOTTA E gli è sempre lí da te, nud’e nato, gli è?
PETRUCCIO Macchène! Quelli lí davanti a nostr’occhi di noi lo rivestittino. Cribbio, non avevimo mai visto come si vestino: e quante storie e quante cancomène ci mettino quei signoroni là! Me, mi par quasi che mi ci sperdessi e steva lí a bocca spalincata che mai. O gua’, Caròla, i capelli smontatili che si smontino dalla testa – una roba! – e se li buttino su come un paracqua di stoppa. Portino certe camiscie, che portino certe maniche, che ci entrerebbimo dritti e tondi te e me, trambidua. In logo delle brache portino come un grembialone largo da qui a Pasqua! e in logo della giubba un giacchetterellino che nun gli riva nimmanco al bellicchero; in logo di colletto, un gran falzolettone da collo ricamato, con quattro nastri cosí che gli caschino fin sullo stomico. E dell’antri fioccherelli ai capi delle braccie; e come dua imbuti grandi sempre, alle gambe: anco quelli lavorati; e infra tutto vesto, e nastri e nastri e nastri dappirintutto; una rovina di nastri che gli è una vera piatà. Che gnanche la scarpe si avevino che non ne fussino inzeppate, di questi nastri da una parte e dagli antra, e poi fatti in un mo’ che c’è da rompicisi l’osso del collo.
CARLOTTA Alla fè, Petruccio, che ci ho da fare una scappata a veder tutte quelle rarità.
PETRUCCIO Ohè, da’ retta, che, imprimamente, qualcosa da ditti ce l’ho io.
CARLOTTA E dilla!, che d’è?
PETRUCCIO Gua’, Carolí, che io, come dicette quello, dievo parlarti col core in mane. Io, lo sai, ci vo’ bene a te… e siamo lí per sposarsi te e me; ma, perdiaccia, me non siamo niente contento di te.
CARLOTTA Chente mo’… che t’è intravvinuto?
PETRUCCIO È intravvinuto che te, pane al pane, mi fai saltar le buggere.
CARLOTTA E in che mo’?
PETRUCCIO Perdiaccia, perché te non mi vole bene alla giusta via.
CARLOTTA Ah, ah… e gnent’altero?
PETRUCCIO Gnent’altero? Me mi pare che basta, io.
CARLOTTA Cribbio, Petruccio, è sempre la stessa inserenata.
PETRUCCIO Io ti fiamo sempre la stessa inserenata, perché tu mi fai sempre la stessa cosa; e se tu non mi fevi sempre la stessa cosa, io non ti fiamo sempre la stessa inserenata.
CARLOTTA Ma, tu che vuoli? Che ti fabbisogna?
PETRUCCIO Perdiaccia, che tu mi vuole bene, mi fabbisogna.
CARLOTTA E non ti vuole bene, me?
PETRUCCIO No, non mi vuole bene, e ciononistante che io mi sparo in quattro, e che ti crompo, non per rinfacciatti, nastri da tutti i battelli che passino; e mi arrompo la testa per ire e pescatti le telline e i nicchi, che è una rarità; e quando che viene la tua festa fo’ sonare gli orbi, e alla fin fine, come fare il belletico a un morto. E questo intendi, non va bene, e non è gnanche da galantuomini, di non voler bene gnente a quelli che gni vogliano bene a me.
CARLOTTA Ma, cristiandoro, io gni voglio bene, a te.
PETRUCCIO Ah sí, bello, in quel mo’!
CARLOTTA E chente ho da fare, a pensamento tuo?
PETRUCCIO E me, vuole che hai da fare come si fa quando si vuole bene alla giusta via.
CARLOTTA E non ti vuole bene me, alla giusta via?
PETRUCCIO No… perché quando intravviene che è, intravviene che si vede; e quando ci vuole bene come va, ci fa una sporta di bertucciate, a quello che ci vuole bene. O gua’ la Masona come quaimente è inscemenita per il suo Bertoldo, e gli sta sempre di mezzo ai piedi, e lo tormenta, e non lo lascia mai ben avere. Sempr...