I.
IL ROMANZO.
1. I nuovi scrittori degli anni Cinquanta e le facce del realismo.
Piú volte minacciata di estinzione, la forma narrativa, nella seconda metà del Novecento, sembra rinascere a nuova vita, ricevendo impulso dall’imitazione e riproposta dei generi consolidati dalla tradizione, dalla ripresa di miti o di tradizioni favolistiche, dalla disinvolta appropriazione dei linguaggi giornalistici e dei media. Se negli anni Quaranta-Cinquanta prevale un senso di continuità con il romanzo anteguerra, specialmente per sottogeneri quali la commedia sociale o il romanzo provinciale, a partire dagli anni Sessanta e sempre di piú in prossimità della fine del secolo, la riscoperta del passato e la contaminazione dei linguaggi e dei generi producono forme ibride non piú contenibili nelle definizioni note.
Il paradigma di base della scrittura narrativa resta tuttavia il realismo, come evidenzia la compatta reazione allo sperimentalismo degli anni Cinquanta. Gli scrittori che esordiscono in quel periodo, al pari di quelli che avevano cominciato negli anni Trenta-Quaranta, ripropongono per lo piú, infatti, forme collaudate di realismo, con tratti tardosimbolisti e tardomodernisti. Aspetti comuni e prevalenti della produzione narrativa sono da un lato il legame con la tradizione nazionale di romanzo sociale e di impegno morale; dall’altro un’ottica ristretta, provinciale, che predilige ambienti e caratteri locali e che sembra rifuggire da temi di ampio respiro e da tecniche innovative. Con ciò non si vuole tuttavia suggerire l’idea di una chiusura o di un’involuzione della forma narrativa; è vero invece che le qualità che avevano portato in altre epoche all’affermazione del realismo come forma dominante trovano in questi anni nuova forza e capacità di svilupparsi nei moduli stilistici piú disparati. Quello che si afferma è una sorta di realismo «eclettico», una forma aperta alle piú diverse sollecitazioni, che non è in opposizione con la scrittura sperimentale, ma che spesso interagisce con questa, mostrando, proprio attraverso l’inglobamento di varie altre forme, una straordinaria capacità di rinnovamento. Un realismo che spesso inoltre «ripensa», o riflette, sul carattere mimetico e referenziale del linguaggio.
Quasi tutti gli scrittori che esordiscono negli anni Cinquanta – la generazione di autori destinata a dominare la scena letteraria della seconda metà del secolo – possono prendersi ad esempio di questo realismo eclettico. Quasi tutti infatti, sebbene cosí eterogenei tra loro, hanno provato, all’interno di una vasta produzione narrativa, a «ripensare» il realismo, non solo offrendo una propria versione problematica della relazione tra reale e fittizio, ma mostrando come sia possibile conciliare il realismo con la favola, la fantascienza, la satira, l’allegoria, il metaromanzo.
1. 1. La commedia sociale: Wilson, Murdoch, Amis.
Un esordio tardivo quello di Angus Wilson (1913-1991), autore di ispirazione letteraria colorata da una profonda visione morale, prima espressione di una generazione postbellica attenta ai mutamenti sociali, alla nuova meritocrazia, all’affermarsi dei valori materialistici e del consumismo. Nelle prime due raccolte di racconti – The Wrong Set (1949) e Such Darling Dodos (1950) – Wilson coglie, spesso ricorrendo alla satira, il nuovo clima sociale del dopoguerra nel passaggio dallo snobismo prebellico dei ceti dominanti, forti della stabilità dell’Impero, al clima egualitario del Welfare State e del governo laburista. Pur definendosi liberale Wilson, che è affine per molti versi a E. M. Forster, vede tutte le debolezze del «socialismo liberale» e nei romanzi Hemlock and After (La cicuta e dopo, 1952) e Anglo-Saxon Attitudes (Prima che sia tardi, 1956) esprime il proprio disagio nei confronti di questa posizione. Lo scrittore omosessuale protagonista di Hemlock and After, Bernard Sands, sente in quanto intellettuale, di dover svolgere il ruolo di coscienza critica della società senza per questo rinunciare alle ambiguità di una doppia morale.
Nelle opere piú tarde – No Laughing Matter (Per gioco ma sul serio, 1967), As if by Magic (1973) e Setting the World on Fire (1981) – Wilson, quasi avesse perso fiducia nei confronti del mondo dei fatti o nella riducibilità di ogni cosa alla dimensione sociale, manifesta un mutamento radicale, la capacità di sovvertire la formula del romanzo sociale con la scrittura parodica. Il realismo tradizionale dei primi romanzi cede il passo in queste opere all’allegoria e alla favola morale e alla tendenza a esibire l’artificio della scrittura, mescolando stili disparati e soprattutto rifiutando la risoluzione armonica del romanzo realistico.
Quasi un percorso inverso è quello di Iris Murdoch (1919-1999), il cui primo romanzo Under the Net (Sotto la rete, 1954) contiene elementi parodici e surreali con espliciti rimandi alla Nausée di Sartre e a Beckett. Docente di filosofia a Oxford, Murdoch rivendica nel saggio Against Dryness (1961) la propria ascendenza letteraria nel filone ottocentesco del realismo inglese e russo e nella vena filosofico-morale di indagine della coscienza individuale. Ma i suoi numerosi lavori, piuttosto che alla densità del romanzo realista, fanno pensare a giochi concettuali che concernono la natura della libertà o del bene, e il rapporto tra arte e vita. Le intricate trame dei suoi romanzi, giochi combinatori di elevato virtuosismo, sono spesso intessute di una fitta rete di rimandi culturali tratti dalla mitologia, dall’arte e dalla letteratura, consoni al ceto sociale medioaltoborghese dei suoi personaggi. I frequenti richiami a Shakespeare rappresentano il tentativo di riprodurre il mondo elegante della sua commedia delle coincidenze, ma la miscela di commedia, grottesco e macabro ricorda piuttosto l’intreccio comico dickensiano. The Unicorn (La sua parte di colpa, 1963), The Italian Girl (La ragazza italiana, 1964), An Accidental Man (Un uomo accidentale, 1971) poggiano soprattutto su elementi melodrammatici – delitti, incesti, ricatti, prostituzione, magia nera, suicidi – elementi che si ripropongono in quasi tutti i suoi romanzi.
Maestro della commedia sociale è Kingsley Amis (1922-1995), il cui romanzo di esordio Lucky Jim (Jim il fortunato, 1954) è la brillante satira del sistema accademico e dei valori di un ancora insicuro ceto sociale in ascesa. Jim Dixon, laureato in una delle nuove università di provincia, Proviene dalla piccola borghesia e crede nei principî dell’eguaglianza. Pur avendo piena consapevolezza dei difetti e delle ipocrisie del ceto accademico, egli aspira a farne parte, ma si preclude ogni possibilità di carriera dal momento che non perde occasione di ridicolizzare la vanità e la vacuità del suo professore, un pallone gonfiato che ama fare sfoggio di erudizione. Jim è il primo di una schiera di eroi arrivisti e disincantati della nuova letteratura «arrabbiata» che aspirano alla rapida conquista di uno status sociale che assicuri successo e soldi, come Joe Lampton, il protagonista del romanzo di John Braine Room at the Top (La stanza di sopra, 1957). Ma dei due Jim è il piú simpatico perché, pur parlando spesso di onestà e integrità, non mistifica sul tipo di valori, del tutto materiali, che gli stanno a cuore. Erede di Fielding, cui rende omaggio in una scena di I Like it Here (1958), Amis colloca i suoi personaggi in situazioni complicate da cui è difficile tirarsi fuori, ma alla fine concede loro una ricompensa in cui realizzano una fantasia. Oltre che sugli equivoci delle situazioni, il realismo comico di Amis si basa su una grande abilità nei giochi verbali e sulla capacità di riprodurre le cadenze della lingua parlata, specialmente i manierismi di certi gruppi sociali. I romanzi successivi, tra cui spicca One Fat Englishman (Perché resti con Bang?, 1963), sono occasioni di satira sociale di stampo conservatore, percorsi da una vena acidula che tuttavia, nelle ultime opere. Stanley and the Women (1984), The Old Devils (1986) e Difficulties with Girls (1988), in cui Amis si allontana dalla commedia di costume, lascerà il posto a una piú profonda comprensione dei personaggi.
1. 2. Scrittura e impegno: Lessing e Berger.
Nata in Persia (Iran) nel 1919 e vissuta in Rhodesia (Zimbabwe) fino all’età di trent’anni, nel 1949 Doris Lessing arriva a Londra, dove pubblica con successo il primo romanzo. La mancanza di istruzione accademica, il background coloniale e l’impegno politico a sinistra fanno di lei una scrittrice atipica nella scena letteraria inglese e tuttavia altamente rappresentativa delle tendenze principali della narrativa del secondo dopoguerra. Della sua vasta produzione, che attraversa varie fasi e impiega registri narrativi del tutto disparati, non è possibile parlare in base a una formula stilistica né tantomeno in base al trattamento di temi specifici. Nel saggio A Small Personal Voice (1950), Doris Lessing dichiara la propria ascendenza letteraria nei grandi maestri del realismo ottocentesco, in particolare Tolstoj e Stendhal, in una visione impegnata della letteratura, coerente con la scelta del marxismo e con l’interesse per le minoranze sociali oppresse ed emarginate. Ma la frammentazione e la proliferazione dei discorsi che lo scrittore del dopoguerra si trova a dover fronteggiare, l’isolamento dell’individuo nella società, rendono di per sé problematica l’adozione meccanica di una qualsiasi formula letteraria: il successivo allontanamento dal marxismo e l’entusiasmo per religioni esoteriche come il sufismo e per forme di scrittura come la fantascienza, la mostrano tutt’altro che irrigidita su posizioni ideologiche, in continua evoluzione e sperimentazione di linguaggi.
L’esordio con opere realistiche, come The Grass is Singing (L’erba canta, 1950) e la serie Children of Violence (cinque volumi pubblicati tra il 1952 e il 1969); le numerose raccolte di racconti di ambientazione africana e inglese; la scrittura postmoderna e apocalittica di The Golden Notebook (Il taccuino d’oro, 1962), Briefing for a Descent into Hell (Discesa all’inferno, 1971), Memoirs of a Survivor (Memorie di una sopravvissuta, 1975); il ciclo fantascientifico Canopus in Argos: Archives (cinque volumi pubblicati tra il 1979 e il 1983) e l’ultimo romanzo, Mara and Dann: An Adventure (1999), la storia «antica», collocata in una Africa del futuro, di due orfani che si scoprono, dopo mille traversie, di sangue reale, danno un’idea dell’universo narrativo quanto mai eterogeneo, per temi e forme impiegate, di Doris Lessing. Ciò che resta costante, nella sua opera, è il tentativo di collegare la coscienza individuale di un personaggio, per lo piú donna, al mondo attuale e alle sue problematiche. Lo sviluppo e la maturazione della protagonista, e doppio dell’autrice, del ciclo Children of Violence, Martha Quest, vengono seguiti a vari livelli – politico, sessuale, psicologico – e tutto risulta come filtrato attraverso la visione della giovane donna: esperienze, sensazioni, percezione dell’ambiente. Cosí l’Africa che emerge con grande vitalità nei primi volumi – il senso dello spazio, la luce, la natura – appare altrettanto autentica della Londra che fa da sfondo all’ultimo volume, The Four-Gated City (1969), dove Martha si è trasferita e dove prende via via consistenza, nel mondo profetico della space fiction, una realtà diversa da quella contingente.
Interrompendo la sequenza dei romanzi di Children of Violence, Lessing pubblica, nel 1962, un altro romanzo, The Golden Notebook, opera chiave della sua produzione e forse dell’intero decennio, l’opera con cui la scrittura realistica viene fatta esplodere, e vengono messi in luce i limiti e le inadeguatezze di una parola letteraria ferma alla superficie delle cose. La complessa strutturazione formale del romanzo e l’impiego di una protagonista scrittrice, Anna Freeman, sono funzionali alla messa in discussione di un modello di rappresentazione sentito come obsoleto. In una serie di quaderni di diverso colore, Anna riflette sulle difficoltà di scrittura, sul rapporto tra esperienza soggettiva e rappresentazione, sulla funzione del romanzo nella società contemporanea e sulla propria incapacità di realizzare un’opera animata da «una passione intellettuale e morale tanto forte da creare un ordine nuovo e un nuovo modo di considerare la vita». La frammentazione dell’esperienza di Anna rispecchia la disintegrazione della sua psiche verso uno stato di follia che esploderà nel corso del rapporto con lo scrittore americano Saul. L’esplorazione del lato oscuro dell’individuo, e l’importanza dell’inconscio e dell’irrazionalità come forza positiva, temi significativi in The Golden Notebook, diventano centrali in tre romanzi degli anni Settanta, quando Lessing sembra spostarsi dall’analisi della condizione sociale dell’individuo a quella del suo stato mentale. A collegare i tre volumi è il motivo della discesa nello spazio interiore alla ricerca della verità su se stessi, con echi che vanno da Dostoevskij alla fantascienza, l’analisi dei clichés del linguaggio e del potere manipolativo delle parole.
Dopo il ciclo di romanzi di fantascienza, Lessing torna con The Diaries of Jane Somers (I diari di Jane Somers, 1985) alla scrittura realistica con temi che rivelano comprensione matura dei problemi della vecchiaia e della malattia. L’incontro tra Jane, donna borghese sicura e efficiente, e Maudie, una vecchia malata di cancro e minacciata di sfratto, sono alla base di un apologo sulla solidarietà femminile in cui Jane riuscirà a imparare qualcosa sulle sue paure e rimozioni, ma anche sull’altro da sé. L’interesse per la nuova topografia sociale e urbana di una città come Londra, già al centro di In Pursuit of the English (1960) e del già citato The Four-Gated City, torna in the Good Terrorist (La brava terrorista, 1985) e nei racconti di London Observed (Racconti londinesi, 1992) nel lucido sguardo dell’autrice, attenta a cogliere i cambiamenti nei conflitti generazionali e nei problemi dell’emigrazione. La pubblicazione della sua autobiografia in due volumi – Under My Skin (Sotto la pelle, 1994) e Walking in the Shade (Camminando nell’ombra, 1997) – ha confermato la sua straordinaria capacità di collegare il personale e il politico rendendo, assieme al rendiconto di una vita, la viva testimonianza dello spirito di un’epoca.
Tutta l’opera di John Berger (1926) può leggersi all’interno di un rapporto dialettico con il realismo socialista piuttosto che liberal-umanista, come è nella piú pura tradizione inglese, un realismo non convenzionale, aperto alle sperimentazioni formali, e fortemente connotato in senso ideologico dalla passione civile e politica. Da sempre un outsider, Berger è una figura eccentrica nelle lettere inglesi, noto soprattutto per la vasta produzione saggistica nel campo della critica dell’arte. La sua opera piú propriamente letteraria è caratterizzata da continua sperimentazione e ricerca estetica: dopo l’esordio con A Painter of Our Time (Ritratto di un pittore, 1958), la vicenda di un artista ungherese rifugiato a Londra generata dal clima della guerra fredda e dall’adesione al marxismo, Berger pubblica The Foot of Clive (1962) e Corker’s Freedom (1964), romanzi in cui esplora il tema dell’identità mettendo a nudo la natura delle relazioni nella società borghese. Seguono opere narrative e di reportage in cui la fotografia di Jean Mohr si alterna al testo narrativo legando in maniera inconsueta e di grande efficacia parola e immagine; poi, nel 1972, esce G. A Novel (G.), romanzo che gli vale il Booker Prize, premio che provocatoriamente Berger dividerà con il movimento delle Black Panthers, gesto che lo allontanerà ancor piú dall’establishment letterario, fino alla decisione di lasciare l’Inghilterra.
G. A Novel è un romanzo storico ambientato tra il 1890 e il 1915, periodo di piena affermazione della borghesia capitalistica europea, in cui Berger tenta il raccordo tra l’esperienza individuale di un moderno Don Giovanni e quella collettiva del suo tempo. Non diversamente dall’estetica cubista cui si ispira, l’autore tenta di includere la totalità nel racconto allontanandosi dalla rappresentazione naturalistica, e ricorrendo piuttosto alla metafora, all’associazione di idee, alla digressione metanarrativa e a una tecnica di montaggio vicina al collage. Le avventure del protagonista sono raccontate attraverso il filtro straniante e digressivo di un narratore-proiezione autoriale che spezza di continuo il flusso narrativo delle vicende del personaggio ora per commentare il contenuto storico e sociale degli eventi, ora per illustrare le tecniche impiegate – procedimento che serve ad abolire la prospettiva unica inserendo nella rappresentazione il soggetto che guarda.
Con la trilogia Into their Labours, dedicata al lavoro dei contadini del villaggio dell’Alta Savoia in cui vive dal 1974, Berger torna alla scrittura realistica pur senza rinunciare all’esperimento e all’alternanza di linguaggi caratteristica della sua prosa, che include versi, intermezzi saggistici, disegni, fotografie. Narrare significa per Berger raccontare le vite degli esclusi dalla società, emigrati, rifugiati politici, emarginati, outsiders, cogliere l’esperienza dello sradicamento. Un progetto rinvenibile fin dagli inizi della sua opera e ripreso in Pig Earth (Le tre vite di Lucie, 1979), Primo volume della trilogia, in cui la vita del villaggio è presentata attraverso micronarrazioni e una scelta di temi crudi come la guerra e la morte, i riti locali, l’uccisione degli animali, il potere del danaro. La storia del villaggio di Brine viene narrata in modi epici e popolari al tempo stesso, rispettando l’andamento ciclico del tempo. Al centro dei volumi successivi, Once in Europa (1989) e Lilac and Flag (1990), si trovano la disintegrazione della vita comunitaria come effetto della modernizzazione e l’emigrazione dei giovani nella metropoli in un nuovo scenario di crimini, traffico di droga, morti violente.
1. 3. Scrittori dalle province: Braine, Sillitoe, Storey.
Un gruppo di romanzi apparsi alla fine degli anni Cinquanta, opere prime di scrittori provenienti da città di provincia del Nord, sembrò rivelare all’improvviso l’esistenza di una cultura diversa da quella metropolitana e medioaltoborghese dominante. Assieme ai film del Free Cinema e ai lavori teatrali di giovani autori sconosciuti come John Osborne e Arnold Wesker, questi romanzi rappresentarono un vero momento di rottura con ogni forma di tradizione culturale. Le vicende dei giovani protagonisti, figli della piccola borghesia o del ceto proletario in ascesa, animati da un forte senso di disagio e in qualche caso di rabbia nei confronti dell’establishment, ebbero un effetto demistificante rispetto ad alcuni luoghi comuni diffusi in quegli anni, come il benessere per tutti e la scomparsa delle stratificazioni e dei privilegi sociali. Tematiche che erano già apparse nel romanzo di Philip Larkin Jill (1946), il cui goffo protagonista John Kemp, di umile estrazione sociale, giunto agli studi universitari si trova discriminato per i suoi modi e il suo accento, e successivamente in Hurry On Down (Un laureato, 1953) di John Wain, che è tra i migliori romanzi della cosiddetta «letteratura della rabbia», e nel citato Lucky Jim di Kingsley Amis. Ma è forse con Room at the Top (1957) di John Braine (1922-1986) che l’ambiente provinciale e conformista dello Yorkshire di fronte all’impatto del boom consumistico degli anni Cinquanta, emerge con l’intensità di un romanzo di Arnold Bennett. Nessuno prima di Jo...